Se qualcuno avesse chiesto alla Bambina Molto Intelligente cosa pensasse del Natale lei, fino a un certo punto della sua giovane vita, avrebbe risposto: è bello. C’è l’albero addobbato nel centro della sala, davanti alla finestra, accanto al televisore, il televisore non ha il telecomando, bisogna alzarsi dal divano per cambiare canale o per alzare il volume ma di canali ce ne sono pochi e i cartoni vengono trasmessi solo su uno, quello con un pupazzo rosa a forma di cane che si chiama One, quindi non c’è bisogno di cambiare. Si sta a casa da scuola, la mamma ascolta la radio o mette le cassette di Cocciante e canta mentre cucina o pulisce e fa anche dei passetti avanti e indietro e con le mani traccia dei cerchi per aria oppure tiene i pugni e gli occhi chiusi, come se tenesse qualcuno per mano mentre balla, perché balla, se nessuno la guarda balla. Il mattino del 25 poi ci si sveglia curiosi, il primo è suo fratello, il Bambino Gioca con Me, la chiama dal suo letto, ancora con le sponde, un letto per bambini piccoli ovviamente, dal quale lui però sa scendere e risalire perché ha tante abilità, tra le quali arrampicarsi come un ragno, saltare come un rospo, mordere come un cane, correre e schiantarsi in velocità come nessuno con un po’ di criterio in zucca. I genitori gli danno diversi soprannomi, a volte è il Bambino Stai Fermo un Attimo, a volte è il Bambino Lascia il Mondo Com’è. Quando parlano di lui con la Bambina Molto Intelligente lo chiamano Fai Stare Buono Tuo Fratello.
Il Bambino Gioca con Me, a Natale, vuole sempre arrivare primo in sala perché è lì che Gesù Bambino lascia i regali, sotto l’albero. Lui vorrebbe aprirli tutti, anche quelli che non sono suoi perché ha la scusa di non saper leggere e allora ignora i nomi sui pacchi, scritti di pugno da Gesù ma con la grafia del papà, il Signor Quieto Vivere. Gesù può fare tutto, lo dice anche la maestra. La Bambina Molto Intelligente pensa che si, Gesù possa fare molte cose, ma non tutto e in particolare scrivere con la scrittura di suo papà, nessuno può fare quello.
A pranzo si va dai nonni oppure dagli zii di papà, gli zii Potete fare Quel che Vi Pare. La Bambina Molto Intelligente li ama, non sa perché, ma sa che con loro sta bene, la zia le accarezza sempre i capelli sottili e le dice in un orecchio “adesso dico a papà tuo che si prende i miei due maschi e io mi tengo te, eh? Ti va? Gli diamo i suoi cugini che mi fanno uscire matta e io prendo te? Magari, magari potessi avere te” e quelle cose che si dicono così nelle orecchie le chiamano cofecchie, la zia le dice “vieni, vieni qui vicino a me, che facciamo le cofecchie”, poi ordina ai suoi figli, due ragazzini nel pieno dell’adolescenza, di prendere tutti i giochi dallo sgabuzzino, tutti i fumetti dalle librerie sopra i loro letti, la chitarra, pure la chitarra e le lascia fare tutto quello che vuole. Un anno nel pacco incartato per lei, la Bambina Molto Intelligente scopre che Gesù, lì dagli zii, le ha portato Barbie Fiori di Pesco e pensa che Gesù sa fare cose buone. È la cosa più vicina alla fede che abbia mai provato.
Dagli zii di suo papà ci sono anche i nonni: il Signor Profumo di Buono e la Signora Piango Sempre. Il nonno è sempre al tavolo con lo zio e altri, stendono una tovaglia verde di panno e giocano a carte, con soldi. Il papà non ha mai voglia di giocare, lo fa per due motivi, uno è fare contento suo padre almeno quel giorno e l’altro è controllarlo. Perché quando era giovane ed era il Ragazzo Profumo di Buono aveva combinato un po’ di disastri seduto con le braccia appoggiate su quei tavoli verdi e da allora aveva smesso, tranne che a Natale e per pochi spiccioli, il prezzo per rispolverare il demone, che si sa, i demoni non muoiono mai. La Signora Piango Sempre invece restava con le donne, la zia e altre, in cucina o sul divano e piangeva. La Bambina Molto Intelligente aveva provato a chiederle, negli anni, perché piangesse.
Perché era felice.
Triste.
Stanca.
Emozionata.
Arrabbiata.
Commossa.
Aveva male e si preoccupava.
Non aveva male, allora c’era da preoccuparsi davvero.
La Bambina Molto Intelligente aveva capito che sua nonna piangeva per tutto, che è come dire che piangeva per niente. E così la trattava.
Il problema con gli adulti è che non spiegano le cose. E non chiedono.
Infatti nessuno aveva mai chiesto alla Bambina Molto Intelligente cosa pensasse del Natale e così lei, fino a un certo punto della sua giovane vita non aveva mai potuto rispondere: è bello.
Alla Ragazzina Intelligente (l’intelligenza è come il biondo dell’infanzia) il Natale faceva schifo. I fogli di block notes strappati male, tutti storti, per giorni sul tavolo della cucina con l’elenco di zii e cugini scritti a mano da sua madre, con la grafia da maestra, adulta ma infantile, comprensibile a tutti mentre lei vedeva la sua trasformarsi di mese in mese, quadrimestre dopo quadrimestre, per diventare spigolosa, indecifrabile, ostica, guardava quella scrittura con i bordi netti e le g senza sbavature, nessuna lettera lasciata a metà, tutto in corsivo, mentre lei alternava il corsivo allo stampatello minuscolo e non se lo sarebbe tolto mai più quel particolare, iniziare in un modo e finire in un altro.
Nome e regalo.
E poi il menù.
Era cambiato tutto.
Niente radio, niente cassette.
La lista della spesa.
I libri di cucina grandi come enciclopedie.
Perché la maionese non la compriamo già fatta, chiedeva il Signor Quieto Vivere.
Figurati. Compra le uova. Rispondeva la moglie.
Apro il frigo e mangio qualcosa, diceva il Bambino Ti Do Fastidio, con il quale la Ragazzina Intelligente aveva smesso di giocare da un po’, non per colpa sua, ma perché la vita va così.
No, rispondeva la madre, prendi solo quello che è sul ripiano basso, non toccare l’aringa, i capperi, il vitello, la salsa tonnata, la crema di asparagi, la fonduta, la base per le torte, il ragù, il pan di spagna, la crema pasticcera, il salmone. Prendi un po’ di prosciutto cotto e lascia il mondo com’è.
La Ragazzina Intelligente guardava il fratello. Non avrebbe mai mangiato l’aringa. Per fortuna il prosciutto in quegli anni era senza polifosfati aggiunti, almeno loro lo compravano così, a volte avrebbe voluto fermarsi al banco della gastronomia dell’Iperstanda, il sabato pomeriggio, solo per sentire chi lo chiedeva con i polifosfati aggiunti. Perché se loro specificavano senza, ci sarà pur stato qualcuno che invece no?
Vieni a pulire qui, le diceva la madre. Non avevano la lavastoviglie, allora lei lavava, cucchiai, piatti, coppe, pentole, coperchi e poi asciugava perché servivano di nuovo. Due cose le facevano schifo almeno quanto il Natale, questo Natale fatto così, una era lavare i mestoli di legno e poi asciugarli ancora bagnatissimi, le veniva tipo la pelle d’oca dietro il collo e l’altra era l’odore dei canovacci imbevuti d’acqua dopo il primo giro di asciugatura manuale, che bisognava metterli vicino al termosifone e prenderne di asciutti. Sapevano di pozzanghera.
Le riunioni di famiglia iniziavano il 24 sera e andavano avanti fino al 26, viaggi di auto carichi di cibo verso casa dei parenti, perché la casa della Ragazzina Intelligente e della sua famiglia non era abbastanza grande per ospitare tutti e allora si andava da Questi. Così li chiamava lei, anche per dare fastidio alla madre, perché erano i suoi e avrebbe voluto che ne parlasse con maggior rispetto. Noi siamo i tuoi, pensava la Ragazzina. Ma era la sola. Da quando Questi erano di nuovo tutti vicini il Natale si faceva così, prendere o lasciare. La Ragazzina pensava che se qualcuno fosse rimasto dov’era sarebbe stato meglio per tutti o almeno per lei, ma poi se ne pentiva perché comunque lì in mezzo c’era stato anche qualcuno a cui aveva voluto bene, solo che il bene si era come fermato, rimasto congelato a un tempo di giochi, tavoli di cugini che i bambini mangiano prima, e loro erano cresciuti, il bene no, quello era e quello sarebbe rimasto, immobile. Come le pozzanghere.
Sua madre ci teneva che tutto fosse buono perché lei era la cuoca ufficiale dell’evento, aveva ragione dal suo punto di vista, la Ragazzina non lo sapeva anche se lo capiva da qualche parte dentro di sé, ma non capiva perché i destinatari di tutta quella cura fossero Questi e non loro, perché sentisse la necessità, ancora, di sentirsi dire brava da qualcuno che non viveva più con lei, che non sapeva che ballava con gli occhi chiusi, che andava in bagno la sera, quando tutti erano a letto, che fumava il mattino subito, mentre metteva su la caffettiera, che ogni tanto metteva lo smalto amaro alle unghie per smettere di mangiarle, che aveva sempre libri sul comodino e non dipingeva più sulla ceramica, che si incasinva a parcheggiare sotto casa e ogni volta uscendo dalla macchina diceva andiamo bambini, che so come l’ho messa e non so come la tirerò fuori, che metteva le lenti a contatto in meno di un secondo e finiva sempre la soluzione salina senza averne una di scorta.
Sua madre aveva ragione, ma la Ragazzina non aveva torto.
Questi erano pesanti. Rumorosi. Ridevano per cose che non facevano ridere ma chi non rideva veniva guardato con sospetto. Alla Ragazzina Intelligente non piacevano. Facevano una gara di regali, ogni anno anticipavano l’apertura dei pacchi, sempre più grossi e colorati e la carta veniva ammonticchiata e calpestata. Non si aprivano più i regali la mattina di Natale, lo si doveva fare tutti davanti a tutti, come un’orgia.
Un anno Il Signor Mi Spaccio Per Istrione e sua moglie la Signora Acqua Keta (era della provincia, lì funziona così) avevano regalato alle Nipoti Bellissime degli abiti molto graziosi, davvero, niente del gusto della Ragazzina Intelligente, ormai Ragazza Intelligente, ma comunque molto carini. A lei invece avevano dato un pacchetto piccolo e bene incartato, grazie aveva risposto, figurati avevano detto loro in coro perché quelli erano ancora i tempi in cui parlavano insieme toccandosi il naso subito dopo, e dentro c’era un porta euro di pelle. Era l’anno del passaggio dalla lira all’euro. Le Nipoti Bellissime cinguettavano provando gli abiti nuovi e lei rigirava tra le mani il porta euro notando una lieve, impercettibile, differenza nell’attenzione veicolata dal regalo. Ma era una lettura troppo cerebrale del fenomeno. Il porta euro lo diede a sua madre, Questi erano suoi, si tenesse anche quello.
Un anno il Signor Sono Il Più Piccolo, altrimenti detto Amato d’Ufficio, le regalò una confezione con dentro una boccetta di Gocce di Napoleon. Non riuscì nemmeno a dire grazie, si chiese se l’aveva comprata prima o dopo la stecca di Marlboro. Dopo, si rispose da sola, rigirandola tra le mani.
La Signora Abbastanza Intelligente (l’intelligenza è come il biondo dell’infanzia) il Natale lo gestiva facendo del suo meglio come molte altre cose nella vita. Per amore delle figlie, perché accanto aveva un uomo che non doveva dimostrare niente, né che il Natale è fantastico né che fa schifo, non la giudicava per il totale disinteressamento agli addobbi ma canticchiva felice e leggero mentre montava l’albero che le loro ragazze avrebbero decorato anche con i lavoretti dell’asilo, ripescati dalla scatola degli addobbi che lui ogni anno riponeva con cura, ridendo tra loro e dicendo alla madre guarda, questo è il lavoretto di merda fatto con Carmen, questo è il lavoretto di merda fatto con Manuela, questo è il lavoretto di merda fatto con Angela.
Nessuno le aveva mai chiesto, davvero, perché o quando. A volte ne aveva parlato ma alle persone non piaceva tanto sentire quei discorsi allora aveva smesso, ogni tanto incontrava qualcuno come lei, simile, che diceva si, sarebbe bello partire, andare via per tutto il periodo e non avere obblighi, non dover comprare, non dover pensare a nessuno. Altri le dicevano che questo è egoismo e forse avevano ragione, però lei faceva la sola cosa che sapeva fare in questi casi, disarmare con una frase che non aspetta risposta come un taglio netto- usi il bisturi le diceva sempre suo marito- così metteva in fuga l’interlocutore e la sua banalità, la Banalità del Natale mica la Banalità del Male, pensava lei, tenendosi la pancia un po’ più stretta, trattenendo il respiro che non si vedesse il gonfiore. Perché, la Signora Abbastanza Intelligente si sentiva come quando si ha la pancia che scoppia, non che hai mangiato troppo ma che hai mangiato male. E poi un fastidio per le luci e gli auguri augurati a tutti, come il segno di pace in chiesa, lo stesso fastidio. Leva ‘sta mano.
A lei il Natale non piaceva, basta, e non riusciva a spiegarlo fino in fondo, perché il problema è che gli adulti non spiegano le cose. Allora aveva imparato a chiudere gli occhi, anche senza ballare, e ascoltava una bambina molto intelligente, che sapeva davvero tante cose.

Penso che la bellezza, anzi forse direi l’incanto, di quelle mattine del 25, quando sei sveglio e aspetti che si svegliano tutti per andare in salone ad aprire i regali, siano fra le sensazioni più belle ed irirpetibili dell’intera esistenza
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Quindi fai anche tu come me, che tratto le feste come un castello di carte (e che sollievo quando viene giù) ?
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Trattengo il respiro e poi si, sollievo. Ma è sempre più difficile.
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