La madre delle mie figlie

La madre delle mie figlie ha occhi neri che sulla carta dovevano essere dominanti e invece no, sono stati presi e diluiti con il verde dando vita a colori del bosco, il verde delle foglie quando piove in primavera e il marrone dei rami quando restano spogli dopo l’autunno. La madre delle mie figlie ha occhi solidi che ti ci puoi aggrappare oppure li puoi scagliare in uno lago solo per contare i cerchi, meglio ancora puoi usarli nella cerbottana perché sono perfetti per colpire intenzionalmente qualcuno o qualcosa. La maggior parte delle madri ha gli occhi liquidi che ci puoi galleggiare dentro o rinfrescarti se fa caldo, io li osservo spesso gli occhi delle madri e mai ne ho visti di solidi come quelli della madre della mie figlie, loro sanno nuotare bene che poi è la sola cosa che conta, perché a galleggiare son buoni anche gli stronzi.

La madre delle mie figlie è sorridente e allegra, parla moltissimo, racconta storie quasi sempre vere come se fossero frutto della sua immaginazione, cambia voce e accento, imita persone e personaggi per dare a tutti cinque minuti di celebrità, canta agitando i capelli in auto e se qualcuno dalle altre macchine la osserva stranito lei ride forte dicendo alle ragazze “almeno gli abbiamo cambiato un po’ la giornata”. La madre delle mie figlie non le ha mai chiamate bambine, non ha mai parlato delle ragazze come di bambine con quei modi noiosetti di dire “prendi le bambine”, “devo fare il bagno alle bambine”, “vai tu dalle bambine”, no, no, sono sempre state Le Ragazze nome proprio di Entità superiore, divinità bifronte di cui lei è la sola sacerdotessa.

Per agevolare la narrazione fa ricorso a formule fisse come un vecchio aedo lasciato ai margini della sala del banchetto fino alla fine della cena, così le ragazze imparano il mito che le riguarda e  che sono :“non vi ho fatte gratis”, “rispetto all’eternità la vita è un pirito nella notte, quindi siate felici più che potete” “non posso farlo al posto tuo”, “ma non è che a me le hanno date già fatte, le ho fatte io”. Quest’ultima formula, in particolare, la utilizza per frenare sul nascere i confronti patetici portati avanti da sprovveduti commensali che non sanno regolarsi con il vino o anche solo con la propria emotività, costringendo la madre delle mie figlie a uscire dal suo angolo per prendere la parola e ricondurre la narrazione sui binari della realtà e la realtà è che no, non gliele hanno date già fatte, già svezzate, già senza pannolino, già senza ciuccio, già capaci di addormentarsi da sole o di vestirsi da sole o di allacciarsi le scarpe da sole o di mangiare da sole o di soffiare il naso tirando o giù e non tirando su, già in grado di leggere e scrivere e nuotare e giocare a tennis, in grado di avere le parole per chiamare la paura o il dolore e le abilità per distinguerli, già capaci di stare sole. Gliele hanno date sole, senza foglietti o manuali, come a tutti gli altri, proprio come agli incontinenti emotivi che blaterano di una sua fortuna a loro non concessa dal fato avverso. “non me le hanno date già fatte, le ho fatte io” è la formula di chiusura, prima di serrare gli occhi dopo averli scagliati.

La madre delle mie figlie ha righe sottili intorno agli occhi come un foglio di quaderno pieno di parole  che si leggono solo se strizza lo sguardo in una risata o per mettere a fuoco e le parole le capisce solo lei e pochi altri: tatam, aspetta un antimo, giagar, giogione gratta, i denti giaaaalllliiii, le zampe di iupo,il principe imase incantato bellezza, la biba nella pancia, come chiama tuo papà, come chiama tua mamma, ludo- vico come me, io piace acqua zante, maicocca. E ha dei segni accanto alla bocca, due unghiate che vengono giù che si vedono bene nei giorni in cui è più tirata in viso, quando ha le guance un po’ scavate ecco che le ferite degli artigli neonati vengono fuori, procurate mentre allattava dalle lame montate al posto delle unghie, perché questo facevano le ragazze, mentre la mangiavano le mettevano le mani in faccia e nella bocca, mentre avevano il suo corpo in bocca offrivano in cambio un pezzo, le rigavano il volto per entrarle nella bocca e farsi mangiare a loro volta, per suggellare l’amore, quell’amore, quel tipo di amore che è come il potere, cannibale.

La madre delle mie figlie non è né giovane né vecchia, ha milioni di anni come le madri hanno e poche ore di vita ogni giorno nuovo, non lavora come fanno le madri che sono sempre presenti e lavora moltissimo come fanno le madri che non ci sono mai,  ha idiosincrasie fortissime verso le nonne che si arrogano diritti e sputano giudizi da bocche informi, nessuna nonna pensa di arrogarsi diritti  e sputare giudizi da bocche informi, tutte le nonne si arrogano diritti e sputano giudizi da bocche informi, ha istintivi moti di solidarietà verso le madri che cercano di fare da sole, senza foglietti o manuali o giudizi sputati da vecchie sedute su un trono di stronzate che offrono aiuto solo per intestarsi ancora qualcosa invece di occuparsi di cosa lasciar scritto sulla lapide, verso le madri che comprendono che quello non è aiuto ma è ricatto. La madre delle mie figlie quando vede una nonna si irrigidisce moltissimo, non sembra nemmeno più lei ma sembra quasi me.

Ci sono giorni in cui è molto stanca per colpa mia, per i pensieri che le do, quei giorni sono principalmente pomeriggi già inclinati verso sera e si capisce che è molto stanca perché mentre guida verso casa vede l’insegna di un ristorante che c’è all’angolo prima di svoltare nella via dove abita, un’insegna bella grossa che non puoi non notarla, un ristorante grande dove prima c’era un magazzino di materiali per l’edilizia e se anche puoi cambiare la destinazione d’uso alle cose non puoi farlo con la vocazione d’uso, un ristorante pieno di coperti e con il karaoke il sabato, un ristorante che fa anche la pizza, un ristorante dove la polo con il colletto tirato su è eleganza, in quei pomeriggi lei rientra a casa e pensa che in fondo, forse, si mangia bene anche lì. Poi svolta, apre il cancello automatico, saluta il vicino dell’interno 1 che  si occupa sempre del giardino, fa un cenno al vicino dell’interno 4 che traffica sempre in garage, punta il telecomando verso il basculante del suo garage ed entra in retromarcia come in molte cose della vita, in genere quelle che condivide con me.

La madre delle mie figlie esce con le amiche, ogni tanto, a cena o a pranzo. La madre delle mie figlie ha amiche che sono amiche solo sue, io le conosco poco e loro non conoscono bene me. Io ho amiche solo mie, che non conoscono a fondo la madre delle mie figlie. Io cambio spesso ristorante, provo posti nuovi. La madre delle mie figlie no, va sempre nella stessa pizzeria perché sa che poi non avrà sete tutta la notte, quando ci va ci va di martedì perché è un giorno in cui i ritiri delle ragazze sono limitati e il padre delle mie figlie può gestirli da solo senza sovraccarico. La pizza, però, la cambia, non prende sempre la stessa, la sua amica invece ordina sempre la capricciosa senza qualcosa. Quando parla delle ragazze , la madre delle mie figlie, si illumina tutta e fa quella cosa civettuola di vantarsi fingendo di non vantarsi, si vanta e si schernisce allo stesso tempo, ridacchia di bravura a scuola e nello sport, decanta talenti e virtù di questi esseri speciali che per il suo tramite hanno deciso di vivere su questo pianeta e lei, tutta vanagloriosa illustra la meraviglia che contribuisce a mettere nel mondo tutti i giorni dopo averle messe al mondo in due giorni estivi di qualche anno fa. Bisogna volerle molto bene per reggerla in questi momenti, io mi distraggo un po’, penso ai fatti miei anche perché poi è il turno della sua amica che fa la stessa cosa con i suoi ragazzi. Io quando esco non me la porto dietro, la lascio in auto ad aspettarmi, con il cellulare nel caso le ragazze la cercassero e parlo, rido, ascolto donne che raccontano storie di uomini con il colletto della polo tirato su, approcci sgrammaticati come quello che mi è toccato qualche giorno fa quando mi hanno detto “bella topa” sostenendo che si trattasse di un complimento davanti alla mia obiezione che forse non era il caso e allora giù a ridere, e questo abbinamento del salmone con il sesamo è davvero riuscito e poi a commentare e interpretare con perizia di esegeta scambi di messaggi tra ultraquarantenni con qualche schiaffo preso e qualche morso dato, con abitudini che cambiano e residenze da aggiornare per poi saltare il dolce che siamo piene e ammazzarci dal ridere per le foto del cazzo in chat che mandano i fenomeni. Non nel senso di foto venute male. Poi mi trascino fino all’auto e lascio guidare la madre delle mie figlie, chiudo gli occhi e faccio finta di dormire.

Alla madre delle mie figlie nessuno chiede mai come sta, non per davvero. Io poco. Ci sono giorni interi in cui non la guardo nemmeno, la lascio lì, indaffarata e soddisfatta con il suo carico di dubbi da sbrogliare come le catenine quando si attorcigliano nel portagioie. La madre delle mei figlie lo chiede sempre alle ragazze e anche a me, lo chiede per davvero, le interessa davvero. E poi vuole sempre sapere cosa abbiamo fatto. Le ragazze rispondono, raccontano mattine intense, interrogazioni vivaci, sono abituate a parlare e ad essere ascoltate,  io me la scrollo di dosso con un laconico “niente”. Allora si siede accanto a me, mi guarda e sta zitta. Io fisso davanti a me, in genere il muro o la porta e fisso così forte che alla fine non vedo niente davanti a me. Mi accarezza i capelli, hai fatto bene a tagliarli, mi dice, ti stanno bene i capelli corti, si vedono bene gli occhi. Porto sempre gli occhiali da sole, rispondo infastidita. Quando li togli, quando li togli si vedono. La madre delle mie figlie ha una pazienza che non so da dove prende, non è una pazienza teorica, è una cosa vera, che la tocchi, come una torta, come un lenzuolo pulito, come due sassi che decidi cosa farne. A volte viene con me dalla dottoressa della mente, è stata una sua idea, della dottoressa. Chiamiamola, ha detto una mattina, ci può aiutare ma io non volevo, la disturbiamo ho risposto. La madre delle mie figlie non la disturbano mai, è lì per fare quel che serve e lo fa, bene, lo fa davvero bene anche se nessuno glielo dice, non per davvero. Io sì, a volte. Allora sorride e le mamme sono tutte molte belle quando sorridono mi viene da pensare. La madre delle mie figlie ha parlato con la dottoressa della mente e hanno deciso insieme cosa fare, con me, quando mi succedono quelle cose che mi succedono, di iniziare a dirmi cose brutte e offensive, a puntarmi il dito contro per criticarmi con ferocia, per dirmi che non sono capace, che devo stare zitta, che la devo smettere, quando mi giudico da un pulpito che non è il mio, quando mi guardo con occhi che non sono i miei. Quando è così arriva lei, mi protegge dagli attacchi, mi difende, mi parla con amore, un amore che ha imparato da sola, senza foglietti o manuali, un amore così impreciso da essere rassicurante e mentre mi calma racconta storie perché io le impari, con formule fisse perché sia più facile ricordarle “rispetto all’eternità la vita è un pirito nella notte, quindi sii felici più che puoi”, a me non lo dici che mi hai fatta tu, eh, sono un casino dentro, un casino che fuori sembra funzionare benissimo, ma a me non lo dici che non mi hai fatta tu, piagnucolo fragilissima.  Bisogna essere molto forti per avere un casino dentro e funzionare benissimo fuori mi sussurra sempre, un attimo prima di lasciarmi chiudere gli occhi.

La madre delle mie figlie non me l’hanno data già fatta, l’ho fatta io. Poi serro gli occhi dopo averli scagliati .