La cosa peggiore che mi può capitare è che le mie figlie muoiano prima di me. Dovrebbe essere banale dirlo,scriverlo,pensarlo. Ma se davvero fosse così banale allora non dovrei sentire il nodo alla gola che sento,non dovrei avere la salivazione azzerata che ho,non dovrei essere in procinto di piangere come sono solo per averlo detto,scritto,pensato.

Oggi la cosa peggiore che mi può capitare è capitata ad una persona che conosco,molto vicina all’azienda per la quale lavoro.

Ho ricevuto la telefonata questa mattina,mentre leggevo i messaggi della chat della quinta elementare che pare che qualche genitore abbia mandato una lettera anonima al preside perché in disaccordo con la scelta del supplente e invece parte dei genitori approva il supplente ma non approva la scelta della lettera anonima ma allora la parte che non approva il supplente e non approva neppure le lettere anonime ha sentito la necessità di puntualizzare. Così alle 9.30 ciascuno aveva esercitato il proprio diritto di espressione e di informazione. Ed io sono rimasta con la cornetta a mezz’aria,la bocca aperta e davanti agli occhi l’immagine di una donna sorridente,allegra e di sua madre,poco sorridente e anzi severa nello sguardo e brusca nei modi. Poi le immagini si sono rincorse,sovrapposte,confuse.Sono certa che quei lineamenti così come li ho conosciuti non li troverò mai più.

Una farà un altro viaggio,sorriderà da altrove.

L’altra non sorriderà più. Le si pietrificherà il viso,si svuoterà lo sguardo,per volgersi solo dentro perché fuori non c’è più niente da vedere. Non c’è più il colore del cielo,il rosso del semaforo,il marrone dell’autunno,un libro,un film,un menù al ristorante .

Dentro c’è la bambina che hai cresciuto,il saggio di danza che hai mancato per il lavoro,l’insufficienza a scuola di quella generazione che era ancora colpa tua mica della maestra,la sigaretta di nascosto,il fidanzato che non approvi ma lei è innamorata pazza,quello che ti piace ma lei lo lascia perché troppo buono. E la gonna corta,il regalo di compleanno,il biglietto sulla porta per dire che si ritarda,la cena solo da scaldare,gli esami all’università di quella generazione che non aveva i crediti ma un numero certo di esami da far scrivere sul libretto rosso .

Dentro è il solo posto dove avrà senso guardare.

Perche’ io un mondo senza le mie figlie non lo vorrei più vedere.

E ci troveremo a dire parole e useremo la retorica delle frasi fatte,senza una emoticon adeguata questa volta,ma quella retorica sarà il rituale che ci consentirà di esorcizzare la paura e di contentere ciò che non trova un contenitore giusto.

Le parole che pronunceremo non saranno di conforto,forse nemmeno arriveranno,resteranno ferme nelle orecchie a rimbombare da lontano.

Perche’io un mondo senza le mie figlie non lo vorrei

sentire,al massimo potrei ascoltarlo.

Eppure quelle parole le pronunceremo,commossi,sinceri. Ma la sola verità è che se non c’è la parola per indicare un genitore che sopravvive a suo figlio è perché questa realtà non si può esprimere. È una parola che non si crea perché racconterebbe l’impossibile,l’indicibile.Quando non c’è una parola per dire qualcosa bisogna tacere.  E lasciare il compito agli altri organi di senso.Quando non c’è la parola ci si guarda dritto negli occhi.Quando non c’è la parola ci si tocca in un abbraccio che ci costringa ad annusarci da vicino come gli animali che così si riconoscono e si comprendono. Non ho parole per il tuo sgomento. Ma l’odore del tuo dolore assomiglia a quello della mia paura.Ti riconosco.TI comprendo.

 

Ciao Elisa.

 

 

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