In via dei Cormorani, la casa bianca, la penultima prima della spiaggia, più giù non si può andare, finisce la via. Finisce la terra inizia il mare. Trovate la nostra auto parcheggiata fuori, è sporca di sabbia, dentro e anche fuori, qui piove sabbia. Se passate stasera trovate anche il bidone dell’indifferenziato, fuori, perché vengono domani mattina all’alba a svuotarlo. Stamattina trovate il bidone, vuoto, dell’organico. La raccolta differenziata la facciamo bene, seriamente, noi. Il tappo di plastica nella plastica, il cartoccio del succo prima leggiamo dove va e poi nella carta, gli scarti dell’anguria nell’organico, gli assorbenti nell’indifferenziata. Ci stiamo organizzando anche per alcune emozioni e diversi ricordi. Il rancore nel vetro ma non basta il bidone, non è sufficiente, me lo porto dietro in spiaggia, è già successo che le onde lo levigassero ecco perché mi siedo a riva, la storia che così faccio un idromassaggio naturale l’ho inventata per economia di spiegazioni.
La tristezza nella carta, qui da noi è sempre sottile, ogni tanto la usiamo per vedere se le penne funzionano ancora, ci facciamo uno scarabocchio sopra poi ce ne dimentichiamo e scriviamo. Un tempo per me era molto più spessa, la usavo per non far traballare il tavolo sul quale scrivevo.
Alcuni nomi, alcune facce, alcune parole- “niente di personale”-“affidate a te diventeranno schifose come te”– nell’organico e va bene, io le butterei nel wc direttamente, ma loro, le ragazze, loro non vogliono, dicono che si intaserebbe e ci ridono su-“va bene così mamma, ormai”- e via come le bucce di banana.
Non troverete la casa pulita alla perfezione. Siamo in vacanza. Passiamo la scopa il mattino e dopo ogni pasto, i sanitari vengono lavati una volta al giorno, la doccia sciacquata dall’ultimo che la fa e lo stesso vale per il pavimento del bagno.
Io sono l’ultima, sempre.
Ma questo pavimento è una pena, è di materiale tanto poroso, basta una goccia d’acqua a fare una macchia, anche a ripassarlo più volte al giorno non sembra mai pulito, i primi giorni insistevo poi ho lasciato perdere. Non sembrerà pulito ma lo è. Anche se non alla perfezione.
La voglia di perfezione l’abbiamo messa nel bidone della plastica.
Se non siamo qui, ci trovate in libreria, verso le 21,30. Quella sul lungomare, con la porta sempre aperta verso l’interno per significare “entra”e non verso l’esterno per indicare “esci”. Alla fine di questa vacanza saremo socie di capitale della libraia.
Subito dopo ci trovate alle bancarelle, nella via centrale, a cercare il braccialetto per gli amici e per noi. Perché l’estate senza braccialetti è impensabile. Come la vita senza amici. Poi prendiamo una granita o un gelato o niente dipende dalle serate.
Durante il giorno, invece, ci trovate in spiaggia, al fondo della via, dove finisce la via e finisce la terra e inizia il mare. Quando le ragazze erano piccole avevamo inventato la formula dell’amore:
– “quanto bene mi vuoi mamma?”
-“ come il mondo”
-“ma il mondo finisce!”
-“e cos’è che non finisce?”
-“il cielo e il mare, mamma”
-“allora come il cielo e come il mare”
-“che non finisce mai?”
-“che non finisce mai”
Non stiamo molto in spiaggia. Non ci troverete in uno stabilimento, non abbiamo ombrellone, lettino, sdraio. Non abbiamo, più, secchielli palette rastrelli salvagenti braccioli piscinette pale retini biglie materassini costumi di ricambio. Abbiamo una stuoia sfilacciata e due asciugamani. Un pallone. Della frutta e dell’acqua. Due creme solari, quella da 30 e quella da 50. A volte ci dimentichiamo di metterla. C’è stato il tempo in cui la crema veniva spalmata già a casa perché nel tragitto fino alla spiaggia potevano bruciarsi. E poi di nuovo in spiaggia una volta arrivati all’ombrellone nello stabilimento mettendole sui lettini per evitare che si riempissero di sabbia subito, appena unte.
Non è più quel tempo. A volte ci dimentichiamo.
Stiamo così, in acqua oppure a riva, finché ci va, ci trovate sedute tutte e tre una accanto all’altra, oppure solo loro due e io appena un passo dietro a guardarle. Mi trovate così, che guardo le mie due figlie, una che mi somiglia l’altra per niente. E questa considerazione vale per ciascuna delle due. Non troverete mai chi è chi, quella che si, quella che no. Mi riconoscete non per l’altezza, Cri è più alta. Mi riconoscete perchè sono quella delle tre che apre l’asciugamano alle altre due, allarga le braccia e le richiude strette.
Non abbiamo orari. Se abbiamo fame mangiamo, se abbiamo sete beviamo, se abbiamo sonno dormiamo. Stiamo.
Non troverete, più, le macchie di mastocitosi sulla schiena di Pepe. Sull’ addome una, una sola. Si chiama Segno di Darier. Quando gliel’hanno diagnosticata aveva 20 mesi e avevo pensato che solo lei poteva avere una malattia che risuonava così bene, una malattia con nomi così musicali.
Una malattia dermatologica ad eziologia sconosciuta paucilesionale espressa al tronco per la quale non c’è alcuna cura ma la regressione spontanea in un arco temporale di almeno dieci anni. Queste le parole della sua dermatologa. La prossima settimana Pepe compie dieci anni. E abbiamo solo un piccolo bastardo poetico segno di Darier vicino all’ombelico. E finalmente potremo buttare la mastocitosi nei rifiuti speciali.
In alcuni giorni della settimana, però, non ci trovate se venite di mattina. Siamo in un’altra spiaggia, prendiamo la macchina e andiamo a qualche chilometro, subito oltre il capo. Ci sentite arrivare, siamo quelle che ascoltano a volume alto “faccio gli occhi a mandorla e m’accatto pure a te”
-“si chiama milionario mamma”
-“si, quella”
Oppure siamo anche quelle che cantano “sei un pezzo di me, un pezzo di me” e cambiano le parole. Ultimamente andiamo forte con “ seduti verso il nulla con la croce tra le mani siamo dei cannibali travestiti da vegani, la vita è un uragano che ci strappa le vele…”
Ci trovate alla scuola di windsurf, Cri ha lezione dalle 11.30 alle 13. Io e Pepe stiamo insieme, camminiamo a riva, parliamo. Lei parla moltissimo, io ascolto. Facciamo foto. Diciamo no grazie buona giornata a chi cerca di venderci una Vuitton, un Rolex, un pallone, un anello in argento, delle perle vere, una pashmina di puro cachemire, un cappello di paglia, un bongo africano, del cocco, un massaggio, delle treccine. Un caffè a due euro.
Cri ha imparato a orzare, alla grande. Pepe ha imparato a fare la verticale e la capovolta in acqua. Io a stare.
L’ansia di fare l’abbiamo infilata nel bidone dell’indifferenziato. E comunque non so cosa significa orzare. Ma annuisco orgogliosa.
Lui, lui non lo trovate fino a mercoledì sera. Andremo a prendercelo, perché noi non andiamo mai a prenderlo e basta noi andiamo a prendercelo, con la macchina sporca di sabbia e le canzoni ad alto volume. Ma non vi accorgete mica che non c’è. Non lo trovate fino a mercoledì, ma c’è. C’è come qualcuno che adesso arriva, aspettate. Come qualcuno che ha lasciato lì le ciabatte, nell’angolo tra il letto e il comodino. Nella quarta forchetta e nel quarto bicchiere
“Cri, papà non c’è stasera, hai preso le posate anche per lui”
“ah, già è vero che non c’è”
A volte non ci dimentichiamo.
In via dei Cormorani, la penultima casa. Ci trovate in terrazzo a pranzo e a cena. Cucino io, verdure, pasta, riso, la carne per loro ogni tanto, le uova, piatti unici soprattutto, pochi “piani B” ma sempre del prosciutto in frigo. Ci penso che potrei comprare qualcosa di pronto ma poi non lo faccio, non mi va. I piatti e i bicchieri sono di ceramica, niente robe di plastica. Ci penso che potrei evitare di lavare i piatti ma poi non lo faccio, farei molta più spazzatura. Pepe ha letto il libro di Greta, la ragazzina svedese, è preoccupata che ci restino pochi anni per salvare il pianeta. Ieri ha rimproverato la sorella perché
“metti gli stessi calzini per due giorni di seguito? Che schifo”
“guarda scema che li metto un’ora al giorno, la sera quando usciamo, cosa faccio li metto a lavare dopo un’ora? Sai quanto inquina il detersivo? Chiedilo a Greta, scema.”
“mamma, Cri mi dice scema – smettila cretina di dirmi scema che gliel’ho detto a mamma adesso vedi”
Non ci troverete in silenzio. Né a pranzo né a cena. Nemmeno particolarmente composte, ma è una concessione estiva. Comunque vestite. Mai a tavola in costume.
Parliamo, parliamo, parliamo. Io racconto, vogliono sapere dei miei nonni, di quando ero piccola, di cosa facevo con mio fratello, di quanta famiglia c’era nella mia famiglia, se io ero già io- no, non lo ero, c’era tanta, troppa famiglia nella mia famiglia, così tanta famiglia da non volerne più nemmeno un pezzo, nemmeno uno zio, un cugino, grazie, basta, fino a voi, solo voi, solo noi finalmente– tutti quegli aneddoti che sono la storia di ciascuno di noi. Mettono insieme i pezzi di una storia lontana che però è anche la loro e allora si passa dalla fuitina dei miei nonni e il loro matrimonio celebrato all’alba di un giorno di dicembre e loro che non sapevano che oltre al prete servissero i testimoni e non li avevano e hanno chiesto al sagrestano ed è andata bene lo stesso per sessant’anni fino ad arrivare al loro papà che quella volta che avevamo litigato, era il 2003 figuratevi ragazze, io ero a casa che studiavo per la sessione estiva, Diritto del Lavoro e subito dopo Diritto della Previdenza Sociale, e lui si era appostato fuori dal cancello e dal muro di cinta e mi mandava i messaggi e io non rispondevo e allora lui ha scavalcato come un ladro – “come ha scavalcato??”- si, si, ha proprio scavalcato e mi ha detto tu non apri, non rispondi e io devo parlarti o almeno vederti -“come ha scavalcato, cioè ha proprio scavalcato???”- si, si ha proprio scavalcato. “ma perché?”.
Perché chi vi vuole parlare un modo lo trova. Perché chi vi vuole, vi trova. Il resto sono scuse, non c’è posto per le scuse , non sono biodegradabili. Chiedete anche a Greta.
Ci troverete nel mezzo di una discussione che però dura poco, nel mezzo di un libro che finiremo presto, nel mezzo del lettone a fare imitazioni e versacci. Ci troverete sul retro che stendiamo i costumi, sedute per terra che mettiamo lo smalto alle unghie dei piedi. Non ci troverete spesso sedute a fare i compiti, se passate durante una discussione è facile che sia per quello. Non ci troverete in affanno, stanche, in continuo movimento. Per quello c’è l’inverno.
Ci troverete mentre esaminiamo i nostri corpi così esposti, coperti solo da un bikini, i peli sulle gambe di Pepe biondissimi, il seno di Cri che cresce forse si, forse no, gli occhi cangianti, i capelli più chiari. I loro corpi che si trasformano stagione dopo stagione, le mie braccia sempre più larghe a riva, con l’asciugamano aperto, il mio corpo sempre meno spigoloso, la conta delle cicatrici sulla pancia, la mia, quella da dove si sono affacciate loro che sporge come un gradino su cui sedersi ad aspettare, le nuove macchie sulla pelle del viso, sempre più fragile, sempre più porosa, un viso che non nasconde più nulla, basta una goccia e si macchia, sembra sporco e invece non è mai stato così pulito.
Ci troverete vicine, non tanto, non solo con i corpi abbronzati, ma con le voci, con i cenni, con quel sottofondo “mamma?”- “si”- “niente”.
Niente. Niente mamma, tranquilla, non devi fare niente, solo stare, solo essere, non fare niente. Non ci troverete altrove, non troverete niente altrove.