Ogni volta che ho chiamato un taxi, lo scorso fine settimana a Roma, l’operatore mi ha risposto: il tempo di arrivare. Nessuna indicazione, stai lì buona e aspetta tanto dove devi andare se non sai come andarci. Mia figlia mi ha chiesto quant’era il tempo di arrivare. Che ne so, Cri, che ne so, le ho risposto. È come se ci avessero detto appena inizia a piovere o quando si alza il vento. Non lo so. Come faccio a dirti quello che non so, bambina mia? Già è difficile con quello che so, per esempio so che la corsa di ritorno costa sempre di più della corsa di andata e non ho mai capito il perché. Lei non mi ha risposto, mi ha guardata sotto il sole e sotto i suoi pensieri, non so quali bruciassero di più. Succede spesso che non mi risponda, annuisce quello sì, oppure guarda un punto fisso davanti a sé senza osservare nulla, poi apre un libro e sparisce tra le pagine, come quando si tuffa che non la vedo più.

Ha fatto anche quello, lo scorso fine settimana, il primo bagno in mare della stagione, si è avviata verso la riva e poi non l’ho vista più. Che sollievo tutti quegli anni di nuoto a scuola, per lei e sua sorella nuoto è materia scolastica, a me hanno tolto il peso dei pomeriggi in piscina controvoglia, perché così sarebbe andata, le avrei dovute obbligare e io non avevo, non ho, la voglia e le forze per obbligare qualcuno a fare qualcosa.  Io non so nuotare, non avrei potuto insegnarglielo, questo è uno degli aspetti che mi sono più chiari della vicenda genitoriale: non puoi insegnare quello che non sai. Forse nemmeno il resto, ma sicuramente non quello che tu non sai. Com’è l’acqua, le ho chiesto. Più simile a quella di Lignano che a quella della Sardegna ma andava bene, mi ha risposto. Ho ripreso a leggere pensando che ha imparato a nuotare senza che me ne accorgessi e allo stesso modo a giudicare in modo onesto quel che la circonda. Cristina non esagera mai, sua sorella forse un po’ di più, ma solo nei modi, mai nei contenuti. Poi mi sono appisolata con il libro aperto sulla pancia per non perdere il segno, sapendola accanto a me anche se in silenzio, senza più la litania di sottofondo che era il parlottare tra lei e sua sorella quando giocavano sotto il lettino, in spiaggia, io chiudevo gli occhi e mi bastava allungare una mano per sfiorarle entrambe. Non è più così.

È cambiato. Cosa, mi ha chiesto. Tutto. Il nostro modo di stare insieme, di scherzare, lo spazio che dividiamo, prima non lo dividevamo, lo condividevamo. Ma è normale. È giusto. Il cambiamento è un processo, le ho detto. I tempi del processo sono lunghi, si sa, e poi i processi sono sempre fatti da parti in causa e alla fine c’è sempre una decisione che scontenta qualcuno, in genere quello che non ha nemmeno capito le ragioni del processo, del cambiamento. E se lo capiscono entrambi, mi ha chiesto. Allora è meglio, il cambiamento viene accettato, c’è una transazione e si va avanti. Sono i cambiamenti i bastardi invece, perché son robe di un attimo, quelli, e tutto viene stravolto. Ecco, dovessi dire una cosa che ho capito è questa, bambina mia, affronta il cambiamento con validi argomenti e non ti intestardire sui cambiamenti, non li prevederai mai. Quanto tempo serve per il cambiamento? Non lo so, il tempo di cambiare, credo. O quando inizia a piovere. O se si alza il vento. Non lo so. Però so che non si può cambiare quel che hai già fatto. In genere, sono le cose che hai già fatto che possono cambiare te.

Come pensi che andrà la gara, mi ha chiesto. Come se bastasse il mio pensiero a rendere valido un pronostico, come se le madri avessero un qualche valore predittivo nascosto in tasca. Io in tasca ci tengo le dita incrociate e basta. Non lo so, quindi questo non posso dirtelo, bambina mia. Ma so che le brutte sensazioni si portano appresso sempre una quota di verità maggiore delle belle sensazioni. L’intuito funziona così, mia madre la chiama l’’anima che trema e non mi ha mai parlato di anima che balla per la gioia. Quando? Quando le chiedevo secondo lei come sarebbe andata, per me. Certo che lo chiedevo, è mia madre, a chi altri avrei dovuto chiedere di sentire al posto mio? Di sentirmi al posto mio.

È così. Cosa, mi ha chiesto. Il trucchetto è così. Io ho già avuto 14 anni, bambina mia, tu non ne hai mai avuti 42. Sono io che posso sapere cosa provi tu e non il contrario. O almeno, ci provo. Andrà male la gara? Può darsi, molto probabile. Soffrirai, ne sarai delusa, penserai di aver sbagliato, vorrai mollare, non saprai come dirmi tutte le parole che ti rimbomberanno in testa. Se io ci scherzassi su, è solo una gara in fondo e se anche tu vincessi non ti darebbero nemmeno una coppa, nemmeno una tazza da usare come portapenne, ti offenderesti. Se ti dicessi che quel male è questione di poco nella durata della tua esistenza, che è destinato ad arrivare e passare  non mi capiresti, se mi arrabbiassi aggiungerei delusione a delusione. Andrà male la gara? Braccia spalancate, le mie. Come se fosse andata bene, come se non ci fosse stata alcuna gara. Braccia spalancate e bocca chiusa. Le delusioni passano, quelle che ci diamo da soli ci mettono più tempo, quanto? Non lo so. Il tempo di asciugare tutte le lacrime dentro, quelle che non versiamo fuori, le delusioni che ci diamo da soli sono fiumi carsici, bambina mia, li vediamo solo noi, li sappiamo solo noi. Se a quel dolore lì io aggiungessi un mio sguardo di biasimo sarebbe come pugnalarti, questo lo so, l’ho imparato proprio alla tua età e ancora sento i lembi rimarginati della ferita da taglio.

Abbiamo letto che la vita è un morso, a cena, in quel ristorante napoletano, era scritto su un muro come si scrivono gli avvisi. C’era l’indicazione del bagno, dell’area riservata al personale e poi questo, che la vita è un morso. Solo tu riesci a trovare un ristorante napoletano senza cercarlo, mi ha detto. È l’istinto, le ho risposto. Certi suoni mi attireranno sempre più di altri, certi suoni mi mancheranno sempre più di altri. Non lo so poi se è davvero così, che la vita è un mozzico, forse è quello che mordiamo, c’è chi morde velocemente è vero, chi lo fa lentamente, alla fine conta solo quello che mordi e non il tempo del morso, bambina mia. La vita è il tempo prima di arrivare, il silenzio prima di parlare, il sospiro prima di dormire, il tovagliolo sulle gambe prima di mangiare, il cambiamento prima di appellare, l’acqua del mare prima di nuotare, una madre prima di invecchiare, una corsa di ritorno che sai più cara prima di pagare.

Un pensiero su “Il tempo di arrivare

  1. Bel post (come sempre). Io pure rispono spesso “il tempo di arrivare”, che soprattutto qui da noi vuol dire veramente tutto e niente, considerando la variabile traffico. Ma d’altra parte, proprio questa variabile non può mai farti dire con precisione quando arriverai, quindi inutile fare previsioni. L’unica cosa che puoi dare per certo è quando parti, non quando arrivi!

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