Signora mia

5.08.

È un punto fermo, come in barca a vela, quando dormi in rada e getti l’àncora e aspetti che l’àncora si ancori e poi prendi un punto fermo per essere certo che la barca non si sposti di notte e così puoi dormire tranquillo ma non dormi tranquillo. Almeno, in rada non ho mai dormito tranquilla.

Punto fermo. Sono le 5.08 del 12.07.25. non è nemmeno particolarmente presto rispetto agli avvenimenti delle ultime notti. Mare agitato, da queste parti. Le zampe del chihuahua plantigrado, il piccolo, battono sul pavimento da una stanza all’altra, è stupito che io non sia sul divano con la televisione di sottofondo a zittire i pensieri che per tutto il giorno tengo sullo sfondo e poi di notte reclamano il loro spazio. Sale e scende dal divano, viene nella stanza dove sono io, controlla qualcosa, si placa, torna di là, sale e scende dal divano, torna a controllare, non sa come deve comportarsi. Sta diventando adulto.

Due settimane fa è stato operato suo fratello maggiore. Che cazzata questa di creare parentele tra cani che non sono consanguinei e che non hanno di loro legami parentali a condizionarne l’esistenza. È evidente che non sono fratelli, ma nell’economia dei discorsi li chiamo così. Io sono la mamma e loro sono  fratelli. E poi, perché fare economia nei discorsi?

Ulcera corneale infetta, è la versione semplice. Descemetocele corneale con collagenolisi è la versione aulica. Ho scoperto la chirurgia oculistica veterinaria. Ho scoperto che ci sono persone, buone davvero buone e a me i buoni insospettiscono di base ma questi no, che ogni mattino si alzano e hanno le competenze e la capacità di operare l’occhio di una mucca, di un cavallo, di un canarino, di un alano e di un chihuahua amatissimo mentre la madre in economia di discorsi piange disperata immaginando la morte del figlio sotto i ferri.

Perché si dice sotto i ferri, se i ferri sono dentro? Bisognerebbe dire fuori dai ferri o con i ferri dentro. Sì, stai sdraiato addormentato (quanto anestetico, ha 10 anni, siamo sicuri, ha un soffio al cuore ma i valori ematici sono di un ragazzino, cioè cucciolo, è per economia del discorso, sì è un po’ in sovrappeso lo so ma non si muove tantissimo, no, no, io lo porto, io non sono in sovrappeso vede, ma lui non ha più voglia, si stufa, si impunta, fa quello che deve poi si ferma, mi fissa e vuole tornare indietro, quanto anestetico, ma è una cosa sicura, sì che mi fido, che non mi fido, sì, ma se lui muore io poi come vivo?) ma i ferri non è che stanno sopra di te come una bacchetta magica e il processo avviene così. No, è chirurgia. Taglia, incide, scava, ripara, ricuce, sutura. I ferri stanno dentro, è sbagliato ogni altro modo di dire.

Fargli la medicazione è una merda. Io sono pessima. Con le medicazioni, intendo. Mi fa senso, quando si tratta di me faccio senza guardare. Il taglio cesareo, per dire, mi medicavo girando la testa e fissando il soffitto, tanto la ferita era lì, più o meno avevo circoscritto la zona, tamponavo lì con le garze e in qualche modo è andata. Medicare un occhio è una merda, medicare l’occhio di un cane è una merda. La ripresa sarà lunga, siamo ancora in mare aperto, si dice così per dire che non hai finito, no. Che sei ancora lontano dalla fine. In mare aperto non si può entrare in rada.

È tornata Cri dal Canada. È partita a settembre, era grande, è tornata a luglio, è adulta. Lunedì compirà 18 anni. Sorrido mentre lo scrivo, io mi faccio tenerezza da sola ormai. Ieri sera mi ha presa in giro, con sua sorella, raccontava che a tutti quelli che incontro dico che lunedì compirà 18 anni, al veterinario, al farmacista, al libraio, al tecnico dei condizionatori. Al farmacista no, le ho detto. Sì, è vero, al farmacista no ma avresti voluto, ti ho vista che ce l’avevi lì, mi ha risposto. Sì, è vero. Non scriverò di lei il giorno del suo diciottesimo, nessun panegirico, perché sono dispettosa a livelli di professionismo e so che ci sono persone (2 o 3) che ogni mattino si alzano e sedute sul cesso vengono a leggere se quello che scrivo le riguarda o se dispenso succulente informazioni da strumentalizzare. Siccome mia figlia riguarda solo me, lei e suo padre non celebrerò qui i suoi, i nostri, 18 anni di famiglia in continuo aggiornamento.

Come hai fatto a stare un anno senza vederla io non potrei mai.

È la frase che mi sono sentita rivolgere più spesso durante la mia esperienza di madre di figlia all’estero. Sono felice che nessuno abbia chiesto a lei come fai a non vedere tua madre per un anno, io non potrei mai.

Ho lavorato, per esempio. Mi sono allenata, è uscito il romanzo, Pepe è stata impegnativa, ho due cani, sono andata a teatro diverse volte, in montagna, ho letto molto, ho presentato il romanzo, ho iniziato a scriverne un altro, ho insegnato che è lavoro, quindi per economia del discorso già l’avevo detto ma è un lavoro diverso. Posso stare un anno senza vedere mia figlia. E amarla più di quanto si possa non solo dire ma anche immaginare e forse bisognerebbe smettere di paragonare le madri. Le persone. Ma le madri sono persone con fattore di potenza. Ogni madre fa quello che può fare e impara a fare quello che non sa fare nella misura in cui riesce. Ogni persona, certo. Ma le madri sono persone che hanno, in qualche modo, l’obbligo di provarci.

Bisogna prepararsi a quello. È la risposta che ho dato più spesso durante la mia esperienza di madre con figlia all’estero. Bisogna prepararsi a non vedersi, a non sentirsi, a lasciarli nel mondo senza di noi, non da soli, ma senza di noi e non è la stessa cosa, chi dice che è la stessa cosa fa economia del discorso.

La fregatura è che si nasce bambini. Se nascessimo adulti sarebbe più facile. Meccanicamente più difficile ma nel complesso più facile. Il bambino è un inganno. Le persone vogliono un bambino, nessuno vuole un figlio pensando a un adolescente o a un adulto. Ma il bambino è roba di momenti, dura pochissimo, poi ti trovi una persona da gestire fino a un certo momento e poi basta, non devi gestire niente. E non sai stare senza il bambino, quando non c’è più il bambino, non sai stare senza qualcuno che non c’è più, che è esistito ma per poco, che s è trasformato in altro, in una persona che ha un carattere, delle idee, pensieri, emozioni, paure, ansie, desideri, manie, dolori e gioie. È tu non c’entri quasi più un cazzo di niente e ancora stai lì a dire cosa puoi e non puoi fare con la vita a una persona che al massimo ti lascia uno spazio nella sua vita ma è uno spazio vicino all’uscita, meglio se vicino al maniglione antipanico, così puoi ancora sentirti utile.

Bisogna prepararli a quello.

L’ho detto anche alla Dottoressa L., era un mercoledì e avevo avuto una bellissima notizia che non posso divulgare, motivo per cui l’ho raccontata a lei che ha il segreto professionale e a Mara che è come dirlo allo specchio e poi non è mai successo nella vita che mi dicessero di non dire qualcosa e che a lei non l’abbia detta. Era prima che mi comunicassero la necessità e urgenza di operare il cane. Ma era dopo i primi accertamenti quando già sapevo che quell’occhio, così, non andava bene. La Dottoressa L. ha annuito, poi ha detto qualcosa che non ricordo, perché il tema era il nuovo libro e non il rientro di Cri e le incapacità dei genitori, il tema era la necessità che iniziassi senza più procrastinare e allora l’abbiamo buttata sul senso del dovere, che quando qualcosa passa da quella strada siamo sicuri che lo faccio e così abbiamo stabilito una data, significativa, e io ho preso un impegno con me stessa e con lei e in quella data ho iniziato.

E mentre ero seduta sulla poltroncina mi è arrivata la mail di una mia studentessa. Uno dei due raggi di sole dell’anno scolastico appena concluso. Una ragazza intelligente, curiosa, attenta. I suoi esami sono andati bene, non aveva ancora l’esito, il voto, ma voleva dirmi che sono andati bene e che lei è felice e mi ha ringraziata per tutto quello che ho insegnato, anche oltre la mia materia. Ho sorriso, io ormai mi faccio tenerezza da sola.

Erano due, quest’anno. Due con quello sguardo pieno di domande. Due che non mi facevano finire di parlare perché già avevano capito o perché curiose di capire meglio. Due che mi hanno restituito il senso di questo lavoro.

Erano due, quest’anno. Altre due. Che mi hanno fatto incazzare, ripetere milioni di volte le stesse cose, provare uno sconforto come certe influenze roba da ossa rotte e pelle che brucia. Due che mi hanno fatto dire basta, il prossimo anno rifiuto l’incarico.

In mezzo gli altri. Con i loro cellulari, le maglie corte sulla pancia, l’anellino all’ombelico, il tatuaggio sol polso, le unghie oscene, le sigarette durante l’intervallo e se avanza tempo si mangia, la povertà di lessico, la totale ignoranza dell’ortografia, tutto uguale dal lunedì al venerdì, il sabato e la domenica per fingere qualcosa o per dormire, il lunedì che torna, nessuna parola nuova imparata, la fine senza alcun inizio. Tutto quello stare in mezzo, senza punti di riferimento, senza un’àncora da assicurare e senza tempo da aspettare.

“al galleggio”, dice Lui. Quando qualcuno sta così, a fare niente ma il niente inutile non il fare niente che ti ripulisce e ti consente di immaginare. Il fare niente che è davvero niente. Al galleggio. Eravamo stati chiari, tra noi, fin dalla nascita delle bambine che quando sono nate erano, anche loro, bambine. Le nostre bambine. E noi non avevamo grandi piani, va detto, ma sapevamo alcune cose importanti e il divieto di galleggio era tra queste.

È venuta una madre, a un colloquio. Si è guardata intorno, in classe, spaesata. Si è seduta e io ho fatto lo stesso, qual è il posto di mio figlio, mi ha chiesto. Lì, ho indicato. Attaccato al muro, tutto il lato destro aderente al muro, ci si appoggia talmente tanto che penso di trovarlo in corridoio un giorno di questi, spero che il muro non sia portante ma penso di no, non i pare. Questo non l’ho detto. Come va nella sua materia, mi ha chiesto. Passerà gli esami di idoneità? Non è la stessa cosa. Male. In qualche modo sì ma sarà un regalo e non un premio. Questo non l’ho detto. Io cerco di stargli dietro ma non è facile, mi ha raccontato. È che lui si stanca in fretta, fatica a studiare, si confonde, io gli faccio schemi, lo interrogo con gli appunti e i libri aperti ma non è facile. Non lo è, le ho confermato.

È venuta una madre, a un colloquio. Ha puntato dritta una sedia, si è seduta, ha appoggiato la borsa sul banco, mi ha chiesto quale fosse la mia materia perché aveva tutti i colloqui quel giorno e stava passando da un’aula all’altra, le ho mostrato il  foglio che il collega di scienze aveva attaccato alla porta quella mattina per aiutare i genitori a orientarsi. Quanta solerzia, lo avevo schernito. È che le persone hanno bisogno di punti di riferimento, quando non sono nel loro ambiente, mi ha sorriso come sorride ai ragazzi, sempre, ogni giorno, a tutti, a prescindere dal voto, dalla verifica, dal fatto che non ti sei presentato alle programmate. Diritto ed Economia Politica con grande sfoggio di maiuscole, aveva scritto.  Ah, mia figlia l’adora. Parla sempre di lei. È innamorata di lei, davvero, adora le sue lezioni, bene così, le dico, avanti così, sì ha difficoltà ma perché è una materia difficile, cioè ha parole difficili da imparare a memoria, ma io le dico sempre che volere è potere. È così, professoressa, no, per passare gli esami: volere è potere.  

Le ho sorriso, senza alcuna forma di tenerezza. No, signora. Per passare gli esami bisogna studiare. Cosa vuole fare sua figlia, dopo gli esami? Non lo sa ancora. Ci penserà. Forse è scaramantica e non vuole pensarci prima di passare gli esami.  Ma lei studia, io la sento in camera sua, che studia, e poi lo sa, glielo ripeto sempre che volere è potere.

Le ho sorriso, tirata, irritata. Forse, signora, ma potremmo anche iniziare a raccontare ai ragazzi che il potere è volere. Cosa vuole sua figlia? Cosa desidera? Cosa immagina? Proviamo a chiederlo ai ragazzi, lasciamo che pensino di poter volere. Diamogli il permesso di volere. Sa, come quando da piccoli chiedevano il permesso, posso? Posso andare a fare il bagno? Posso andare ai giardini? Puoi. Puoi volere. Lasciamoli volere qualcosa, anche se non la capiamo. Soprattutto se non la capiamo, signora, diamogli il permesso di volere e sfiliamoci dalla paura delle cose difficili. Le cose difficili sono quelle che ci definiscono, fare cose difficili ci dà la misura di noi stessi. Diamo fiducia alle difficoltà.

Lei ha figli, professoressa?

Sì, due, quasi 18 quasi 16.

Studiano?

Sì, la grande è in Canada. Sta frequentando lì tutto l’anno scolastico.

Non la vede da un anno? Dio, io non potrei mai stare un anno senza vedere mia figlia.

È difficile, sì, ma volere è potere, signora.