Pensa se ti dicessero che da domani basta tutto chiude e non puoi uscire se non per comprovate esigenze di lavoro o salute o necessità e a te venisse da ridere e da tirare il fiato a dire “ma davvero?”. Pensa se il mondo si fermasse e non ci fosse più la scuola alle 8 e la cafona con la macchina in doppia fila e la scuola alle 16 e la cafona con la macchina in doppia fila che anche la cafona deve stare chiusa in casa e pensa se il mondo si fermasse così come il castello della Bella Addormentata che quando lei si punge il dito con il fuso dell’arcolaio la cuoca resta con il mestolo a mezz’aria, lo stalliere resta fermo con la striglia in mano accovacciato sulle zampe del cavallo che anche lui resta fermo con lo zoccolo destro anteriore appena un po’ più avanti dell’altro ma solo perché è più elegante restare fermi così e tutto rimane esattamente com’è.
Pensa se non potessi vedere qualcuno: chi non vorresti vedere? A parte la cafona in doppia fila, chi non vorresti vedere? Che si fa in fretta a tirare giù lacrime ed elenchi di quelli che ti mancano ma prova a dire chi non vuoi vedere. Pensa se si potessero fare i nomi con tranquillità, pensa se nessuno si offendesse, pensa se a nessuno importasse di chi non vuoi vedere tu che tanto non stiamo parlando di me, che quelli che non voglio vedere non ho bisogno di un incantesimo o di un provvedimento normativo per non vederli, mi basta dire come la penso.
Pensa se si dimenticassero di dirti che va bene, da domani si può uscire senza comprovate esigenze di lavoro o salute o necessità. Pensa se dovessi stare lì dove sei adesso a fare quello che stai facendo adesso. Cosa stai facendo? Ti sfili le mutande dal culo con un movimento preciso. Stendi. Mangiucchi. Scorri i profili WhatsApp per vedere le foto. Fai la spesa online. Guardi la Vita in Diretta e fai finta di no. Lavori perché sei uno di quelli che ha lo smartworking e non sai nemmeno se la parola esiste. Pensa se non esistesse, staresti facendo una cosa chiamandola in un modo inesistente che non vale a rendere inesistente quello che fai intendiamoci. Pensa se, invece, non esistesse quello che fai. Cosa faresti? Sapresti cosa fare? Cos’altro fare? Hai un piano B? Un progetto? Un sogno? Un cassetto? Del lievito? Impareresti a fare altro o resteresti con lo sguardo fisso su una piastrella che compare davanti a te tra le tue ginocchia mentre sei seduto e non sai?
Pensa se le madri fossero buone e i padri eterni. O il contrario. Pensa se i figli non ti giudicassero mai, nemmeno a un certo punto della loro vita che coincide con un certo punto della tua e sono punti lontani ma attraversati da una sola e una sola retta e pensa se quella retta invece di chiamarla vita la chiamassimo lama chi impugnerebbe il manico? Pensa se ti accorgessi che lo stanno facendo, i figli, che ti stanno giudicando e pensa se ti fosse dato in dono il potere di essere il solo ad accorgertene che quando mai si è visto un genitore che se ne accorge, pensa se tu te ne rendessi conto. Avviseresti gli altri? Urleresti che succede così, che i figli fanno così, metteresti in guardia gli altri? Pensa se le madri fossero buone e i padri eterni. O il contrario. Pensa se le madri a un certo punto ti dicessero che vai bene, che sono orgogliose del lavoro che hanno fatto e possono considerarlo concluso e si togliessero dal grugno la smorfia insoddisfatta che lascia un quattro di matematica o un orario non rispettato e pensa se al posto di quella smorfia ci fosse il sorriso di chi ha scampato il pericolo e ora sono cazzi tuoi.
Pensa se al corso preparto ti spiegassero che la vera minaccia a ogni equilibrio familiare non è il pianto da colica e nemmeno l’allattamento a richiesta ma sono i nonni. Pensa se ti insegnassero a medicare il cordone e tenere a bada i nonni nello stesso ciclo di lezioni con esempi pratici. Pensa se il pediatra ti scrivesse nella ricetta con la posologia della vitamina D anche la posologia di rotture di coglioni alla quale puoi sottostare e oltre la quale sei autorizzato a dire che c’è pericolo per la salute. Pensa se i nonni si fermassero sulla soglia, appena sotto il fiocco con il nome ricamato, tanto non gli piace davvero il nome che hai scelto, fingono, pensa se fermi lì bloccati come la cuoca con il mestolo e lo stalliere con la striglia impossibilitati a muoversi arrivasse qualcuno di autorevole, un Arcangelo o una puericultrice di quelle viste in televisione, a dirgli di ricordare prima di aprire bocca, ricordare quando trent’anni fa, quarant’anni fa erano loro ad aver scelto un nome di merda, frutto di una libera decisione o di un compromesso generazionale, erano loro ad avere le ragadi al seno e privazioni di sonno utilizzate solo in certi regimi dittatoriali, ricordare quanto non sopportassero di dover dare spiegazioni e rendicontare ogni spostamento come se avessero perso improvvisamente qualche decennio o il senno e solo dopo aver ricordato come si sentivano loro e quel che provavano loro solo dopo, solo allora sentirsi liberi di parlare. Ma senza dire cazzate. Pensa se poi con uno schiocco di dita i nonni si risvegliassero potendosi muovere liberamente e oltrepassando il fiocco come risorti a nuova vita fossero in grado di mantenere fede a quel disegno programmatico sintetizzato nell’espressione “se hai bisogno ci siamo altrimenti non disturbiamo”.
Pensa se i figli a un certo punto la smettessero di fare i figli e si rendessero anche un po’autonomi per davvero e non pretendessero sempre un aiuto, pensa se i figli si preoccupassero di non ferirti perché ormai sono adulti e tu sei vecchio, inutile dire altro. Sei vecchio. Pensa se non ti dicessero tutto quello che non va ma solo quello che va, pensa se non ti comunicassero che devono fare degli esami di controllo perché il dottore vuole vederci chiaro e ti risparmiassero di stare in ansia, in apprensione, che sei vecchio, basta. Pensa se ti telefonassero spontaneamente, senza sollecitazioni da parte di chicchessia, pensa se quella chicchessia ti piacesse come sarebbe più facile anche ammettere che se ti chiama non è merito tuo, ma merito suo. Della chicchessia. Alla quale stai sul culo anche tu, non ti preoccupare. Solo che è più furba.
Pensa se la reciprocità fosse un’applicazione gratuita del telefono, ce l’avremmo tutti. E la useremmo, la sprecheremmo persino. Pensa se tu mi bloccassi con l’auto perché sei una cafona inarrivabile e pensa se io non potendo uscire dal parcheggio mi incazzassi molto e però poi andassi a prendere un caffè e al mio ritorno non ti trovassi più e però nel tragitto avessi inviato con l’app una richiesta di reciprocità e così tu, mentre stai uscendo dal tuo garage una mattina di pioggia scrosciante con il cancello elettrico che fa le bizze perché c’è anche il vento, forte, pensa se tu con i cristi che ti viaggiano su e giù tra il cervello e la bocca e i figli dietro seduti male e con il suono delle cinture che non si allacciano e un ritardo accumulato già a livello mentale ti trovassi bloccata da un’auto lasciata così, davanti al tuo carraio. Pensa se, invece, tu incrociandomi per caso e parlando con me per qualche minuto, almeno una decina, andassi oltre i convenevoli e mi dicessi che ho una caccola gigante nel naso e porgendomi un fazzolettino di carta ti voltassi mentre io me la tolgo discretamente ma comunque riconoscente e poi io buttassi il tutto, civilmente, in un cestino all’angolo della via dopo averti salutato e allora sorridendo manderei una richiesta di reciprocità e pensa se tu, così, mentre sei in coda alla cassa incontrassi lo sguardo del ragazzo davanti a te che ti invita a passare avanti, tanto hai solo due cose al massimo tre e tu gli dici “davvero?” e lui ti rassicura, si si davvero e allora tu lo ringrazi e lui sente di aver fatto cosa buona e giusta e che sua nonna sarebbe fiera di lui anche se gli direbbe che non avevi una faccia davvero riconoscente e che comunque va bene essere buoni ma fessi no ma tanto sua nonna è morta, pensa se fosse viva che stronza.
Pensa se non ti importasse di andare a vedere cosa fanno gli altri. Pensa se agli altri non importasse di sapere cosa fai tu. Pensa se ognuno avesse le proprie ossessioni a vista così da dirla tutta e subito a chiunque, pensa se bastasse dirla un’ossessione o scriverla invece di pensarla, pensa se tutti dichiarassimo qual è la nostra ossessione. Pensa se sapessi che io canto Nuova Ossessione per calmarmi quando serve, pensa se ti dicessi che la mia ossessione me la tatuerei sul polso sinistro in un misto tra corsivo e stampatello come scrivo io che non uso un carattere soltanto e sarebbe solo abc scritto così, quasi di fretta e sbadato e pensa se si capisse davvero cosa significa,smetterebbe di essere un’ ossessione forse. No.
Pensa se cancellassimo la parola resilienza dai vocabolari, da tutto, pensa se potessimo con una bacchetta magica anche un po’ sfigata e improvvisata praticare l’Oblivion a tutti quelli che la usano a vuoto, pensa se lo facessimo quante braccia senza scritte, quanti tatuatori fermi con l’ago a mezz’aria come la cuoca con il mestolo che non ricordano più qual era la parola e pensa se decidessero loro solo guardandoti in faccia di scrivere quel che gli pare e pensa se alla fine ti stesse bene così, pensa se avessero ragione, alla fine.
Pensa se i bambini fossero tutti simpatici o almeno più simpatici. Pensa se le persone non ti guardassero male perché dici che preferisci i cani ai bambini, come argomento e come compagnia. Pensa se non dovessi ogni volta dire siiiiiiiiii lo so che ho due figlie e mi piacciono molto sai perché mi piacciono molto? Perché non sono più bambine intese come bambine a forma di bambine con scarpe da allacciare e nasi da soffiare – non tirare su, in giù, soffia bene in giù, no, non su, giù- e comunque i bambini degli altri non mi piacciono, siiiiiii lo so che sono belli ma i bambini mi annoiano e non sto dicendo che sono brutti sto dicendo che non mi interessano, come le armi da fuoco e la MotoGP, non mi interessano. Pensa se non fosse così complicato ogni volta e alla fine dici solo si, belli, belli per fortuna esistono i bambini. E i cani.
Pensa se mannaggia a loro un giorno ti dicessero che da domani puoi uscire per fare quel che vuoi senza comprovate esigenze. Così. Basta, puoi uscire. Niente più allenamenti in videochiamata con la doccia lunga quanto vuoi e calda quanto vuoi un attimo dopo aver pigiato il pulsante rosso e perso la faccia perfetta dell’istruttore che ti ha vista con i capelli di merda ma che ti dice che sei in forma perché occupi poco spazio nello schermo del cellulare e pensa se mai ti avessero detto che avresti apprezzato un siffatto complimento, adesso devi prendere la macchina e andare a sudare in mezzo ad altri dieci stronzi come te che non si arrendono al gluteo calante ma comunque a distanza e igienizzandoti di continuo. Niente più lavatrice che va mentre bevi il caffè, il secondo della mattina e rispondi alle mail con frasi che sarebbero fini a se stesse e servirebbero a chiudere la comunicazione se non fosse che dall’altra parte l’intenzione è quella di sfinirti di mail così da farti dire “basta si fa come dico io”. Pensa se ognuno si prendesse un pezzetto di responsabilità. Piccolo, quel che può, come la beneficenza. Pensa se ti dicessero che sei libero di uscire e tu non avessi nessuno da voler vedere e ti rendessi conto che da chiusi in casa a chiusi dentro non è il passo che è breve, è la predisposizione individuale che fa la differenza. Niente più movimenti ripetuti, sicuro come un non vedente in casa propria, niente più cassetti dove andare a sbirciare quando non è il momento per vedere se i sogni sono ancora lì. Pensa se non fossero plurali, i sogni. Pensa se fosse, alla fine solo uno, e pensa se ti sembrasse che uscendo svanirebbe, morirebbe di sete, non avresti il tempo di accudirlo, di osservarlo come fai con le ragazze che fanno lezione in camera e ti arriva il vociare della classe e ti sembra di vedere cose che altrimenti non vedresti e di sapere cose che altrimenti non sapresti e così è anche per quel sogno che se tu esci senza una comprovata esigenza un po’ lo tradisci, un po’ lo dimentichi, di nuovo, nel cassetto e poi le pagine del quaderno diventano gialle e la punta della penna si secca e tu resti con la biro a mezz’aria, come la cuoca con il mestolo. Pensa se bastasse un abc sbadato a cominciarlo, quel sogno.