Io, da grande (Tardi)

Io da grande andrò a vivere al mare. In una città con il mare, in una casa da cui vedrò il mare e porterò il cane a passeggiare sulla spiaggia poi mi metterò seduta e magari gli slegherò il guinzaglio e lui giocherà con la sua ombra e poi avrò una caffetteria di riferimento, sempre la stessa, dove quando entrerò sapranno già: un caffè, normale, amaro, un goccio d’acqua, si grazie. Nella casa dove abiterò, al mare, ci saranno moltissimi libri, i miei, quelli che ho letto e quelli che dovrò leggere. E in quella città ci sarà una libreria, anche più di una, certo, ma una sarà quella dove andrò sempre e la libraia, una donna, mi chiamerà per nome  ma senza enfasi , con familiarità, non come gli infermieri o gli operatori dei call center o gli imbonitori, che ci mettono il “signora”, ti chiamano per nome con il signora davanti. Che stupidaggine. No, la libraia mi chiamerà Sonia, perché quello è il mio nome, e lo dirà come se quello fosse solo il mio nome, il solo modo per dirmi: ah, ecco, sei qui, ciao Sonia. Non saremo amiche, non come si intende l’essere amiche. Ma ci piacerà parlare insieme, a turno, prima una e poi l’altra, quando una parla l’altra ascolta e viceversa. E poi ci saluteremo, con familiarità, come se non ci fosse un altro modo di farlo, a presto, ci diremo. A presto. Senza un’indicazione ma sarà presto, non aspetteremo che sia tardi.

La città con il mare sarà in Sicilia. Io da grande andrò a stare lì. Perché vorrò sentire voci e suoni che a Torino non potrò più sentire. Starò così, davanti al mare, e finalmente starò. Starò nel mio dialetto come nella culla. Starò nel cibo come al tavolo dei bambini con i miei cugini la domenica a pranzo con i bicchieri tutti diversi e gli Scottex al posto dei tovaglioli di stoffa, che quelli erano per gli adulti. Starò nella luce del sole a pensare a Dio senza crederci. Starò nel vento senza opporre resistenza, chiuderò le persiane prima che sbattano e le finestre per evitare la corrente. Starò nella mia vita guardandola indietro e finalmente starò. Comoda. Io da grande starò nelle cose senza fatica. E starò nel futuro come si sta nel presente, senza pensare che sia tardi.

Le persone che mi conosceranno, da grande, penseranno che sono stata una bella ragazza ma io, da grande, non dirò a nessuno che, si,  lo sono stata. Penseranno che sono arrivata da lontano, ma io, da grande, non dirò a nessuno da quanto lontano arrivo, parlerò di Torino come se fosse il lontano da cui arrivo, rivalutandola, raccontandola più bella, come si fa di un amore finito quando ci hai fatto pace e ti rendi conto che dir male di un ex significa dir male di te e allora no, racconterò dei viali, della facilità di orientarsi, dei portici, delle fontane con il Toro verde, delle piazze e dei fiumi e di come ti può sembrare di essere a Parigi, a volte. E quando mi chiederanno perché dirò solo che era finita, che non ci appartenevamo più, non c’era più dialogo. Volevamo cose diverse, prima che fosse tardi.

Io da grande scriverò un libro che si intitolerà “Quello era un posto”. Sarà un buon libro, non un capolavoro, ma a qualcuno piacerà. A qualcuno no. Ma conosco già quelli a cui non piacerà e quindi non mi preoccupo, perché da grande non mi preoccuperò e  mi interesserà di più conoscere quelli che non conosco che riconoscere quelli che conosco che sono sempre gli stessi e fanno sempre le stesse cose e dicono sempre le stesse cose con le facce solo più invecchiate e il rancore solo più acuito. Non so cosa racconterà la mia storia, ma da grande lo saprò. Comunque niente che riguarderà quelli a cui non piacerà, quindi vi avviso già, non compratelo. Anzi, non lo so. Magari ci sarà qualcosa su di voi. Così, per dispetto. Nella quarta di copertina ci sarà scritto: questo è il suo primo romanzo. È la frase per la quale io compro oltre la metà dei libri che leggo e io leggo tanto, ne compro tanti. La libraia lo saprà, glielo avrò raccontato un pomeriggio verso sera  mentre starò lì a curiosare e da quella volta lei mi dirà: ciao Sonia, è uscito questo, è nuovo, pare sia una bella storia. O qualcosa del genere. Non so se farò scrivere altre cose, non quelle che scrivono tutti e che sembrano importanti: è nata a Torino, si è trasferita in Sicilia, è laureata in Giurisprudenza, questo è il suo primo romanzo. No, penso che io da grande non riterrò queste cose importanti. Non diranno niente di me.  Nella quarta di copertina del mio libro ci sarà scritto: ha la stessa migliore amica dal ginnasio, ama i cani e odia gli elefanti nel soggiorno, ha due figlie a sua insaputa, ha imparato a scrivere a quattro anni e a lasciarsi leggere oggi. Ché domani sarebbe stato tardi.

Io da grande parlerò chiaro. Non sarò mai fraintendibile. Dirò le cose  per come le vedo e  per come si chiamano. Per dire culo dirò culo, per esempio.  E mi ricorderò cose che non servono e mi dimenticherò quelle che servono e un giorno scoprirò che era il contrario e allora sarà stato utile non aver mai rimosso la metrica di Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi o il paradigma di fero fers tuli latum ferre e aver pensato quella volta, quella sera che lui ha rovesciato il tavolo della cucina che iniuria talis cogit amare magis sed bene velle minus.  E penserò che, invece, sarà stato salvifico aver dimenticato cosa non lo so, perché ora io non ho ancora dimenticato. Nemmeno i motivi per cui volevo andare via quando poi non sono andata via. O quelli per cui ho tirato su il tavolo, quella sera. Ma da grande li dimenticherò.  E dirò che non era importante. Che ho scelto, ho scelto sempre. E no, se mi avessero detto che, non ci avrei creduto, ma io non credo. E no, se mi avessero fatto scommettere che, non avrei scommesso, ma io sono una che non scommette. E dirò che si, ho guadagnato tutto quello che sono più di tutto quello che ho. Perché sono una che lavora. E ho imparato tutto quello che ho potuto da chi ho potuto, perché sono una che studia. Fino a tardi.

Le persone che mi conosceranno, da grande, penseranno che sono stata scostante ma io, da grande, non dirò a nessuno che no. Non era vero.  Penseranno che sono arrivata da chissà dove a sottolineare gli errori, ma io da grande non dirò a nessuno che no. La penna rossa è per sottolineare i miei di errori, soprattutto quelli lontani.  Parlerò dei miei sbagli e sarò indulgente, forse. Smetterò di essere la figlia della maestra, di ascoltare le storie di bambini che non conosco tutti i giorni e così tanto che alla fine dell’anno succede che li conosco e li posso riconoscere quasi nella foto di classe, lei di lato accanto al ragazzino della fila centrale, dietro di loro i più alti, sotto di loro i più bassi, lei che nemmeno con loro sorride all’obiettivo  ma si vede che è contenta, se la conosci si vede. Se non la conosci forse non ti importa. Io lo vedevo. Smetterò, da grande, di avere questi semi fratelli a cicli di  cinque anni ai quali avrei voluto dire che lei era la stessa. Con me, con loro. Avete avuto mia madre. Ho avuto la vostra maestra. E avrei voluto dire sapete quelle verifiche, quelle di logica, quelle del “prima e dopo”, delle sequenze? Alcune di quelle le ha preparate usando me come bambina di prova. Ero io l’unità di misura della vostra possibilità di superare una verifica. Scusateci per la severità, se non è troppo tardi.

Io da grande assomiglierò alle mie figlie. Da Cri prenderò la capacità di restare distante dal turbamento e da Pepe l’abilità di cercare riparo nelle ripetitività di alcuni gesti. E saprò stare senza di loro e loro sapranno stare senza di me perché per quello ci saremo preparate. Io da grande ogni tanto dirò cose sulla morte perché già le dico prima figuriamoci se non continuo e a loro darà fastidio perché già dà fastidio, ma una si allontanerà appena e l’altra mi dirà che mi ama come a ripetere un paradigma e quando sarà troppo allora io da grande lo saprò e andrò. Davanti al mare, a parlare da sola, magari giocherò con la mia ombra se non si sarà stancata anche lei di tutto quel parlare e, finalmente, aspetterò che sia tardi.

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