Io non sono superstiziosa, non completamente. Sono nata di 17, non era venerdì, ma tanto basta ad avermi resa selettivamente scaramantica , non temo evidentemente i numeri, 17 o 13 anzi, di venerdì 17 ho superato Istituzioni di Diritto Privato al primo tentativo. Gli esami si davano per tentativi, cioè, io li davo per tentativi. Non che mi presentassi senza aver studiato, figuriamoci, non è mai capitato. Ma vivevo gli appelli con quel senso di precarietà, di forse, con la patina del proviamo e vediamo come va, l’asta delle aspettative sempre rasoterra così da non soffrire troppo e potermi nascondere dietro un mesto “lo sapevo” a volte declinato come “me lo sentivo”. Però ero sempre attrezzata di penna porta fortuna nel caso di uno scritto, di maglia con cui la volta scorsa era andata bene, di cornetto rosso comprato a Napoli nel portaocchiali verde in borsa.
Oggi è venerdì 17 di anno bisestile. Nella mia famiglia di origine c’era l’ansia degli anni bisestili, perché portano via. Questo giorno in più servirebbe a portare via, pare. Persone, soprattutto. In particolare il 1992, è stato un anno di lutti uno dietro l’altro, quel tipo di lutti che per me quattordicenne non lasciavano un grande segno, zii e cugini di mia madre venuti giù uno dopo l’altro e mia nonna, incredula, con gli occhi pietrificati di pianto. Ricordo questo, ricordo lei che esce dalla sua camera da letto, avvolta in una delle sue vestaglie legata in vita e non ha più gli occhi ma due fessure scure e tutto intorno la pelle di cartapesta. E sangue. Si era sfregata la pelle del viso intorno agli occhi cosi tanto da sanguinare, si era torturata il volto e persino il neo, il neo sporgente che aveva sotto l’occhio sembrava che non ci fosse più. Di tutte quelle morti questo è il segno che mi porto addosso, lei. E quell’ultima morte, l’ultimo a venire giù. Il nipote prediletto. Un volo di sette piani, da tuffatore esperto e disperato.
Io non ci credo che gli anni bisestili abbiano questa carica letale, non completamente. Si muore sempre, penso. Si vive ogni giorno e si muore sempre. Però adesso mi riguarda tutto di più. La vita e la morte. Sono finiti gli attori secondari, adesso in scena ci sono i protagonisti. Come nei film. Da piccolissima mi sedevo sulla pancia di mio nonno e guardavo i film gialli con lui, che li adorava. E chiedevo sempre: muore? Adesso muore? Se muore? Lo uccidono? Muore?
No, non può morire adesso.
Perché?
Perché altrimenti finisce il film. Muore un altro, uno che non serve più per mandare avanti la storia.
Mio nonno non era un uomo istruito, anzi. Sentirlo parlare in italiano faceva ridere o rabbrividire. Io ho avuto nei suoi confronti entrambe le fasi, con alte punte di irritazione da sucata studentessa di ginnasio pronta a richiedere la tessera all’Accademia della Crusca. Però le cose che mi ha dato senza saperlo sono tra le più importanti e che palle sembrare retorica, che io proprio lo odio. Non è retorica, non è smanceria verso il tempo perduto dell’infanzia. A me la mia infanzia non piace. Non è stato un tempo felice, non è stato facile niente, perché non lo so o forse si, forse ora lo so e a volte mi va di dirlo, altre volte no, perché mi sale su un grumo semisolido di lacrime, un nodulo, in gola, mi si appanna la vista e mi sento esposta a vista come una cucina di fine serie con tutte le botte prese da chi stava solo guardando, soprattutto in preciclo. No, niente nostalgia di quella pancia enorme usata come cuscino , ma la memoria, forte, di quello che da lì arriva. Il dialetto, l’egida sotto la quale riposano i miei pensieri più autentici. L’attenzione ai parcheggi nei controviali torinesi, a lisca di pesce. L’attenzione alle siringhe, che ormai non si vedono più ma io sono stata una bambina degli anni Ottanta, la sua voce appena spengeva il motore: fai attenzione alle siringhe dei drogati, se ti buchi sotto le scarpe con quelle fetenzie dobbiamo andare all’ospedale, si muore pure. Io non riesco a scendere dalla macchina parcheggiata nei controviali sotto gli alberi senza pensare che nel terreno ci possono essere, sotto le foglie, quelle fetenzie. Anche lui è morto in un anno bisestile.
E il film che finisce se il protagonista muore. Lo ripeto anche alle mie ragazze. Però, loro, di attori secondari ne hanno ancora tanti da vedere.
L’anno scorso, a febbraio, senza che fosse un anno bisestile, è andata via lei, Cocò. Cocò era, è, mia nonna. Quella del neo sotto l’occhio, della vestaglia elegante, del dolore che pietrifica. Delle risate ingenue. Dei baci schioccati sul collo. Del “che cazzo dici” come stile di vita, non importa se sei un bambino, se dici una sciocchezza ti beccherai il tuo che cazzo dici, gioia mia. Era l’ultima, tra i quattro nonni, lei è quella che aveva pescato il bastoncino più lungo. Chissà. Non penso che nessuno se lo chieda mai, in una stanza, in un salotto, con la tappezzeria alle pareti e una torta di compleanno con una candelina rosa, sul finire dell’estate e l’inizio dell’autunno, una domenica di settembre , dopo il 17 che festeggiare prima del compleanno porta male, e lo spumante nei bicchieri del servizio regalato per le nozze, solo un anno prima anche quelle, chissà se qualcuno se lo chiede mentre una bimba bionda con solo due denti in bocca gioca seduta per terra strofinando il ciuccio legato con una catenella all’abito bellissimo a maniche corte con i fiori rosa che sembra una bambola, chissà se qualcuno se lo chiede chi ha pescato il bastoncino , il legnetto più lungo.
Dei quattro lo aveva pescato lei, solita fortunata. Ma non l’ha mai potuto sapere, perché la memoria è andata via prima, prima che andasse via lui che lo abbiamo seppellito con una foto di lei nel taschino della giacca, una foto che i miei zii hanno trovato tra i documenti, lui la custodiva con le cose importanti, lei aveva scritto a mano un desiderio, solo uno, che lui non andasse via senza di lei perché le sarebbe stato impossibile vivere. E allora è andata via la memoria e lei è rimasta, con in mano il bastoncino più lungo, esile come un fuscello e l’anno scorso, con la prima folata di vento è volata lontano, come un desiderio, solo uno, soffiato su una candelina, una sola, rosa.
Il giorno del suo funerale in chiesa eravamo pochissimi. I miei cugini arrivati da giù. Chissà se anche nelle famiglie settentrionali si dice così, me lo sono sempre chiesto. Giù e su. Chi sta qui sta su, chi vive al sud vive giù. Forse le famiglie settentrionali non lo dicono perché tutti stanno su e non hanno motivo di andare giù. Le mie figlie accanto a me, nel secondo banco della chiesa, i miei fratelli. I miei zii, mia madre al primo banco. Ho sentito un clack. Uno scatto, come di un meccanismo che fa un movimento in avanti e ho capito che non c’era più nessuno davanti ai miei genitori e che io sono nella fila subito dietro. Clack. Sono finiti gli attori secondari nella mia vita. Adesso, quel che succede, succede direttamente a me, sulla mia pelle di cartapesta. Allora, il primo dell’anno io ho chiesto solo questo. Anzi no, nemmeno, perché io non chiedo. Ho espresso un desiderio, solo uno, per questo anno bisestile, che non tocchi nulla per favore, che passi con il suo giorno in più senza raccogliere nessun bastoncino che questi che sono rimasti qui, con me, nella stanza, nella mia vita, mica se lo chiedono chi l’ha preso il bastoncino più lungo, solo io me lo chiedo, ma io mi chiedo sempre un sacco di cazzate e allora facciamo che pure questa è una cazzata e non tocchiamo nulla, caro anno bisestile, e scusami se ti uso per camuffare le mie paure che come vedi non sono cresciute insieme a me, sempre quelle sono. Facciamo così, caro anno bisestile, che mi ignori, che stai attento a dove poggi i piedi, se vuoi, ma mi ignori. Non ti preoccupi del fatto che oggi forse prenderò una decisione importante, ovviamente di venerdì 17, che in questo momento c’è qualcuno che sta leggendo qualcosa che ho scritto che mi pare troppo chiamarlo racconto e io mi sento come a scuola e comunque si tratta solo di un tentativo, che no, le mie paure non sono cresciute insieme a me e sarai clemente con me, caro anno bisestile perché le paure dei bambini da adulti sono terrificanti e poi perché anche se non sono scaramantica, non completamente, sono comunque incazzosa. Senza retorica.
Anno bisesto, anno funesto? Che cazzo dici, gioia mia (cit.) 😉
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si, suonava proprio così.
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Scrivi benissimo, ma non hai bisogno che te lo dica io… Comunque sei riuscita a commuovermi e a farmi sorridere. E a trasmettermi un’emozione che anch’io ho vissuto, ma che non avrei saputo descrivere così bene.
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Grazie, davvero grazie.
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