Ho iniziato l’anno piangendo sul futon di Roby. Questo io lo so fare bene, scegliere dove piangere e con chi. Ho pianto in quei primi mesi del 2024 tante storie. Si piangono sempre storie. Poi, ognuno ha le sue, sa le sue, magari non le sa raccontare ma le sa piangere. Le storie che ho pianto sul futon di Roby non erano vecchie, anzi, erano abbastanza recenti. A Roby non le ho raccontate tutte e nemmeno molto, ma avendole piante sul suo futon lei le ha viste e non so se quando vedi una storia poi ti serve anche raccontarla. Roby mi ha curata, ha avuto cura di me, con il tocco leggero che si riserva agli ammalati di storie.
Questo io non lo sapevo fare bene, farmi curare.
Il Lupo dietro lo sterno è stato prepotente quest’anno, pare sia normale con l’avanzare dell’età. Gli ho dato molto spazio oppure ho lasciato che se lo prendesse, non so se fa la differenza. Ai fini pratici no. Ha accettato le cure di Roby come si accettano le soluzioni che non condividi, fingendo che sia una tua idea. Ha avuto sguardi severi e giudizi tranchant, ha chiamato bugiardi i bugiardi, coglioni i coglioni, pagliacci i pagliacci. Ha avuto impazienze feroci e nessun pentimento. Ancora una volta mi ha salvato la vita.
Sto finendo l’anno guardando le montagne, dalla finestra ora, in questo momento mentre scrivo il sole tramonta appena dietro la montagna, non so il nome di questa montagna e se anche lo sapessi lo dimenticherei ma va bene, finchè non mi dimentico che è una montagna va bene.
Questo io non lo sapevo fare bene, dimenticare.
Anche dire “va bene”, comunque. Non è che proprio fosse tra i miei talenti. Mi sono allenata e ci riesco un po’ di più.
Ho una lista di medicine da prendere in diversi momenti della giornata. Antibiotico, cortisone, paracodina, mucolitico, integratore per il rinforzo del sistema immunitario. È che ho la tonsillite e il dottore non si spiegava come fosse possibile avere la tonsillite senza febbre e senza dolore alla deglutizione. Gliel’ho spiegato io, con la voce come una grattugia, gliel’ho spiegato io come si fa ad avere la tonsillite a tua insaputa e restare in piedi sempre.
Questo io lo sapevo già fare bene, spiegare.
La tosse in alcuni momenti sembra sparita poi torna con tutta la sua violenza, come alcune persone che pensi di esserti tolto dai coglioni e poi rispuntano. Approfitto di quei momenti per passeggiare o per lavorare, sto leggendo molto, ho cucinato qualcosa in più per fare meno domani. Il sole dietro la montagna sembra quello che disegnavo da bambina, era il solo disegno che provavo a fare, due montagne e il sole in mezzo che tramonta oppure il mare e il sole a mezzo cerchio che sorge. Tanto quello fa il sole, sorge e tramonta. Con o senza tosse. Con o senza rompicoglioni.
Questo io continuo a non saperlo fare bene, disegnare.
Il 2024 non è stato un anno intero, forse non è stato nemmeno un anno. È stato luoghi. La casetta in montagna, Napoli, il Cilento, il Canada di Cri, il futon di Roby, il ristorante messicano con Mara, il concerto di Vecchioni, la casa solo per me e il mio dolore quella settimana di agosto, la Romagna durante l’alluvione, Verona senza i miei cani, la poltroncina nello studio della Dottoressa Elle, la cattedra solo per appoggiare la borsa, il mio ufficio alle 7.45 del mattino, un altro concerto di Vecchioni. È stato persone. Sara e la sua bambina che tra poche settimane sarà. Gabriella e le storie che ridiamo. Bisogna essere bravi a ridere storie, non tutti ridono storie. Le mie figlie sempre più diverse tra loro e da me. Lui. Lui. Lui. In tutti i modi in cui è stato Lui. In tutti i modi in cui ho visto Lui. Mi sono dovuta allontanare moltissimo quest’anno che non è stato un anno. Mara, sempre. Mio fratello, da sempre. La mia editor e il suo vocale il 2 agosto e il suo messaggio il 16 settembre. I ragazzi della Gang del Pensiero, la mia libreria. Stefano che ha iniziato ad allenare anche Pepe e niente potrebbe farmi sentire più sicura che saperla affidata a lui. Le mie studentesse che cambiano umore nello spazio di una sigaretta durante l’intervallo, così volubili e imprevedibili, i miei studenti che non cambiano nemmeno la maglia da una lezione all’altra, così rassicuranti e prevedibili. Quintino che mi fa giocare davanti alla macchina fotografica e Lui che mi osserva fare qualcosa che non avrei mai fatto senza un valido motivo. Mio padre che si materializza come quando avevo un incubo, un attimo prima di chiamarlo, quando ancora non sapevo se chiamarlo e cosa dirgli. Sentirlo arrivare.
Questo io continuo a saperlo fare bene, sentire.
A febbraio uscirà il mio primo romanzo. Si intitola” Quello era un posto”, ha una copertina molto bella. Forse non è un romanzo intero. È poco più di 200 pagine. È una dedica in esergo cambiata un attimo prima di firmare con la casa editrice. È una serie di ringraziamenti alla fine. È una sfilza di notti senza dormire. È una serie di mail che non arrivavano. È una sinossi da scrivere. Una biografia da decidere. È il mio doppio nome sulla copertina. È il mio cognome che nessuno ha sbagliato questa volta. È una serie di foto ad alta definizione per scegliere quella della quarta di copertina. È un pezzo di storia che ho pianto e riso e alla fine raccontato per intero. Perché anche i pezzi possono essere interi basta non vederli come pezzi. Per non vederli come pezzi, però, ti devi allontanare moltissimo. E poi tornare.
Questo io non sapevo farlo bene, tornare.
Non so cosa succederà nel 2025, a parte questo, che il libro uscirà. Mi è sempre piaciuta questa espressione riferita alla pubblicazione. Esce. E cosa succede quando uno esce non si sa, non si sa mai. Uno esce e magari incontra rompicoglioni. Uno esce e magari era meglio che restasse a casa. Uno esce e qualcuno gli chiede un’indicazione e allora risponde che non è del posto. Uno esce e invece è del posto e allora si siede in piazza e guarda la gente passare e aspetta che il sole sorga e tramonti e incontra qualcuno a cui raccontare e qualcuno si ferma ad ascoltare e qualcuno tira dritto che di matti in giro non se ne può più. Le storie le sanno raccontare i matti.
Questo io sapevo farlo bene, cercare un posto.
“Quello era un posto” di Sonia Maria Laezza. Che sono io.
Morellini Editore. Che c’ha creduto.
