Partenze

Per prima cosa i documenti: carta d’identità, tessera sanitaria e passaporto. E la fotocopia del passaporto perché quando sarai lì porterai con te solo la fotocopia, il passaporto lo lascerai in valigia e chiuderai la valigia con il lucchetto, quello con la combinazione. Ci dobbiamo ricordare il lucchetto. Poi, a dirla tutta, la carta d’identità è un di più. Però l’hanno richiesta e allora la porterai. I documenti sono importanti, ricordatelo. Dicono quando sei nata, dove, di che colore sono i tuoi occhi e i tuoi capelli, quanto sei alta, dove vivi. Ma non dicono chi sei. Non dicono che il giorno in cui sei nata c’era l’afa che precede i temporali estivi, che la città era quasi deserta e si parcheggiava facilmente vicino all’ospedale, che hai gli stessi occhi di mio padre e anche la bocca è la sua e che quando ti chiamo Laezzina ti arrabbi e mi dici no, che non sei Laezza , che i tuoi capelli cambiano colore al mare e io li preferisco sciolti ma tu li leghi per esigenze sportive, che sei cresciuta di almeno 20 centimetri da quando hanno rilasciato i tuoi documenti, quelli che devi portare con te perché sono importanti, ricordatelo anche se tutte queste cose non le raccontano, ecco perché ci sono mamma e papà . E ricordati che i documenti scadono.  Non cambierà il giorno in cui sei nata, né il luogo e neppure il colore dei tuoi occhi ma loro scadranno e bisognerà scattare nuove foto e compilare nuovi moduli. I documenti fanno una vita loro che prescinde da quella della persona che attestano, a volte i documenti sono validi e la persona non esiste più. E allora quei documenti servono a niente. Non sono più importanti.

Sono andata alla riunione indetta per spiegare ai genitori tutto per benino e i professori si sono resi disponibili a rispondere alle domande. Sono andata a tutte le riunioni, tutte. Da quando eri nella sezione dei Fiordalisi, all’asilo. E poi nei Big Flowers, all’ultimo anno, prima di andare alle elementari quando non eri più un semplice fiordaliso ma un fiore grande e allora non facevi più la nanna. Diventare grandi significa che non devi più fare qualcosa che prima volevano che tu facessi, questo mi è sembrato di intendere alla riunione quell’anno. Diventare grandi, a volte, è una fregatura. E poi alle riunioni con la maestra Monica, per cinque anni, per sentire parlare della classe nel suo insieme perché quello era il tuo insieme, era il posto dove trascorrevi otto ore al giorno tranne il mercoledì. Sono sempre venuta a prenderti il mercoledì a pranzo, perché tu mangiassi a casa e potessi fare i compiti con calma e anche giocare un po’ o riposare.  Non hai mai voluto riposare dopo pranzo, da quando sei diventata un Big Flowers.

Le domande che ho sentito porre ai professori erano agghiaccianti. Saltellavo da una natica all’altra in preda al mio consueto fastidio sociale, quello che mi coglie in questi contesti nei quali non posso dire ciò che vorrei e allora sto zitta perché, ancora, non ho trovato un bel modo di dire quello che penso e a questo punto dubito che mai succederà. Poi, c’è un problema culturale. Mi rendo conto. Mi manca la sabaudità, per evidenti motivi di origine geografica. Quell’atteggiamento culturale e posturale e facciale ed espressivo per cui riesci a far credere al tuo interlocutore di apprezzarlo anche se lo detesti. Ma da questa riunione ci ho guadagnato l’aver compreso che ho sbagliato per tanti anni a reputarmi una pessimista perché io immagino di lasciarti partire senza che ti accada una qualche tragedia per una settimana e questo un pessimista non dovrebbe essere in grado di farlo.

-“no, non abbiamo la ricetta per il bentelan ma mi sento più sicura se lo porta con sé, mio figlio, ma non voglio che lo tenga e che lo assuma se non ne ha bisogno”

-“sì, signora, capisco, ma noi non possiamo somministrare farmaci. Il ragazzo sa quando deve, nel caso, assumere il bentelan?”

-“no, lo so io, lo guardo e so se deve prenderlo”

-“signora, non so come possiamo gestire questa cosa, il ragazzo non ha patologie per le quali deve sicuramente assumere il bentelan?”

-“no, ma se gli viene un broncospasmo sono più tranquilla se si prende un bentelan. Però non posso lasciarlo a lui anche perché che ne so che non lo dà ai suoi compagni e non voglio la responsabilità che poi dicono che mio figlio ha dato farmaci a un altro”

Mentre si consumava la tragedia del potenziale broncospasmo con spaccio di farmaci mi hai scritto un messaggio dal circolo, avevi finito gli allenamenti e andavi a far merenda al bar, ti ho chiesto se con i soldi eri a posto mi hai mandato un pollice in su. Grazie per non aver più sofferto di broncospasmo dai quattro anni, per non aver più sofferto di acetone dai cinque e per aver anche avuto poca crosta lattea da neonata. Grazie, perché è vero che non sei stata facilissima e che siamo partite molto male io e te ma ce l’abbiamo fatta. Ne siamo uscite. Con i polpacci più forti e le braccia più resistenti.

Poi, il pranzo al sacco, solo per il giorno della partenza, è chiaro. Siete più di 40 ragazzi, non possono gestirvi a pranzo nel bar dell’aeroporto, lo capisco. Io odio i pranzi al sacco. Va bene il panino, va benissimo, ma lo prendo già fatto al bar, non me lo porto dietro da casa da quando ho facoltà di scelta e quattro spicci miei in tasca per comprarlo. Tu non sei me, grazie anche per questo. A te il pranzo al sacco va benissimo e allora lo prepareremo. Cioè, tuo padre lo preparerà. Perché lui è il re dei pranzi al sacco, gli piace aprire le carte oleose in cui ha fatto mettere i due etti di cotto e i due etti di crudo tagliato non troppo sottile, gli piace disporli sul pane intiepidito, avvolgere tutto nella carta per alimenti, niente stagnola che inquina, e poi nei sacchettini di carta, tutto ben chiuso che non prenda aria fino al momento in cui non aprirai il tuo pranzo al sacco e quell’odore si mischierà a quello dei sacchetti dei tuoi amici e a quello delle vostre scarpe da ginnastica della Nike e delle vostre ascelle nelle felpe oversize seduti a terra vicino al gate mentre i professori vi contano ossessivamente. Non faranno altro che contarvi ossessivamente. Sarà bellissimo, vedrai.

Tu sei autonoma per i bagagli. Non so da quanto tempo ho smesso di prepararteli quando partiamo. E non ti manca mai niente, sei molto organizzata. I prodotti per la doccia e il districante per capelli quello che ha un buon profumo, te l’hanno detto anche le tue amiche,  le ciabatte per andare in doccia perché ce lo ricordiamo ancora quanta fatica ci è costata la verruca del 2018. Il caricabatterie e l’adattatore per le prese di corrente, diversi strati di abiti perché la preside è stata chiara: bisogna che vi vestiate a cipolla, sono previsti dai 3 ai 12 gradi e dovrebbe anche piovere quindi dovete essere ben equipaggiati. Non so se porterai con te la copertina rosa, la tua copertina dudù, con la quale dormi da quando dormi quindi non proprio da sempre ma quasi. Non te lo chiederò, quando salirò in mansarda a rifare il tuo letto dopo la partenza me ne accorgerò. Una parte di me vorrebbe che la portassi, quella che sa che chi accompagnerò al pullman per l’aeroporto non sarà del tutto la stessa persona che una settimana dopo andrò a rirendere e allora la copertina rosa è il segnale che niente di importante può essere cambiato in quello spazio di tempo. Se non la porterai capirò e un giorno ti dirò che ci saremo consolate a vicenda di questa tua scelta, io e la copertina rosa, sedute sul tuo letto prima di metterla sotto la coperta e spegnere la luce.

-“vorrei che organizzaste un gruppo Whatsapp nel quale poter ricevere notizie da voi professori perché mi hanno detto i genitori delle seconde che loro hanno avuto informazioni solo dai figli o grazie all’app di localizzazione che alcuni ragazzi hanno, anche di quelli che erano problemi del gruppo e non penso che sia giusto, noi genitori dovremmo essere informati subito di cosa accade”

-“signora, saremo sicuramente molto impegnati durante il giorno, tra le attività nel college e le uscite, quindi vedremo, poi consideri che i rappresentanti di classe hanno i nostri numeri di cellulare e quindi potete far riferimento a loro”

-“lo so che i rappresentanti hanno i vostri numeri ma non li condividono con gli altri genitori, io vorrei sapere subito quello che sta accadendo”

-“sì, posso anche comprendere, ma i nostri numeri sono personali, non sono utenze lavorative, non penso che accadrà nulla di diverso da quello che accade quando i ragazzi sono a scuola, tra l’altro abbiamo deciso di lasciare ai ragazzi il cellulare tranne che per la notte perché è una sicurezza in più anche per noi, ecco, quindi se dopo pranzo e dopo cena vi mandano un messaggio direi che va bene”

-“ma noi genitori dobbiamo sapere cosa succede”.

Succede che mi sembra di essere fuori contesto. Anche qui. Eppure sono un genitore. I documenti dicono che sono tua madre, è scritto ovunque, anche nelle sequenze del tuo DNA, ho firmato tutto per te, ho dato il consenso preventivo all’assistenza medica. Ho sentito dire che non andava firmato quel modulo perché non si poteva autorizzare un trattamento medico a non si sa chi. Ho voluto guardare in faccia l’autore di questa frase. Mi sono girata, era dietro di me, con la camicia sbottonata sull’ombelico peloso e le scarpe con il rialzo interno, paonazzo in viso: non autorizzerà nessuno a intervenire chirurgicamente su sua figlia in un paese straniero senza essere informato, gli altri genitori forse non hanno letto quello che c’era scritto su quel modulo. Io quel modulo l’ho firmato. Dopo averlo letto. E dopo averlo capito. Succede che io le persone non le capisco, forse è per questo che non mi piacciono. Succede che avrei voluto mandarlo a fare in culo ma l’ho solo guardato. Forse è lo stesso. Succede che, di nuovo, la scala delle mie priorità è diversa da quella di molti altri. Succede che ogni volta che ti dico qualcosa o che faccio qualcosa che influisce nella tua vita io mi chiedo se lo vorrei per me. Ecco la bussola con la quale mi oriento in questo mare sconosciuto che è aiutare una persona a crescere mentre si è ancora impegnati a farlo per se stessi. Ecco svelato, amore mio, cosa si nasconde dietro ogni sì e ogni no, dietro ogni proposta e dietro ogni scelta. Io non la vorrei nel mio cellulare un ‘app che mi localizzi. Io vorrei che se un’auto mi investisse mi venissero prestati subito tutti i soccorsi anche se non era prevedibile che accadesse proprio a me e proprio quel giorno. Succede che il solo modo per essere certi che ai figli non succeda nulla è non farli.

-“sì, guardi,  i moduli sono standard e predisposti in modo uniforme per tutti i college, non so se sua figlia ha già avuto esperienze di studio all’estero ma le assicuro che non è un modulo diverso dallo standard. Cioè se lei ha intenzione di far fare altre esperienze all’estero a sua figlia si troverà a compilare moduli simili se non identici. Io capisco, da genitore, mi creda, ma vedete questa è un ‘esperienza che i ragazzi devono vivere completamente e anche con la spensieratezza dei loro quattordici anni, i vostri figli appartengono a una generazione che più di altre si muoverà con aerei e in vari Paesi, forse prendere confidenza anche con questi aspetti può essere utile anche per voi”

-“se il college vuole mia figlia la prende così, senza il consenso”

-“no, ecco, vede, siamo noi che vogliamo il college, non è che ci hanno chiamati per chiederci di andare. Siamo noi che abbiamo chiesto di andare. Anche questo aspetto, è importante per i ragazzi, perché bisogna anche imparare che quando si va in un altro Paese si va come ospiti e gli ospiti si adeguano alle regole che trovano nel posto in cui vanno non il contrario. Mi rendo conto che la cosa più dura è lasciarli andare, questi ragazzi”.

Dovrebbero dividerci in due gruppi, consegnarci il cartellino da attaccare al collo così da consentirci di sedere accanto a chi è del nostro gruppo ed evitare frizioni fastidiose. Sono brutte le divisioni categorie, lo so. Ma ci sono cose più brutte, le scarpe con il rialzo interno per esempio. Le categorie servono per organizzare, sono brutte se utilizzate per selezionare. I Trattenuti e i Non Trattenuti oppure  I Trattenenti e i Non Trattenenti. Lasciar andare non è difficile basta aprire la mano, allungare il braccio, restare indietro qualche passo, aprire la porta , è trattenere il problema, richiede uno sforzo al quale si finisce con l’affezionarsi, come a certi dolori o a certi aguzzini. Io trattengo le lacrime, spesso. E anche la rabbia, meno spesso.  Trattengo molto anche la fatica. A volte la pipì, lo so che fa male ma a volte la trattengo. Gli starnuti, ogni tanto li trattengo. Le risate, pochissime volte, quasi mai. Le persone, mai. Pongo delle premesse molto chiare, spiego brevemente come funziono, sembro difficile ma non è così, sono molto più intuitiva di quel che sembra: se dico sì intendo dire sì, se dico no intendo dire no, le mie frasi non sono fraintendibili, non intestarmi parole o pensieri che non ho mai formulato e non provare a convincermi di averli formulati perché ho un’eccellente memoria. Fine. Se vuoi stare qui, vicino a me, va bene. Se vuoi andare, vai. Va bene. Ho fatto lo stesso anche con te. E con tua sorella. Fin da subito, mamma è questa roba qui, di passaggio nella vostra vita eppure destinata a restarci per sempre, anche dopo la scadenza dei miei documenti.

Lo zaino. Niente liquidi nello zaino prima del volo, il cellulare e i caricabatterie, non stare a portarti un libro perché l’ultima cosa che farai durante il volo sarà leggere in mezzo ai tuoi amici. I fazzoletti di carta e le salviette intime se devi usare la toilette, non appoggiarti, ma questo lo sai da quando hai 18 mesi. Il portafogli con i soldi, comprati qualche stronzata, te la sei meritata, non stare a spendere soldi per mamma e papà, non ci serve niente, se proprio qualcosa ti fa venire in mente casa allora sì, prendila. Per tua sorella prendi qualcosa, lo so che lo farai, sembra che possiate stare benissimo una senza l’altra ma poi scopro che vi sentite, vi mandate messaggi, vi chiamate. Anche se non vi mancate, certo, lo so. Guai dire il contrario. E poi mettici quello che vuoi, nello zaino, per lo spazio che resta. Se tira troppo sulle spalle regola bene le spalline, allentale, se vedi che c’è confusione giratelo davanti e portalo sulla pancia, lo so che non è bello da vedere ma almeno lo tieni sotto controllo, però non ti fissare troppo con questa cosa del controllo che a te basta poco per passare il segno e diventare la Signorina Controllina e si tratta solo di uno zaino e tutte queste raccomandazioni riportamele indietro nel sacchetto della roba sporca.

L’amore di mamma e papà. Quello non hai bisogno di infilarlo in valigia, è la valigia. E allora speriamo che stia nel peso quando passerai i controlli al check in, quello è il bagaglio con cui girerai nel mondo senza di noi e potrai riempirlo di ciò che vorrai tu ma lo riconoscerai subito al ritiro bagagli. E non hai bisogno di metterlo nei documenti, è quello che dice chi sei quando ringrazi o chiedi scusa, quando saluti, quando sorridi a uno sconosciuto, quando non hai paura di dire quello che pensi anche se non è condiviso da tutti, quando non salti la fila, quando ridi forte, quando mangi un panino scartandolo dalla carta per alimenti e buttando tutto nella differenziata in modo corretto. E non hai bisogno di una ricetta medica o che qualcuno ti suggerisca quando assumerlo, non è una medicina, è un integratore, funziona solo se abbinato a uno stile di vita sano. Rafforza ma purtroppo non cura, per quello devi fare da sola, ormai. E non hai bisogno di acconsentire, è lì che tu lo accetti o meno. E non hai bisogno di infilarlo nello zaino, è lo zaino. Ecco perché devi essere certa che non ti pesi troppo sulle spalle e soprattutto devi portarlo sulla schiena il più possibile, perché l’amore di mamma e papà è dietro, non è davanti, lo devi mettere davanti solo se c’è confusione intorno a te, non per controllarlo ma per proteggerti.

Buon viaggio, amore mio.     

La Signora Insofferente

La Signora Insofferente è sprofondata in fondo al Niente.

Ma come, di nuovo?

Sì, perché? Non si può? Chiede aggressiva, come chi si mette sulla difensiva.

La Signora Insofferente è, di nuovo, sprofondata in fondo al Niente e questo non è un componimento in rima, quelli li inventava prima, quando le sue ragazze erano bambine e le rime servivano a imparare come ci si lava i denti e ci si cambia le mutande e l’amore della mamma, quanto è grande.

La Signora Insofferente sta seduta giù sul fondo del Niente e non è sulla difensiva, è solo aggressiva. Diventa difficile, pericoloso e fondamentalmente inutile avvicinarla.  Da su le si può chiedere, delicatamente, qualcosa ma bisogna alzare un po’ la voce, la Signora Insofferente ha un orecchio tappato, il sinistro.

Ma come, di nuovo?

Sì, perché? Non si può? Chiede aggressiva, come chi si mette sulla difensiva.

La Signora Insofferente, va detto, non si sforza di sentire le parole. Quelle che arrivano da su, dalla cima di chi è fuori, di chi è al sicuro dal Niente e cautamente si sporge per sapere di lei con domande di routine: cosa vuoi fare? Niente. Cosa vuoi mangiare? Niente. Ti mando giù qualcosa? Niente. Dove vuoi andare? Niente.

No, a questa domanda non puoi rispondere Niente. Fa Niente.

La Signora Insofferente vuole stare nel Niente, sentirlo addosso come il pigiama quando non lo togli per tre giorni che ti dà fastidio sulla pelle ma non puoi cambiarti, non puoi proprio. Sentirlo nelle ossa come i brividi quando hai la febbre che è una bella scusa a lei raramente concessa. Sentirlo nelle narici come l’odore del cane quando piove che rimane incastrato nei peletti del naso e nei tubicini che arrivano sicuramente dentro il cervello o giù di lì. Su di lì. Ogni domanda, ogni rumore, ogni distrazione da questa condizione le procura dolore, perché se non può averlo Tutto il suo Niente, allora niente.

Quando era giovane ed era la Signorina Sofferente aveva tappezzato il Niente dove ciclicamente sprofondava con poster e biglietti di concerti, pezzi di carta attaccati alle pareti con lo scotch su cui ricopiava le frasi rubate dalle canzoni e dai libri che accatastava ai quattro angoli del Niente, tutti con le orecchiette alle pagine a ricordarle dove andare a cercare e in prima pagina al posto del colophon l’indicazione delle pagine da non dimenticare. La Signorina Sofferente organizzava dolore e rimedio secondo schemi precisi, a ogni malanno la sua medicina, a ogni sofferenza la sua cura fatta di parole tutto ben in ordine perché ci fosse tutto, lì ,nel Niente. E poi il dizionario per controllare l’etimologia sempre a portata di mano, dio che ossessione per l’etimologia aveva la Signorina, questa mania di sapere da dove arrivava tutto, questa un po’ se la sarebbe portata dietro anche nel trasloco all’età adulta, una volta sposata e diventata, perciò, la Signora In-Sofferente.

Durante quegli anni nessuno era sceso mai, con lei, nel Niente. Non si è mai capito se a nessuno interessasse farlo oppure se fosse lei a impedirlo, le versioni variano a seconda di chi racconta la storia. Come sempre. Come ogni storia. Ancora oggi nel Niente, in fondo, ci sta solo lei. Quello che è cambiato, adesso, è che gli altri lo sanno, non è un mistero, non è più qualcosa che non si dice, che non si racconta volentieri.

Gli altri chi?

Quelli a cui importa. Degli altri non importa. Il Signor Gioioso, lui sì, poteva sapere tutto quello che accadeva nel Niente perché non lo avrebbe mai usato contro di lei, di questo era sicura perché valeva il contrario, perché il Signor Gioioso e la Signora Insofferente sapevano di non essersi conosciuti ma riconosciuti e mentre gli altri ancora si chiedevano come facessero a stare insieme due così diversi, loro si preoccupavano di come avrebbero fatto a stare lontani poi, a un certo punto.

Gli altri chi?

Quelli che capiscono niente, in minuscolo.

A un certo punto quando?

Non si sa, non si sa prima. Ecco perché non ci si può salutare davvero, per bene. C’era materiale a sufficienza per impazzire, pensava la Signora Insofferente.

Quando la Signora Insofferente sprofonda giù nel Niente, nel mondo non cambia niente, il sole sorge e la luna segue le sue fasi, le luci delle lampade crepuscolari si accendono e si spengono senza preavviso, il vento se c’è soffia e se non c’è non soffia, qualcuno nasce, qualcuno muore, qualcuno dorme, qualcuno mangia. Lì sotto la Signora Insofferente pensa di non tornare mai più. Immagina di scrivere lettere di saluto per tutti o solo per alcuni, per i più importanti, lettere rassicuranti niente di tragico, a tutti, alcuni, ai più importanti direbbe, in fondo, lasciatemi qui, a fondo.

La dottoressa della mente ha detto alla Signora Insofferente che, adesso, possono provare a vedersi con meno frequenza, con maggior intervallo di tempo. Non ho capito, ha detto la Signora, che ogni volta che capisce qualcosa subito dice che non ha capito. Non ho capito, meno o maggiore? Di più o di meno?

Di meno.

No.

La Signora Insofferente è, ancora, giù nel Niente ed è concentrata nel redigere mentalmente l’elenco aggiornato dei suoi fastidi. Nelle ultime due settimane ci ha aggiunto: gli uomini con gli stivaletti texani pitonati, le nonne che fanno attraversare nipoti sulle strisce portandogli zaini pesantissimi e bloccando le auto, ferme, con la sola imposizione del palmo della mano che ti vedo hai la linea della vita che dura ancora poco vecchia stronza, scandisce con il labiale la Signora Insofferente, i genitori dei primi della classe, i geni, che se ne sente la mancanza in effetti, i genitori dei fenomeni che a quattordici anni hanno le scarpe con lo strappo perché i lacci sono ancora un problema.

La dottoressa della mente le ha detto che può tornare su quando vuole, ormai, è capace. Ma io voglio stare giù, ha confessato la Signora Insofferente. Vuole stare giù. Dove non sente. Dove non vede. Dove l’orecchio tappato non è un problema, dove ha il dizionario e controlla l’etimologia e per il male c’è la posologia, non vuole andare via, il prezzo da pagare per tornare su è ogni volta più caro.  È come nella Sirenetta, per tornare su Ursula vuole la voce di Ariel.  Anche se la Signora Insofferente non è Ariel. Forse è Ursula.

La Signora Insofferente è, ancora, giù nel Niente ed è concentrata nel redigere mentalmente l’elenco aggiornato delle sue commozioni. Nelle ultime due settimane ci ha aggiunto: suo fratello che ride, finalmente, perché ha visto qualcosa che fa ridere e ha pensato devo dirlo a mia sorella e fra tutti quelli a cui poteva pensare pensa ancora a lei quando c’è da ridere e questo commuove per forza. Sua figlia, la grande, che le racconta cosa è accaduto a scuola e quando lei risponde come la pensa la figlia dice: papà ha detto la stessa cosa. Sua figlia, la piccola, che le racconta cosa è accaduto a tennis a e quando lei risponde come la pensa la figlia dice: papà ha detto la stessa cosa.

La dottoressa della mente ha detto alla Signora Insofferente che in ogni caso possono anticipare la seduta, se ce ne fosse bisogno.  La Signora Insofferente ha iniziato a guardarsi con ancora più attenzione per trovare i sintomi che giustifichino una frequenza maggiore o un intervallo minore. Per ora ha trovato la clinomania, potrebbe essere convincente e quando riuscirà ad alzarsi dal letto scriverà un messaggio alla dottoressa che non potrà rifiutarle un incontro.

La Signora Insofferente è, ancora, giù nel Niente ed è concentrata nel redigere mentalmente l’elenco aggiornato delle sue epifanie. Le epifanie sono come i gusti, ciascuno ha le sue e non disputandum est. Già questa è un’epifania. Nelle ultime due settimane ci ha aggiunto: i viaggi studio e i semestri all’estero non sono un’invenzione commerciale, non sono una trovata geniale di scuole di lingue, sono uno strumento di sopravvivenza approntato da genitori di adolescenti. Un giorno, non si sa quando, un genitore di un adolescente si è alzato, ha preparato la colazione, ha chiamato l’erede penetrando nel buio di una stanza disordinata e ricevendo in cambio un grugnito degno di una porcilaia e tornando sui suoi passi ha pensato a come togliersi l’erede dai coglioni per un lasso di tempo sufficiente a fingere di non conoscerlo ma senza metterlo alla porta anzi facendo sembrare l’operazione vantaggiosa anche per il giovane coinquilino indisciplinato. È così sono nati i soggiorni studio all’estero. Dio benedica i soggiorni studio all’estero. Allo stesso modo le si è mostrato con nitida chiarezza che se è vero come è vero che le sue ragazze non hanno nessuna voglia di unirsi a lei e al Signor Gioioso nei week end fuori porta o per le cene formali è altrettanto vero il contrario. Lei e il Signor Gioioso attendono trepidanti il momento in cui non dovranno più avere al seguito questo coro greco non pagante ma che anzi costa come due adulti noiosi in più in comitiva.

La dottoressa della mente si è detta certa che, comunque, non ci sarà bisogno di anticipare la seduta. La Signora Insofferente ha iniziato a guardare con ancora più attenzione per capire come fanno gli altri a fare quello che a lei costa tanta fatica ma sono anni che ci prova e ancora niente. In minuscolo.      

La Signora Insofferente è, ancora, giù nel Niente ed è concentrata nel redigere mentalmente l’elenco aggiornato dei suoi distacchi. I distacchi sono irreversibili, come i cerotti sui piedi sotto la doccia, puoi anche metterlo di nuovo, ma non quello, quello che si è staccato non lo attacchi più. Nelle ultime due settimane ci ha aggiunto: la possibilità di intervento nella vita delle ragazze. Sbam. Una porta che sbatte e un quadro che si stacca dalla parete. Una persiana che non regge al vento. Una tenda da esterno che si strappa. Un vaso che casca e la terra fuoriesce. Quando erano piccole, la Signora Insofferente arrivava fino alla fine. Dal primo boccone all’ultimo cucchiaino, dalla temperatura dell’acqua ai capelli tutti ben asciutti, dalla comparsa della verruca alla rimozione totale, dalla prima all’ultima gara di nuoto. Di karate. Di tennis. Dalla sigillatura dei denti all’apparecchio. Dal presente indicativo al futuro anteriore. Dalla tabellina del due a quella del nove. Dall’operazione alle caviglie all’osteopata ogni quindici giorni, dalla prima  macchia di mastocitosi alla sua regressione, dalla frattura del gomito alla rimozione del gesso. A suon di firme e decisioni. L’esito di tutto dipendeva da lei principalmente. Adesso, invece, la Signora Insofferente non ha possibilità di determinare i risultati di quello che accade nella vita delle bambine. Perché non sono più bambine. Perchè lei conta sempre di meno. Perché loro iniziano, portano avanti, concludono. Sempre più in autonomia e sempre meno con lei.  Non ho capito, si è chiesta la Signora, che ogni volta che capisce qualcosa subito dice che non ha capito. Non ho capito, di più o di meno?

La dottoressa della mente ha detto alla Signora Insofferente che ha molte risorse a disposizione e la Signora Insofferente temeva che le chiedesse un elenco aggiornato perché quello sarebbe stato un problema, lei che sforzandosi di cercare tra le sue risorse ci trovava solo i “forse”, che se per molti sono dubbi per lei sono certezze e questo non è un componimento in rima, quelli li inventava prima, quando le sue bambine non erano ragazze e le rime servivano a insegnare una tabellina, a sorridere di mattina, a trasformare anche il Niente in gioco perché il tempo per amare è, in fondo, poco.