È che sto morendo.
Sbam. Boom. Bang.
Non sono malata ma sto morendo. E devo dirlo e non c’è altro modo che scriverlo. Per me. Sono (stata) balbuziente. Scrivere è (stata)la sopravvivenza. Anche adesso che sto morendo. Quel che scrivi nasce. Quel che scrivi si avvera se non è ancora accaduto. Quel che scrivi non puoi cambiarlo più. Quel che scrivi non muore mai.
Sto morendo e sono la prima ad esserne addolorata, profondamente. Lo giuro. Non mi rassegno, non cerco cure perché non sono malata e nemmeno stupida. So che deve accadere, mi veglio, mi porto l’acqua a inumidire le labbra, mi impedisco eccessi con quel pudore della misura, come se servisse a darmi un giorno in più. Mi piango disperata come la più abile prefica su piazza, tiro i miei capelli sottili e racconto a voce alta quanto sia stata, cosa sia stata, che tutti conoscano la portata di questo evento. Non mi rassegno e dovrei. Resisto. Chiedo ancora acqua, chiedo ancora aria, chiedo ancora ma senza volere più.
Sta morendo la figlia. Che strazio, eh? La morte di un figlio, che ferocia, che disumanità. Tutti dicono che manca la parola per indicare un genitore rimasto senza figlio. Anch’io l’ho detto, spesso. E pensato. Mi fa sorridere, ora, che tutti dicano a parole qualcosa per cui manca la parola. Se manca la parola non bisogna dire. O inventarne una. Sta morendo la figlia disapprovata, quella del “fai come vuoi tu” tanto non andrà bene come vuoi tu e avresti dovuto fare diversamente ma, come sempre, non l’hai fatto e allora non chiedere consolazione. Sta morendo la figlia che ha desiderato tanto, tanto, tanto essere consolata da se stessa e spesso è stata incolpata di essere se stessa. A volte apertamente, a volte di striscio. Come quei proiettili che feriscono e basta. Sta morendo la figlia e chissà se verrà reclamato un corpo su cui piangere. È dei genitori pretendere il corpo, per avere un posto dove andare. La letteratura è piena di genitori che esigono il corpo per avere pace, per convincersi, per loro, per il loro dolore. È assurdo, penso. È assurdo che chi ti ha amato senza che il tuo corpo fosse formato abbia bisogno del tuo corpo decomposto per continuare ad amarti. È assurdo, penso. I genitori sono i soli a cui non dovrebbe interessare del tuo corpo, di quanto vicino possono tenerlo, dovrebbero essere in grado di amarti nell’assenza con l’intensità che nessuno al mondo può raggiungere se l’intensità vale a misurare l’amore. Se qualcosa vale a misurare l’amore. Se l’amore dei genitori è misurabile. Paragonabile. Non vorrei che pretendessero il mio corpo, sono intelligenti, sanno dove ritrovarmi. In una macchia di caffè sul polso per uno. Nel colore degli occhi, solo il colore non la forma lo so perché i suoi sono più grandi e i miei più piccoli ma il colore è quello, per l’altra. E in tutte le cose che sono stata nonostante la mia paura di sbagliare ad essere. Resto lì.
Sta morendo la moglie. La moglie amata come nessuna al mondo è stata amata. Amata al costo di cambiare strada quando la strada si confonde con la vita. Amata al costo di smettere di zuccherare il caffè per vedere se davvero è meglio fidandosi di una che non lo ha zuccherato mai e non può sapere cosa è meglio. La moglie a cui non manca niente a parte se stessa nei giorni di sole, i più difficili da sostenere. Sta morendo la testimone di un pezzo di cammino, si dimentica alcuni episodi, è più imprecisa nel raccontarli. È debole, a volte trasparente, sembra cristallo ma non tintinna, è vetro, comunque sempre trasparente. Ecco perché ci si vede attraverso, dentro, metti la mano dall’altro lato e te la vedi che sembra uguale, proprio la tua mano per niente deformata ed è così che avete immaginato l’amore se l’amore si immagina, è così che avete costruito il vostro amore se l’amore si costruisce. Forse non è vetro, è cristallo. Tintinna nei giorni di pioggia, i più agevoli da lasciar scivolare via. Allora non ti interessa più il passato, impreciso, ormai accaduto, a volte caduto, allora interroghi il futuro ma non sai come si fa. Non basta sedersi lì di fronte e chiedere cosa sarà e guardare dentro, attraverso. A volte bisogna chiudere gli occhi e senza chiedere lasciare che ti venga detto il presente e aspettare il futuro fidandosi di una che il futuro lo aspetta da sempre. E quando si riaprono sorridere e proporre. “Ci sposiamo di nuovo?”
Sta morendo l’amica. Ci sono gli amici diretti e quelli indiretti, come i parenti. Non mi piacciono i parenti, in generale quelli di nessuno, nello specifico i miei e ancora più nello specifico quelli di Lui. Mi piacciono gli amici. Pochi e immortali. Ma adesso sto morendo e non riesco più a tenerli accanto, a dirgli veramente cosa sta accadendo, i moribondi sono egoisti a ragion veduta. Dimenticano i pensieri degli altri, centellinano il tempo e le parole, si distraggono, rifuggono dalla concentrazione. Mi rivolgo a quelli con cui non devo parlare e che non ho bisogno di ascoltare. In un reciproco silenzio leale ci sappiamo. Ci conosciamo come qualcosa che hai studiato in modo approfondito, nessuno ti porta via quel che conosci, quel che sai. Gli altri li accarezzo da lontano, li evito da vicino. Sono distante. Sono al parco con i cani. Sono al tavolino del bar di piazza Benefica, sono a scuola, sono in ufficio, sono in auto, ti chiamo da lì. Lontana, se mi saluti con il cenno della mano lo vedo ma se parli non ti sento. Sono lì, in quel punto, non so per quanto ma se anche lo sapessi non lo direi perché sto morendo e non voglio più dire cose utili, voglio un momento di attonito stupore, un sorriso sarcastico, che io farei, a chiudere i commenti, voglio che i diretti, pochi e immortali, mi sappiano ancora e sempre perché comunque resto una cagacazzo, voglio che gli indiretti prendano qualche mia frase e se la intestino, niente fiori né opere di bene, niente lapidi ma parole scritte portate a spalle come un bimbo stanco, perché si è divertito troppo. Se ci si può divertire troppo.
Sta morendo la mamma. Che strazio, eh? La morte per un figlio, che ferocia, che schiaffo di umanità. Che strappo. Ti avevano rimontato il cordone ombelicale, non lo sapevi, te ne accorgi adesso perché senti la lacerazione, il taglio. Vuoi accarezzare il corpo, toccare la mano, baciare la fronte fredda. Un figlio deve avere un corpo su cui piangere, dovrebbe essere un diritto costituzionalmente garantito perché il mondo non è mai esistito senza quel corpo che lo abitava e quando cambia per sempre il tuo mondo allora tu devi poterlo congedare come si deve. Il corpo da cui sei uscito è la casa dove non farai mai ritorno e il dolore deve diventare nostalgia e la nostalgia deve diventare un’altra stanza nella quale rifugiarti quando fai un brutto sogno, che poi si dice incubo. E quella stanza non deve essere più grande di uno sgabuzzino. E non serve che ci siano finestre e nemmeno che ci sia ordine. E gli incubi sono strani perché esistono ma non esistono, anche i sogni, certo. Ma degli incubi sei felice che esistano ma che non esistano. E poi i sogni è meglio non raccontarli troppo in giro mentre gli incubi se li racconti, sai, non si avverano. La mamma lo sa, ecco perché ci credi. Sta morendo la mamma, bisogna far tesoro di ogni bacio, alla piccola darne qualcuno in più perché la grande ha un vantaggio di due anni e chissà se è mai stato pareggiato, non abbiamo tenuto la contabilità dei baci. E delle coccole. E delle urla. E dei rimproveri ma sono stati pochi. E non sappiamo di preciso dove mamma si è nascosta, di certo non nel colore degli occhi e nemmeno nella forma, bisognerà cercarla altrove ma se avete la mappa non sarà difficile. Sta morendo la mamma ma al suo posto sta nascendo la madre. Alla mamma si parla, della madre si parla. Dalla mamma si corre, dalla madre si scappa. È tutto così giusto, così corretto, ineccepibile sotto ogni aspetto. Solo alla fine, bimbe mie, solo alla fine, quando stai morendo dici di nuovo mamma. Chiami la mamma, perché è lì che vuoi andare, se proprio devi andare.
È che sto per rinascere.
Sbam. Boom. Bang.

Post superlativo! Complimenti.
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Grazie.
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parlare e scrivere della morte non è facile
hai scritto parole dure che arrivano dirette ma allo stesso tempo con rispetto di ciò che si può provare
mi hai colpito direttamente perchè ho perso tante persone sul cammino fin qui fatto e mi hai fatto riaffiorare sentimenti sepolti
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mi dispiace per le tue perdite. i sentimenti sepolti, penso, fioriscono. come semi. basta non avere fretta, credo.
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