2018

 

Mi accadono giorni lattiginosi, biancastri e annacquati. Giorni che infiltrano come liquidi riversati sul pavimento, faticosi da raccogliere e sempre un po’ appiccicosi. Mi accadono giorni alla rinfusa, mescolati come numeri della tombola, incasinati come le mutande nel cassetto di Cri e sempre un po’ sparpagliati. Mi accadono giorni silenziati così da non da disturbare, giorni a cui tolgo il volume e disattivo le notifiche, come il gruppo whatsapp della classe, giorni sempre un po’ imbozzolati. Mi accadono giorni fastidiosi, giorni di prurito sulla schiena in un punto dove non ci si riesce a grattare da soli, giorni sempre un po’ contorsionisti.
Mi accadono giorni rimuginanti di parole impastate sul palato come l’ostia durante la comunione, giorni in un angolo a rimettere insieme pezzi come un esame di coscienza, giorni sempre un po’ ricuciti. Mi accadono giorni che non raccolgo da terra, li lascio stare come giocattoli dimenticati, giorni sempre un po’ disordinati. Mi accadono giorni lontani come le fotografie con i nonni e la frangetta, l’occhio storto e il sorriso forzato, giorni sempre un po’ infiniti. Mi accadono giorni vicini come coltelli accanto alle forchette nel portaposate nel primo cassetto della cucina, giorni sempre un po’ apparecchiati. Mi accadono giorni rovinosi preannunciati da un refolo lieve e che diventano imprevedibile burrasca, giorni sempre un po’ irreparabili.
Mi accadono giorni interrotti come un discorso quando suona il telefono e devi rispondere, come un sogno quando la notte finisce e sempre un po’ mutilati. Mi accadono giorni difettosi come un pantalone quando casca male sul sedere, una giacca corta di manica e stretta di spalle, giorni sempre un po’ di cattiva fattura. Mi accadono giorni ignorati come certe persone che tiri dritto e va bene così, come certi argomenti che adesso no e sempre un po’ offesi. Mi accadono giorni insoluti, come una ricevuta bancaria quando non la paghi, come una litigata quando non la chiudi che sia anche con un pugno dritto sul naso, come una traccia se non la segui fino in fondo e sempre un po’ a credito, o a debito, dipende da dove ti metti.
Mi accadono giorni rituali come una preghiera. Giorni che non danno conforto ma ripetono una speranza, giorni consacrati a una divinità e sempre un po’ bestemmiati. Mi accadono giorni reietti come avanzi di galera, come adulteri che non chiedono perdono e, anzi, sfidano la fede e calciano le definizioni fino a farle franare. Giorni sempre un po’ ostracizzati. Mi accadono giorni interi come unità di misure senza gradazioni, come colori primari senza diluizioni, come alleli dominanti e sempre un po’ prepotenti.
Mi accadono giorni involontari come il cuore che non ne può niente se batte e per chi batte e per chi non batte più. Come i sogni quando la notte inizia e tutto può accadere anche nelle notti che non accadono mai. Giorni sempre un po’ irresponsabili. Mi accadono giorni impetuosi come un fiume quando rompe gli argini, come le mie parole quando si staccano dal palato e danno un pugno dritto sul naso e sempre un po’ in tempesta.
Mi accadono giorni materni e nutrienti, giorni che profumano di torta con il lievito vanigliato e la cottura giusta, di pelle del collo quando si fa cuccia per i cuccioli e sa di buono e di amore, giorni sempre un po’ eterni. Mi accadono giorni migliori come gli anni passati quando li ricordi e sei clemente e indulgente e la verità è che non è vero niente. Giorni sempre un po’ alterati. Edulcorati.
Mi accadono giorni peggiori, come la versione di me davanti alle frasi sgrammaticate di soggetti patetici, quelli del pugno dritto sul naso. Giorni sempre un po’ vendicativi. Mi accadono giorni lenti come l’attesa di una risposta che non è mai veloce come la domanda, lenti come la vendetta quando aspetti che si freddi e non sai come capire se è arrivato il tempo. Giorni sempre un po’ interlocutori.
Mi accadono giorni leggeri come una borsa vuota, un bicchiere pieno, un cielo sopra la testa che non minaccia, la testa non il cielo. Giorni sempre un po’ più rari. Mi accadono giorni ridanciani come una cena con mio fratello, come un gioco che non coincide con l’anagrafe. Giorni sempre un po’ di meno.
Mi accadono giorni onesti come lo specchio davanti alla doccia. Come le assenze che sono unità di misura delle presenze, senza gradazioni. Come i silenzi con cui non riprendi un discorso interrotto e lasci che quei lembi stanchi sbuffino ai refoli.Giorni sempre un po’ di più.

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Sono una che poi te ne vai.

 

Sono una che poi te ne vai.

Ti avvicini per curiosità, fai cento domande e cento volte rispondo, mi osservi, non capisci, ti fermi un po’ ma sono una che poi te ne vai. Ti avvicini per vedere cosa è successo, come quando rallenti per un incidente in tangenziale, guardi, non capisci, ti fermi un po’ ma sono una che poi te ne vai. Ti avvicini per sentire se il suono ti rapisce, come quando alzi il volume quando passa per radio una canzone nuova,ascolti, non capisci, ti fermi un po’ ma sono una che poi te ne vai.

Sono una che poi te ne vai perché tanto non ti chiedo di restare. Non ti chiedo di venire, passare, fermarti un attimo, farmi cento domande, guardarmi, ascoltarmi. Sono una che poi te ne vai perché non ti chiedo. Come stai, dove vai, cosa farai a Capodanno, se ti piacciono i girasoli, se ascolti la musica mentre fai la doccia, se preferivi storia o geografia, nessuno preferisce geografia, dai, se ti piace Salvini, per me è come la geografia, se hai capito le ragioni del si al tav, del no al tav, se hai delle ragioni, anche non buone, ma se le hai. Non ti chiedo come si chiama tua madre, se ti accarezzava da piccolo, la mia no, non che mi ricordi. Non ti chiedo se sei della juve o del toro, per me è come la geografia, non ti chiedo di accarezzarmi, di restare, di chiedermi se ho delle ragioni, anche non buone.

Sono una che poi te ne vai perché se resti io non so cosa fare. Non so più nemmeno cosa dirti dopo un po’.  Non so nemmeno accarezzarti è più facile che ti graffi o che ti punga o che ti pungoli con la lama della voce quando dico no  o che ti ferisca con lo sguardo quando diventa nero e denso e c’è chi ci vede abisso e c’è chi ci vede mancanza e c’è chi non ci vede nulla e allora niente. Sono una che poi te ne vai perché non so cosa dirti, non so cosa fare e non so toccarti senza romperti da qualche parte e non so dirti che mi dispiace perché non mi dispiace di averti ammaccato, colpito, di non aver detto, di averti guardato che forse era niente o forse mancanza. Sono una che poi te ne vai perché manco. Manco dentro, manco io, manco nello spazio, c’è un vuoto e lo colmo con il mio respiro e con il mio rancore e gonfio l’addome e ingoio aria e manco, manco a me stessa, manco il bersaglio, manca il tocco leggero di una madre che ti rattoppa con un cerotto dove sei graffiato o dove ti sei punto e ferito o dove niente, facciamo finta e rattoppami lo stesso.

Sono una che poi te ne vai soprattutto se sei una donna. Perché non sei a tuo agio. E non so dirti che mi dispiace perché non mi dispiace di non essere come ti aspettavi, di non adeguarmi al paradigma, che poi, guardami, cosa vedi di così strano che non ti mette a tuo agio? Cosa senti di così fastidioso da non volerti fermare? Che poi, guardami, cosa c’è che non ti torna, sono banale e monotona, un uomo accanto che è la mia ragione, a volte non buona, ma la ragione più forte che ho, due cani che mi lasciano peli sul pantalone nero uguale al tuo, comprato nello stesso negozio,due figlie e scorte di cerotti e di carezze a lenire qualsiasi botta anche solo la mancanza che non diventi mai mancanza di sé e mancanza di se, un lavoro che a volte è come la geografia, eppure non ti fidi, non resti. E io non ti fermo perché io lo so che sono una donna che, tanto, soprattutto se sei donna poi te ne vai.

Sono una che chi è rimasto non ci credo. A volte non ci credo. Sono una che chi è rimasto quasi sempre prima se n’è andato. Ma poi è tornato. Aveva delle ragioni, anche non buone. È andato ed è tornato e rimane e non preferisce la geografia, non sa mai cosa farà a Capodanno, ha peli di cane sui vestiti, ha comprato i cerotti e se li porta dietro, mi chiede una domanda sola e rispondo una risposta sola, schiva il colpo e se è una donna ha capito come rattopparmi e che sono una che poi ti accarezza.  semaf

Di quel giorno che avevamo tempo di inventarci il tempo, bimbe mie…

 

Sul tempo se ne dicono poi tante

Bimbe mie, lui è uno importante

si dice che voli e anche che stringa

che tutto aggiusti come una casalinga

c’è chi lo ammazza e chi l’ha perduto

senza aver nemmeno combattuto

c’è chi lo lascia così come lo trova

perché tanto a cambiare non ci prova

 

sul tempo son molte le dicerie

chissà se sono vere, Bimbe mie

chi è veloce, si dice, lo guadagna

ma vive con la fretta alle calcagna

chi ne ha molto, si dice, lo venda

conosco chi può farci un’azienda

chi dice che il tempo è denaro

state certe ha un animo avaro

 

sul tempo ognuno ha le sue teorie

alcune sono strambe, Bimbe mie

il nostalgico che dirà bei tempi

raccontandovi di mille esempi

il corrucciato che dirà tempi bui

come se riguardassero solo  lui

dirà erano altri tempi il deluso

mogio come chi si sente escluso

 

sul tempo ne ho sentite a iosa

Bimbe mie,sapete sono curiosa

c’è chi lo vede solo da spiragli

e quel che ama lo infila nei ritagli

c’è chi lo appella come tiranno

e lo combatte con vano affanno

chi pensa sia galantuomo,aspetta

ognuno ha la sua Nemesi, o vendetta

 

Sul tempo se ne dicono poi tante

Bimbe mie,lui è uno importante

Per i credenti è in mano alla divinità

Per lo scienziato,no, tutto è relatività

Per il filosofo si tratta di astrazione

Per il popolo si guarda la previsione

E per me che so davvero niente

Il tempo è solo il tempo che si sente.