Caro Geppetto,

oggi compi un anno e non ti vedo da oltre quattro mesi e si che ci sono i video e le video chiamate ma no che non è lo stesso. E no che non ti chiami per davvero Geppetto, cioè non è quello il tuo nome ma io ti ci chiamo per davvero perché tanto i nomi propri, quelli attribuiti all’anagrafe, qui vengono spesso disattesi se non dimenticati e poi perché ci vengono un sacco di rime: Geppetto berretto, Geppetto scalzetto, Geppetto bagnetto, Geppetto furbetto.

Non c’entra la storia di Pinocchio, anche perché avrei dovuto chiamare tuo padre Geppetto, non te, per la forza con cui ti ha voluto nonostante e dopo il nonostante metto il punto. Nonostante. Poi, a me, la storia di Pinocchio nemmeno piace, non so, la trovo affollata.

Ho saputo del tuo arrivo mentre controllavo che i collant neri velati non avessero difetti, infilando le scarpe con il tacco, seduta sul bordo del letto con il cellulare buttato tra i cuscini, a Rimini, pochi minuti prima di accompagnare mio marito alla premiazione per i suoi venticinque anni di attività. Eravamo tutti tirati a lucido, Cri, Pepe, anche il cagnetto che però è rimasto in stanza. Avevo i capelli troppo corti e il ciclo, l’abito mi stava molto bene, gli organizzatori hanno voluto che salissimo anche noi sul palco, accanto a lui, eravamo orgogliose ed emozionate e io sapevo che tu eri in viaggio, nessuno lo immaginava, a nessuno magari importava. Era un segreto tra me e tuo padre, come milioni di altre volte prima di quella sera. Lui lo sapeva, io lo sapevo, tu c’eri già perché per esserci basta che qualcuno sappia che ci sei. Noi lo sapevamo e ci importava. E ho mandato un messaggio, un cuore credo, a tuo padre quello che non è mio fratello.

Non so come sia avere due padri, Geppetto. So com’è averne uno grande, ingombrante a volte, cercare di smarcarti e non riuscirci. E so com’è avere una madre come la mia e com’è essere una madre diversa dalla mia e com’è fare la madre e diventare madre e come tutte queste cose non sempre convivano. Non so nemmeno com’è essere maschio. Sono felice che tu lo sia perché penso sia più semplice e poi perché ho scoperto, sorprendendomi, che in fondo in fondo ma nemmeno troppo, mi piace che porti in giro il mio cognome. Che pensieri di un’altra generazione, lo so. Quanto poco progressismo in questa mia consapevolezza celata ai più, è vero. E se non esistessero pensieri generazionali ma pensieri umani? E se non esistessero sentimenti legati a un contesto storico ma sentimenti umani? E se questo mio andare fiera del tuo doppio cognome dove leggo anche il mio fosse solo una banale cosa umana? Tienitelo per te, comunque. Mi piace, mi piace sapere che questo cognome così difficile da leggere correttamente, per gli idioti Geppetto perché ti assicuro che due vocali successive mettono in crisi solo gli idioti, passi a te e che te lo porterai a spasso per il mondo. È il cognome di mio nonno, un uomo che mi diceva spesso che aveva fatto la guerra lui e che non aveva mai avuto paura di morire perché in quel momento non aveva niente da perdere. A vent’anni, Geppetto. A vent’anni non aveva niente da perdere, diceva e gli credevo perché quello che non voleva perdere è arrivato dopo, quando è tornato dopo aver imparato a fare il genio guastatore, a fare le iniezioni, con le stesse mani smisurate sai, quelle stesse mani sapevano fare cose così diverse, a dormire in un cimitero scattandosi una foto con un teschio in mano, a dire ti amo in una qualche lingua slava. È arrivato dopo, quando ha preso il demone che lo abitava e lo ha ridotto al silenzio, che estirparlo non poteva, che estirparli certi demoni non si può, Geppetto, viene giù tutto, sono strutturali per alcuni di noi e allora ti ci organizzi intorno, ci firmi la pace. Gli credevo perché quando ho avuto vent’anni nemmeno io avevo paura di morire, nemmeno io avevo niente da perdere. A lui il nostro cognome piaceva moltissimo, quando è nato tuo padre, primo nipote maschio si è gonfiato come un gallo cedrone, sentiva di aver dato il suo contributo ancora per un po’, sperava di avere qualcosa da perdere. Era certo che nel futuro anche le donne avrebbero potuto dare il proprio cognome ai figli e gli sembrava una cosa giusta, ma solo riferita a me e al nostro cognome. Gli altri, quelli senza cognome paterno erano inseriti tra i “figli di zoccola”. Non sono certa che avrebbe capito la vicenda dei due padri ma sono sicura che avrebbe trovato l’eccezione alle sue regole, perché si trattava di stare dalla parte di tuo padre e lui era, comunque, un partigiano.

 

Ho cresciuto le mie ragazze ripetendo allo sfinimento “denti unghie e capelli”. In questo ordine, sempre, mattina e sera, prima di uscire, anche se non si deve uscire, dopo la colazione, prima di dormire. Ecco, se dovessi darti un primo suggerimento partirei da questo. Lavati i denti, pulisci le unghie e tieni in ordine i capelli. Non farci casini, se saranno ricci lasciali ricci, se saranno lisci tienili lisci, davvero. Non ti intestardire sulla natura dei capelli perché è una battaglia persa in partenza. Non li colorare, decolorare, rasare con creste folli, sfumare con rasature sui lati, oppure fallo ma non mandarmi foto, oppure mandamele ma preparati al mio commento oppure fottitene del mio commento e fai come ti pare, tanto i capelli sono i tuoi. Non rosicchiarti le unghie, le mani di chi lo fa sono brutte e le mani uno pensa che siano la nostra periferia e così le tratta, ma sono le periferie a raccontare di noi, delle nostre abitudini, di come viviamo, dell’età che abbiamo più di quella che dimostriamo. Le mani non mentono, la voce mente, la postura inganna, a volte, nei più abili, anche lo sguardo può essere bugiardo. Ma le mani no, Geppetto, quando ti guardi le mani sai chi sei, come qualche mese fa quando te le passavi, incredulo, davanti agli occhi e le avvicinavi più che potevi e ne restavi incantato e poi le infilavi a pugno in bocca. I denti sono fondamentali, se puoi non fumare, non mangiare schifezze, non attaccarci diamantini che non sei una rockstar e se invece diventi una rockstar, scusa. Fai pure.

 

Sogna di diventare chi vuoi: pompiere, musicista, chef, medico, commesso in un negozio di scarpe, informatico, autista del bus, ballerino, giocatore di polo. Se vorrai, raccontami di tutte le vite possibili che avrai davanti, di ogni speranza. Non chiedere agli altri cosa puoi diventare, lo sai solo tu e lo saprai molto presto, siamo animali strani, Geppetto, sappiamo di noi fin da subito tutto quel che conta davvero e poi ce ne dimentichiamo e iniziamo a vagare cercando di ricordare quello per cui sapevamo di essere vivi, chiediamo in giro se qualcuno sa e allora quelli che interpelliamo ci danno le indicazioni e a volte pensiamo di aver capito e invece no. Il più delle volte le indicazioni sono sbagliate, le abbiamo chieste a chi non è di quella zona e andiamo fuori strada, tocca accostare e a volte quando sei lì, fermo, con le quattro frecce che segnali agli altri di fare attenzione, qualcuno passa e ti suona come se fosse colpa tua aver accostato, come se non gli stessi dicendo di evitarti e proseguire. Quelli facilmente sono gli idioti che vanno in crisi per due vocali successive. Poi capita che qualcuno si fermi e ti chieda sei hai bisogno. Quelli facilmente non ti diranno dove devi andare ma ti metteranno a disposizione un telefono o ti indicheranno la stazione di servizio più vicina, un baretto dove si mangia bene e, alla peggio, aspetteranno insieme a te che arrivino i soccorsi.

 

Cerca di essere chi sei, ti ci vorrà tempo per capirlo ma il senso del gioco è quello, penso. La vita non è lunga o corta, è solo veloce, mannaggia a lei. Prima inizi meglio è, non so come si fa, sto ancora giocando anche perché ho iniziato tardi, ovviamente. Nessuno mi aveva detto che andava così, per molto tempo mi hanno detto tutto quello che non ero e mi sono trasformata nella sedia in camera di Cri, sotterrata da vestiti sporchi e puliti, autunnali ed estivi, pantaloni del karategi e camicetta bianca come se fossero un abbinamento, tutti buttati lì, sulla sedia inutilizzabile come sedia e non adatta come armadio. Mi ci sono voluti anni per buttare a terra gli abiti e riscoprire il colore che avevo sotto quella montagna di roba che mi avevano riversato addosso. Quindi, se puoi, inizia. È utile quel che non ti piace più di quello che ti piace, almeno per me è utile, capirmi per sottrazione, fai attenzione a chi non ti piace, a quel che non ti piace, senza per forza voler capire il motivo, non è detto che ci sia, non è detto che sia utile conoscerlo. A me non piacciono alcune persone che sono sempre la stessa persona ma in corpi diversi. Ho dovuto capirlo e poi imparare a tenerli distanti, perché mi irrita troppo averli vicini e mi fa male, mi faccio male da sola e questo è folle. Se riuscirai a sapere chi sei cerca di esserti fedele, non tradirti con una versione di te più conveniente, non ne vale mai la pena. E poi abbi fede. E non sto parlando di Dio. Sto parlando di te, di avere fede in te stesso, di crederti e rispettarti. Fedeltà e fede. Non so come si dica in inglese, perdonami. Però senti come suonano vicine? Un idiota potrebbe pensare che siano la stessa cosa, invece no, Geppetto, ma se ti riesce portale a braccetto. Tanti anni fa tuo padre mi regalò un braccialetto con la scritta Truth&Hope, intendeva la stessa cosa penso, ma siccome lui sa che io a braccetto non porto niente e nessuno ha pensato bene di far leva sulla mia vanità, perché invece al braccio porto di tutto.

Ti capiterà di deludere qualcuno. Penso sia un’esperienza molto dolorosa però non conosco nessuno che non ci sia passato e quindi credo che sia una cosa così profondamente umana che è meglio saperlo. Si delude, si soffre e si vive lo stesso. Dopo un po’ passa, come tutto. Ti capiterà anche di essere deluso e fa malissimo anche quello, perché ci delude sempre e solo qualcuno che ci è molto vicino, altrimenti non è delusione e non è nulla in realtà. Quando ero ragazza, diciassette anni, al liceo avevamo tradotto un frammento di Saffo che recitava “perché sono coloro che amo di più che mi fanno il male peggiore”. Una folgorazione. Sono coloro a cui vogliamo bene i soli ai quali permettiamo di avvicinarsi fino al punto di farci, anche, male. Gli altri non sono mai così vicini. Non significa che devi evitarlo o non avere nessuno accanto o non amare, anzi, significa il contrario. Ama ma sappi che c’è anche questo, nell’amore. E più ami e più c’è. Ama, ma sappi cosa stai facendo. Io avevo pensato con dolore a quel giovane uomo che mi aveva lasciata spezzandomi il cuore in mille frammenti ed era andato via senza nemmeno raccogliere i cocci, pezzetti affilati che prendevo da terra e recitavano maledizioni, i resti di quel cuore che prima era colmo di poesie ora li raccoglievo incisi di dolore. Con uno di quei frammenti l’ho ferito e lui ha lasciato che lo facessi. Non avrebbe dovuto, Geppetto, non avrebbe dovuto permettermelo e invece si sentiva talmente male e talmente in colpa che mi aveva permesso di scagliarmi contro di lui armata di uno spuntone di cuore per fargli altrettanto male. È finita che il mio male dopo era tutto lì, inzuppato di rabbia e perciò gonfio e ingombrante e pesante, lui non poteva fare altro che andare perché quello aveva deciso e non avrebbe cambiato idea. Non meritava il mio attacco non nel senso che non lo valeva ma nel senso che non era giusto fargli male perché io avevo male o perché lui me ne aveva fatto, quel male lì purtroppo non è mai al portatore e questo prima lo impari meglio è, soprattutto come giovane uomo, Geppetto mio bello. Non permettere a nessuno di tentare di scaricare, abusivamente, il proprio dolore su di te, nemmeno se te ne senti responsabile, nemmeno se lo sei, perché non è giusto, perché se sei responsabile pagherai per conto tuo la tua delusione. Imparare ad andare via senza farsi male è difficile, ma non impossibile. E poi quel frammento mi aveva fatto pensare a mia madre, alla mia famiglia e per quel pensiero ho pianto moltissimo in vita mia.

 

Adesso veniamo a noi, nel senso di io e te. Dunque. Caro Geppetto a me non piacciono i bambini e questo comunque si risolve in fretta perché si è bambini per poco considerando la lunghezza media di una vita. Ti diranno che preferisco i cani alle persone. Più invecchio più è vero, quindi finché cammini a quattro zampe non dovresti avere problemi a incuriosirmi. Non parlo inglese che è la lingua nella quale tu sei immerso, ci capiremo a gesti per un po’, finché non stenterai con l’italiano accentato londinese e io ti correggerò perché quello è un vezzo che non mollo, anzi. Non credo per niente alle relazioni familiari, alle parentele, ai legami che se sbagli l’accento ti trovi legato per tua stessa richiesta, no grazie. Ho quattro zii e ne frequento solo una, l’unica che mi piace anche se da lei ho preso la forma del naso, non dovrebbe essere legale. Non so cosa fanno gli zii, cosa prevede il ruolo di zia. Io che procedo sempre per sottrazioni sono arrivata a ipotizzare l’inutilità ontologica della figura ziesca. I miei amici figli di figli unici non hanno zii e vivono benissimo, non hanno difetti o problemi e se la cavano meglio con le feste comandate rispetto a me che da bambina le temevo e adesso le detesto. Io spero di piacerti, non hai il mio naso, piacerti e basta, se accadrà, chiamami come ti pare, zia, auntie, Sonia, non importa, ma chiamami solo se ti va. Poi c’è la questione dell’occuparsi di te, che stai con i tuoi papà a Londra bello beato nella vaschetta con le bolle, sul tappeto igienizzato e pulitissimo tra giochi e musica e stimoli adeguati, con il menu studiato nei dettagli e cucinato con materie prime genuine, con Alexa come fata madrina pronta a realizzare le richieste e non sai, un po’ perché sei piccolo e un po’ perché non sono cose che si dicono ma io sono sempre quella che se c’è qualcosa da non dire tranquillo lo dico, che agli adulti prende un’ansia strana all’altezza dello sterno, sopra la bocca dello stomaco, una stretta al centro del petto quando pensano, e lo pensano, alla propria morte improvvisa ora che sono genitori. Ora che hanno qualcosa da perdere. I più bravi gestiscono queste sensazioni, e quelli sono i fighi. I meno bravi si spalmano come nuance di colore partendo dai negazionisti, quelli che non può succedere e basandosi sul nulla allontanano il pensiero come un amaro calice fino ad arrivare a quelli che si sdraiano sul lettino dello psicanalista perché non usano nemmeno più l’ascensore e questi non sono per niente fighi. Ti lascio scoprire io, da genitore, dove mi colloco.

I tuoi papà non vanno esenti da questi pensieri, nessuno ci va. Secondo me uno dei due è un figo. L’altro, purtroppo per lui, è mio fratello.

E io e mio fratello parliamo, soprattutto quando nessuno ci sente, abitudine che ci portiamo dietro da tempi remoti, fatti di letti vicini e spazi contesi, di ripicche e insulti, di spalle coperte, di spalle in appoggio, di sale d’attesa del pronto soccorso, di cene da soli con tutti gli altri al mare, di mani che invecchiano e risate sempre uguali, di mattine presto nella vostra cucina a immaginare di te prima ancora di provarci, io sveglia di pensieri al centro del petto, lui sveglio di pensieri al centro della testa, entrambi comunque svegli mentre tutti dormono, lontani da casa eppure a casa, perché Geppetto, tuo padre ovunque sia, ovunque vada, per me sarà sempre dove sono cresciuta. Ecco perché io e te, in fondo, abbiamo questo in comune, oltre al cognome. Abbiamo lui. Abbiamo la necessità di non perderlo, di non dover mai pensare il mondo come un posto dove lui non c’è perché ci sarebbe insopportabile.

Ecco, Geppetto, questo è, solo questo. Amiamo la stessa persona, io ne conosco già i difetti, tu ne scoprirai di nuovi. Io sono quel che c’è dietro di lui, tu sei la strada che prosegue. Io mi sono sentita l’unica in diritto di detestarlo, picchiarlo, offenderlo e la più brava a giocarci insieme. Ora lui gioca con te e tu sei il solo di cui non sono gelosa, stai attento però perché a volte non vuole che si tocchino le sue cose e le nasconde ma i nascondigli sono facili. Non offenderlo, ho fatto io per tutti. Non trattarlo male, già dato anche in questo. Ascoltalo senza interrompere, so che non è facile, ma lui lo apprezza. Quando perde la pazienza è perché si sottovaluta, è un difetto di fabbrica non si corregge. Fatti raccontare tutto quel che puoi, poi passa da me e vediamo se è vero, non perché lui menta ma ha ricordi selettivi, confonde i giorni e a volte gli anni, se ascolta alcune canzoni è certo di essere nel 1998. Sii orgoglioso di essere stato così fortemente voluto, le tue cugine non possono dire lo stesso sai, loro sono arrivate e sono state accolte, tu sei stato immaginato e non riesco a pensare a niente di più intenso. Abbi cura di tutte le fragilità che vedrai in lui, sono i punti in cui si è rotto, sono frammenti riattaccati, è la mappa della frangibilità, percorrila, studiala, rispettala, c’è un frammento anche per te se guardi bene e lui no, cercherà di non farti male mai ma capiterà che te ne farà perché è un uomo, come tutti, come tanti ma è il solo con il sorriso uguale al mio.

 

Buon primo compleanno piccolo Laezza Marchiori, zia è felice di saperti al mondo.

 

in foto la dimostrazione scientifica della parentela:

IMG-geppetto

 

 

 

 

 

3 pensieri su “Lettera a Geppetto

  1. Una lettera bellissima! Spero che qualcuno gliela metterà da parte per fargliela leggere da grande (quando nacque Elisa andai in edicola e comprai tutti i quoidiani e le riviste di quel giorno, le ho messe in uno scatolone che le ho dato il giorno dei suoi 18 anni. Le è piaciuto, ma orami con Internet molto di quella poesia si era perso. Con Lele non volevo fare una copia esatta: saccheggiai l’edicola lo stesso, ma poi chiesi anche ai miei amici di scrivergli una lettera di auguri per i suoi 18 anni. Che gli ho consegnato il giorno del compleanno. Ecco, quelle cose, scritte 18 anni fa e lette ora, sono state proprio una cosa bella, per lui, ma anche per noi), perché quando sarà grande sarà in grado di capirla/apprezzarla/paragonarla alla realtà che starà vivendo. Comunque essere zii è una ficata pazzesca: puoi dare buoni consigli, ma anche il cattivo esempio, puoi essere amico e confidente, puoi fare il serio, ma anche no. I vantaggi della genitorialità, senza le rotture di coglioni delle reponsabilità. E tu, ne sono certo, sari una zia da urlo!

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    1. Ecco, adesso anch’io vorrei aver scritto una lettera a ciascuna da dare per i 18 anni perchè mi sembra un’idea pazzesca e invece niente. Nemmeno i giornali. Ma voi genitori di più lungo corso ditele queste cose, diffondete le idee, create condivisione per quelli che arrivano dopo! Ora che hanno 13 e 11 anni cosa dici? cosa succede adesso?Hai qualche dritta, fighissima, da darmi?
      sul fatto dell’urlo lo penso anch’io. anzi. io sono addirittura da urla.

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      1. 13 e 11…..complicato! No, niente idee geniali, mi dispiace. Ma d’altra parte sono sicuro che non ne hai bisogno, perché te la starai cavando alla grande da sola. O forse sì, perché tutti avremmo bisogno di suggerimenti utili, ma ne sono momentaneamente sprovvisto. Me ne dovessero venire in mente giuro ti faccio un fischio

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