Racconta, ti prego, se mai sono state davvero così piccole da stare tutte su un avambraccio, racconta con parole paffute che riempiano le guance solo a pronunciarle, come un soffio prima di essere soffiato, con parole profumate di latte e pasta di fissan, con parole tenute su come la testa, che pesa di più. Racconta, ti prego, se sai quali pensieri passano attraverso quelle teste che pesano di più, di più di cosa? Del corpo, tutto intero? Del mondo tutto intero? Quali pensieri stanno accartocciati lì dentro? Racconta, ti prego, se sai come succede che una persona intera possa stare tutta su un avambraccio mentre pensa qualcosa che non ti dirà mai perché sarai distratto dai buchi sulle sue mani, lì dove spunteranno le nocche. Racconta, ti prego come succede che dai buchi nascano nocche, come succede che da me siano nate persone, persone vere, persone intere, uscite dalla mia testa come un pensiero quando riesci a spiegarlo.
Racconta, ti prego, di quel sogno che arriva di notte, ti tocca la spalla e ti sveglia, racconta con parole sussurrate che nessuno le capisca, con parole che tenti di afferrare come bolle di sapone, con parole sul comodino accanto alla bottiglietta dell’acqua. Racconta, ti prego, se sai perché certi sogni hanno bisogno che tu sia sveglio per vederli pur restando al buio, per viverli, si possono vivere i sogni? Racconta, ti prego, di quel sogno ricorrente che ti cita in giudizio e tu sei il convenuto, ti giri su un fianco e punti sulla contumacia, invece no, lo sai che devi presentarti e sai come finirà, il sogno ha ragione, vincerà, tu perderai e pagherai le spese. Racconta, ti prego, se i sogni quando si avverano si possono chiamare premonizioni, se i sogni quando si avverano valgono ancora come sogni o diventano altro e te ne dimentichi come un pensiero quando riesci a spiegarlo.
Racconta, ti prego, della morte quando i bambini ti chiedono cosa succede, racconta con parole vere come una conta a nascondino, con parole a forma di rettangolo da inserire nella casella del rettangolo e a forma di triangolo da inerire nella casella del triangolo, con parole certe come il finale di una fiaba letta prima di addormentarsi. Racconta, ti prego, se loro quando erano piccole hanno capito la storia del pianto quando qui muore qualcuno, qui, da questo lato, il lato dove siamo noi: quando muore qualcuno qui si piange per il distacco e si festeggia il ricongiungimento dall’altro lato, il lato da dove arriviamo e dove torniamo. Da questa parte piangiamo e diciamo è morto, è morto, dall’altro lato ridono e dicono è morto, è morto. Quando qualcuno nasce da questo lato ridiamo e diciamo è nato, è nato, dall’altro lato piangono e dicono è nato, è nato. Racconta, ti prego, se mai sono state davvero così grandi quando erano piccole, con gli occhi puntati come spilli per prendere le misure, il panno da adattare ero io. Racconta, ti prego, se saranno mai così grandi da non aver bisogno di essere consolate da me, se sarò mai così grande da non aver bisogno di consolarle da me e se sapranno lasciarmi andare come un pensiero quando riesci a spiegarlo.
Racconta, ti prego, dell’amore senza le maiuscole, racconta con parole concrete e primitive, racconta come un dettato di cui fare prima l’analisi grammaticale, poi quella logica e solo alla fine quella del periodo. Racconta, ti prego, dell’amore quotidiano come il pane e come la polvere sui mobili, della scadenza sul latte, dell’assaggiare lo stesso prima di buttare, del riciclo, delle frasi minime che a nessuno puoi dire se non a quella persona perché abbiano senso: mi ha punto una zanzara, ho dimenticato nel bagagliaio dell’auto il sacchetto di tela per la spesa, ho pagato la multa entro i cinque giorni dalla notifica. Racconta, ti prego, se sai come tutto questo finisce oppure no, se è colpa delle correzioni con la penna rossa, se basterebbe correggere con la penna verde, se basta sapere che ogni volta che vai a capo puoi scriverla con la maiuscola. Racconta, ti prego, se sai perché non si possono dire dell’amore parole senza eco, senza clamore, senza enfasi, perché si deve parlare d’amore solo se fa cose incredibili, racconta, ti prego se sai perché piace solo a me l’amore credibile, come un pensiero quando riesci a spiegarlo.
Racconta, ti prego, del dolore quando arriva da un genitore, quando ti arriva da genitore e lo senti di più, racconta con parole che abbiano un foro d’entrata e uno d’uscita, con parole precise come sassi lanciati contro le auto in corsa, con parole dolose così che la condanna sia più facile da pronunicare. Racconta, ti prego, se sai come succede a chi ti ha tenuto su un avambraccio, il suo non quello di un altro e ha tenuto la tua testa, la tua non quella di un altro, di volerti fare male o peggio di non preoccuparsi di farti male. Racconta, ti prego, se sai come succede che con le nocche sulle mani vieni colpito e con le nocche sulle mani vorresti colpire e nessuno ricorda più che lì c’erano i buchi che facevano sorridere e venivano percorsi con i polpastrelli dell’indice, racconta, ti prego se sai perché succede che la persona che sei, che già eri su quell’avambraccio, non piaccia più. Racconta, ti prego, se sai come guarisce la solitudine che ti cade addosso quando ti sembra di non essere nato da nessuno, come un pensiero quando non riesci a spiegarlo.
