Ho lasciato in sospeso un libro sul comodino perche non aveva più senso cercare tra quelle pagine chi me lo aveva regalato e che un giorno se n’è andato senza grandi spiegazioni. Quel libro non era un granché, nemmeno il giovanotto forse, di sicuro non lo erano i suoi gusti perché aveva scelto un libro mediocre e lasciato me…
Ho lasciato in sospeso un progetto, più di uno in realtà, ma questo mi brucia più di tutti e più di tutto sulla pelle e per punirmi l’ho messo in una cartella sul desktop così leggo il suo nome tutti i giorni. Quando la riaprirò e se la riaprirò sarà trascorso così tanto tempo che il progetto si sarà trasformato in un sogno ed allora ci farò pace. Mica puoi incazzarti se i sogni non si avverano, no?
Ho lasciato in sospeso un caffè, in un bar in Piazza del Plebiscito a Napoli.
Ho lasciato in sospeso il compito in classe di matematica al liceo perché, filosoficamente, le incognite non andavano indagate secondo me. La x doveva restare tale.
Ho lasciato in sospeso un amore, sono uscita di scena tra il primo e il secondo tempo lasciandolo in sala ad aspettare. Non gli ho detto vado via perché sei noioso e io giovane e stronza. Così, mentre mi aspettava ha incontrato una che aspettava uno che l’aveva lasciata in sospeso. E lei lo ha trovato divertente e grandioso. O forse no, ma andava bene lo stesso.
Ho lasciato in sospeso la fede politica, la fede religiosa e la fede sportiva. Ho messo la fede all’anulare e tutti i giorni mi occupo del buon funzionamento della società composta dalle mie devote ragazze che si rivolgono a me come alla divinità con una serie di “ti prego, ti prego” e come un arbitro decido cosa è regolare e cosa no.
Ho lasciato in sospeso un bacio stamattina, sulla porta. Mi sono girata di sghembo, ho fatto la bocca a culo di gallina e niente. Ero arrabbiata.
Ho lasciato in sospeso un vaffanculo. E non mi va giù. Il vaffanculo è un verbo che ha solo il tempo presente. Vaffanculo ora, ora vai vai su. Mica si può dire al passato, all’imperfetto. O al futuro. Vaffanculerai. No, non si può. Quando è ora bisogna dirlo altrimenti succede come a me adesso. Che mi si è attorcigliato nelle corde vocali e ha fatto un nodo spesso. Io lo so che è lui che tira così, che mi sembra di soffocare a volte. E so anche che la persona a cui era destinato pensa di essersela cavata. Ma su questo mi sa che si sbaglia.
Ho lasciato in sospeso un saluto. E per quello è davvero troppo tardi.
Ho lasciato in sospeso un grazie. Per il vestito di Carnevale da Fatina. Tutto celeste con gli strass. Interamente cucito a mano, la sera per tante sere, dopo aver riassettato la cucina. Per consolarmi, per coccolarmi, perché fare era il suo modo di dire. Io quel grazie non l’ho mai detto e non l’ho mai fatto. E quel vestito l’ho odiato. Perché mi avevano appena messo un cerotto enorme e marrone sull’occhio destro, l’unico con cui vedevo. E allora ho pianto e ho detto “non si è mai vista una fatina con la benda sull’occhio” ed era vero. Non si era mai vista. Fino a quel momento, mi aveva risposto lei. Ed era così profondamente vero anche quello.
Lei che è rimasta in sospeso un giorno, un po’ ogni giorno, giorno dopo giorno, dimenticanza dietro dimenticanza. La macchina dove l’hai lasciata? Il sugo lo hai salato? No, non devi telefonare a tua madre stasera, perché è morta da vent’anni. Dai, non piangere, scusa se ti ho detto che è morta. C’è ma non c’è. Ha spento la luce ma senza andare via. Si è nascosta, dispettosa fino alla fine. Dietro un’espressione sospesa, in un corpo ogni giorno più simile a un panno sospeso, attaccato a dei fili invisibili. Un giorno sparirà e sarà come una magia, non capirò il trucco, sarà veloce, e resterò in attesa del suo ritorno, con la faccia in su, incredula se guardare il cielo, con uno sguardo sospeso.