Gennaio sommesso, spalle basse e sguardo da fesso, arrivato senza un invito come un parente che passa sempre lo stesso giorno e alla stessa ora per un saluto anche se non è gradito. Gennaio non facciamoci illusioni, gli ho detto scortese, è molto probabile che tu mi stia sui coglioni, non voglio promesse che non manterrai, non ti offro propositi e questo già lo sai. Gennaio assomigli a un mio zio che cammina con il fare del prete di campagna, al posto del breviario lo smartphone con cui verifica sempre qualcosa, piccola enciclopedia portatile, nuova fede più veloce della conoscenza, più indolore della conoscenza, che fastidio quell’aria triste da piccolo salvatore di anime, Gennaio, anche tu sei così, parli di ciò che non sai, fingi di sapere ciò che dovresti sapere, anche tu sei un piccolo parrino lagnoso. Quando ero piccola mi dicevano che l’inferno è pieno di monache e parrini non per farmi diffidare del clero ma per insegnarmi che il bene non è quello che mostri o quello che predichi ma solo quello che fai. Gennaio agenda nuova e impegni vecchi, orizzonte lontano e visibilità scarsa, tutti gli auguri in un giorno solo lanciati a caso senza pensare che forse qualcuno lo si poteva conservare per quei giorni più lunghi, quelli un po’ bui che sono quelli in cui gli auguri servono davvero. Gennaio senza più compleanni, ci hai regalato il Tapazole tre volte al giorno fin dal mattino, la scatolina accanto alle fette biscottate e alla marmellata di frutti di bosco perché Lui lo trovasse già lì a colazione e non se ne dimenticasse. Gennaio lo spavento non era tra i patti, sei stato scorretto, una cosa sola ti ho detto: contaci adesso, guardaci tutti, così iniziamo e così finiamo. Gennaio di 31 giorni e cento notti a guardare il soffitto senza vederlo, a contare i pensieri che mi tengono sveglia, a prendere decisioni irrevocabili dismesse all’alba, a denudare gli alibi che porto in giro ogni giorno per fargli prendere freddo, per indebolirli, per farli ammalare e morire senza tentare alcuna cura e poi portare i cadaveri alla dottoressa della mente per l’autopsia, per dirle guardi, guardi come sono stata brava, è vero che sono stata brava? Mi dica che sono stata brava, come direbbe al gatto che le porta una lucertola o un topo, come direbbe al cane che le riporta il bastone. Gennaio, li ho schierati tutti così i miei alibi, come prigionieri di guerra da fucilare, solo che non ho sparato.

Febbraio piccolo e stretto come un parcheggio perfetto, sai come sei entrato e non sai come ne uscirai ma intanto chiudi e te ne vai, poi torni a controllare se hai chiuso per davvero e poi controlli se hai messo via le chiavi e mentre le cerci ti dimentichi cosa stavi facendo e non ti ricordi se l’auto alla fine l’avevi chiusa. Febbraio di scatoloni da trasloco e disdette di forniture, cambio di isolato, prospettiva e vicinato. Febbraio a tritare documenti prima di smaltire la carta nel bidone condominiale, Febbraio a contare gli anni di un foglio prima di distruggerlo, se sono più di dieci sì, se sono meno di dieci no, Febbraio se fosse così anche nella vita con i dolori e con i sogni, con gli amori finiti male, con le delusioni e con le risposte giuste che arrivano a discussione ultimata. Febbraio stretto e lungo, assomigli al corridoio della casa in cui abitavo da bambina in Via San Marino, con il marmo freddo sotto il culo quando facevamo le gare con le macchinine lanciandole contro la porta della cameretta. Febbraio primo anniversario della terra che trema sotto i miei piedi, del marmo che si incrina sotto il mio culo di bambina, primo anniversario senza ancora una diagnosi, Febbraio terapia intensiva, ricerca del perché quando nessuno sa il perché, Febbraio a volte il perché non è complemento di causa ma complemento di fine, preghiere buttate al vento, preghiere spedite senza indirizzo, preghiere fatte con le mani aperte, spalancate ad offrire tutto in cambio di. Febbraio mascherato, Febbraio già un anno è passato eppure sembra ieri, quante volte lo si dice anche se non è vero tanto per dire invece sono solo bugie, bugie buone come quelle che preparava Cocò, che ogni Febbraio dico sempre a Lui sapessi che buone le bugie che preparava mia nonna come se fosse merito mio, un vanto, una gara del tipo tua nonna preparava carciofi che si digerivano in otto giorni e la mia faceva le bugie più buone del mondo e invece non lo so più, Febbraio, è una bugia anche questa, sai, io non lo so più il sapore che avevano, io ne ho sempre mangiate poche perché non mi piacciono poi metteva tutto quello zucchero sopra che mi si rivoltava anche un po’ lo stomaco, ecco cos’è, Febbraio, io ricordo solo il profumo entrando in casa, l’odore già sul pianerottolo ma il sapore no, quello l’ho dimenticato. Febbraio anche se sembra ieri io ho cento anni in più ormai.

Marzo bulbi appena comprati, terrazzo da pulire, giardino da abbellire, Marzo rinviamo tutto ad Aprile. Marzo bambino mai nato la mamma non ti ha dimenticato, Marzo senza soste solo qualche fermata senza mai scendere dal mezzo che forse sei in divieto. Marzo scellerato che mi spalleggi nella follia del Master, due esami infilati come orecchini nuovi, speri non facciano infezione ma se è oro difficilmente accade. Marzo senza sogni da raccontare, senza giorni da festeggiare, un saluto verso il cielo la sera dell’ultimo giorno come la richiesta di un bacio, con l’indice che picchietta la guancia, qui me lo devi dare, sin qui me lo devi mandare e mandamelo grosso che manchi, manchi tanto. Marzo senza più una dose su tre di Tapazole, Marzo senza pioggia non sei nemmeno all’altezza dei proverbi, Marzo senza stupore, Marzo senza di te tutto esisterebbe comunque e non ti offendere, sii onesto. Marzo commercialista alle calcagna bisogna chiudere i bilanci, Marzo se fosse così anche nella vita al posto dei giustificativi allegherei le giustificazioni e porterei in detrazione di tutto, Marzo di 31 giorni e cento notti a guardare il soffitto senza vederlo, a contare i pensieri che mi tengono sveglia, a prendere decisioni irrevocabili dismesse all’alba, a vestire per bene le giustificazioni che porto in giro ogni giorno per renderle belle, accattivanti, perché diventino irresistibili e poi portarle per mano alla dottoressa della mente perché veda anche lei, anche lei si renda conto che non posso, non posso proprio, è d’accordo anche lei, vero? Mi dica che è d’accordo anche lei. Marzo, le ho vestite tutte così le mie giustificazioni, come bambole deliziose con cui giocare da sola, perché gli altri potrebbero rovinarle, solo che non ci ho giocato.

Aprile crudele, da dove sei arrivato e poi davvero te ne sei già andato? Aprile esame complesso, a quasi quarantacinque anni la paura di non farcela è la vera prova, Aprile esame superato e la paura di non farcela è ancora lì per la prossima sessione che mi osserva famelica come un umarell davanti a un nuovo cantiere . Aprile anniversario con ventidue candeline da quella prima sera in cui dovevamo solo bere qualcosa insieme spinti dalla curiosità e dall’attrazione come quando scopri una nuova specie, un nuovo esemplare, un animale che non sapevi abitasse il mondo, solo quella sera e poi basta, troppo giovane io, troppo incasinata io, i giovani sono sempre incasinati, troppo studentessa io, io sono sempre studentessa, troppo fidanzato Lui, troppo prevedibile Lui, i fidanzati sono sempre prevedibili, troppo impegnato Lui, Lui è sempre impegnato. Aprile il desiderio sulle candeline e di Lui è sempre lo stesso di ventidue anni fa, ma come fai mi hanno chiesto, non lo so, lo faccio, come il bene, come le preghiere con le mani spalancate, offro tutto quello che ho in cambio di. Aprile di feste e ponti, di scuole chiuse e ultima neve, stambecchi fuori dalla finestra, libri finiti e libri iniziati, libri immaginati, Aprile di confessioni davanti a un caffè, Aprile puerile di cioccolato e sorprese, di pastiera da lasciar riposare come qualcuno dopo un viaggio, di zia che chiede com’è venuta, buona le dici, davvero buona ed è vero. Come quella della nonna? Vuole sapere lei, meglio la rassicuri tu anche se non ti ricordi più com’era quella della nonna, nemmeno il profumo, niente, la nonna, lei, sì, sapeva di buono sulle guance ma solo questo è rimasto, Aprile, niente di più, che uno vive tanti anni e forse ne basterebbero meno, che forse a saperlo baratteresti qualche giorno o qualche mese con qualcosa di più durevole di un sapore buono sulle guance. Aprile, ho lavorato poco e male, mi sono distratta ed eri finito, Aprile sei la pastiera che non abbiamo fatto riposare come qualcuno che non vedi l’ora di incontrare.

Maggio gradasso, spalle larghe e sguardo sfrontato, esattore  ingrato passa all’incasso, non concede proroghe né dilazioni. Maggio grande festa per il genetliaco del capofamiglia, Maggio di preparativi fino al 18, Maggio di festeggiamenti dal 18, Maggio mi ha dato il primo e l’ultimo amore, con uno ho scoperto la parte di me in cui tengo le riserve del bene che posso provare, con l’altro ho imparato la strada per arrivarci. Maggio sogni da raccontare: Lui che ha la facoltà di muoversi nel tempo e decide di andare a vedere nel mio passato, com’ero da bambina e da ragazzina e poi viene a raccontarmelo, io che gli dico che la cosa non mi rende contenta, insomma che si facesse gli affari suoi ma va bene solo perché è Lui, Lui può anche se non sono contenta, e poi va nel futuro e vede il giorno della mia morte e me lo viene a raccontare, eri irriconoscibile, mi dice, e c’era tanto dolore. Scusa, gli chiedo io, finché sono viva, perché dopo non si può più, scusa per il dolore, non vorrei causartene mai. Poi mi sveglio, perché sono viva, dopo non si può più. Maggio, tu lo sai che vorrei morire prima io, che quest’anno Lui compirà gli anni di suo padre quando è morto, Maggio tu lo sai che adesso Lui compirà i suoi anni di adesso e basta, che suo padre aveva compiuto i suoi anni di allora e che ciascuno ha avuto la sua vita e la sua sorte sin qui.  Maggio prime partenze che sono le ultime, Pepe che vola lontano, io che provo una fame ingestibile, incontenibile, smisurata, una fame come quello che provo per lei, un vuoto nella pancia che è libertà e felicità e che non so come colmare, Cristina che quando fa una cosa per la prima volta la fa per la prima volta,  Pepe che quando fa una cosa per la prima volta la fa per l’ultima volta, Maggio, non ci saranno più primi viaggi lontani. Maggio esami di prevenzione con le dita incrociate, come se la prevenzione si potesse fare con un esame diagnostico che se c’è qualcosa lo mostra mica lo previene, è evidente che per la prevenzione occorrono le dita incrociate.  Maggio saggio finale di Teatro dopo nove mesi di prove, Maggio gare a squadre dopo nove mesi di allenamento, Maggio lo sanno tutti che Giugno non esiste davvero, Maggio interrogazioni finali dopo nove mesi di scuola, Maggio sei un parto di 31 giorni e cento notti a guardare il soffitto senza vederlo, a contare i pensieri che mi tengono sveglia, a prendere decisioni irrevocabili dismesse all’alba, a lottare contro le paure che mi ricoprono il corpo, a esfoliare e grattare via, per cancellarle, per eradicarle, e poi presentarmi dalla dottoressa della mente e mostrarle la pelle liscia, perfetta, nemmeno un segno, nessuna imperfezione, per dirle guardi, guardi sono stata costante nell’applicazione dei rimedi contro gli inestetismi delle paure, è vero che sono stata costante? Mi dica che sono stata costante, me lo dica come farebbe un allenatore con il suo atleta, me lo dica come farebbe un insegnante con il suo allievo. Maggio, le ho schierate tutte così le mie paure, come pattumiera da buttare, come scarti di produzione da non riutilizzare, solo che non ho ancora finito.   

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