Oggi non mi alzerò. Nemmeno domani, penso. E non so perché mi sono alzata ieri, l’ho fatto ma ho sbagliato. Non so quando mi alzerò di nuovo, penso mai più.  Non posso, peso troppo, almeno cento chili, forse centocinquanta o duecento. Le mani. Le mani. Pesano, ogni dito peserà almeno dieci chili e anche le dita dei piedi. Si fa in fretta il calcolo. E poi mi fanno male i pensieri, sarà che sono schiacciati dal peso e quando le mani toccano la testa qualche danno lo fanno. Mi fanno male tutti i pensieri, sono ammaccati, contusi più che confusi, doloranti più che dolorosi, come se avessero sbattuto o come se gli fosse venuto addosso qualcosa. E ho male a ogni ricordo, dal più vecchio al più recente, mi fanno male al punto che mi viene da piangere. E i sogni, quelli si sono tutti intorpiditi, come se ci avessi dormito sopra, appoggiata tutta lì, con tutto il peso, questo peso, questo che si fa in fretta il calcolo e come si fa a muoversi con questo peso? Mi formicolano tutti, i sogni. Tutti. Due o tre, mica ne son rimasti tanti altri, provo a sbatacchiarli ma non si riattiva la circolazione. Oggi non mi alzerò e lo dirai tu in giro, andrai lì fuori e dirai che questo è, a nessuno verrebbe in mente di contraddire un lupo, specialmente se parla. Dillo come sai tu, non dire che resterò a letto sine die, che poi capiscono che sono parole mie, dillo come sei tu, dillo selvatico e famelico, dillo che faccia paura a tutti. E non ci provare, non insistere, non convincermi. Non mi alzerò. Non affronterò la luce, il rumore, le voci, il traffico, la rampa del garage, la macchina del caffè, non sorriderò per sembrare conciliante e rassicurante e disponibile al confronto sempre e comunque, purché sia costruttivo. Non assottiglierò i miei occhi, non alzerò le guance nel tentativo di sembrare qualcuno che accoglie con il sorriso. Non accoglierò e non sorriderò. Manco per niente.

Perché ho male a me, tutta, tutta quella che sono rimasta. E non sono sorridente e nemmeno conciliante e men che meno rassicurante e il confronto mi ha stancata. Sì, sono stanca, quindi resterò a letto e non affronterò la vita, la mia o quella di nessun altro, lascerò che scorra senza occuparmene e vedrai che funzionerà lo stesso, tu guarderai fuori e vedrai che tutto andrà avanti. Guarda come sai tu, non fare smorfie di arricciamento del naso, che poi capiscono che usi il mio sguardo, guarda come sei tu, guarda solitario e mistificato, guarda che tutti stiano lontani. Non mi alzerò, no. E vedrai che comunque arriveranno le mail illeggibili, con la x al posto del per, vedrai il camion si metterà in divieto di sosta dietro la mia auto anche se ce ne sono altre dieci, vedrai che i libri del liceo non saranno arrivati tutti, che mio padre anche quest’anno  avrà quella faccia mentre apre il regalo di compleanno e avrà vissuto tutta una vita senza mai pensare che dietro quel pacchetto che soppesa annoiato c’è il tempo che qualcuno ha speso e non tornerà più. E non si può cambiare se non piace. Il tempo non lo puoi cambiare. Non mi alzerò. No. Inutile che me la racconti. Non affronterò nessuna questione, non sarò all’altezza di nessuna aspettativa, non raccoglierò le provocazioni e nemmeno la cacca del cane in giardino. Seccherà. Lascio che tutto si secchi, come la mia pelle che l’hai visto anche tu quanta crema ho messo, sempre, eppure  dopo quattro giorni inizia la desquamazione, lo spellamento. Nonostante l’impegno profuso, nonostante la disciplina, la condotta esemplare, nonostante la costanza impiegata. Aggiungi che mi fa male la pelle, tutta. Tutta quella che mi è rimasta addosso e anche questa che cade passandoci su il palmo, si sfarina e si volatilizza. Beata lei.

Non mi alzerò, né oggi né mai. Mai più. La donna che rimase a letto, una specie di Barone Rampante ma più comoda.  Non mi alzerò mai più, questo è il piano. Non tingerò più i capelli, non abbinerò la borsa alle scarpe, non indosserò collane, non sarò la versione migliore di me stessa perché io con le versioni già al liceo faticavo, non è che mi venissero così, a volte le imbroccavo altre volte no e non ho più voglia di faticare. Non mi alzerò e non ci saranno più salite, parcheggi rincorsi, carrelli con la ruota sbilenca e buste della spesa con i manici rotti, non ci sarà più la patina di inadeguatezza da rimuovere con un panno in microfibra che non graffi la superficie. Non affronterò la crescita delle mie figlie perché non sono in grado di farlo, sulla carta forse, in teoria magari, ma nella pratica no. Non andrò a prendere nessuna parte recondita della mia esistenza per sviscerarla al fine di acquisire consapevolezza ed essere finalmente una madre pacificata ed equilibrata. Io con l’equilibrio faccio casino. Barcollo. Fisso un punto, certo, ma resto fissa sul punto fisso: io quando sono in equilibrio non riesco a fare altro che restare in equilibrio. Non ascolterò comprensiva, non gestirò il senso di colpa ma lascerò che prenda il sopravvento, che prenda tutto, è il senso più acuito che ho, dillo pure, vai fuori e dì pure che è tutta colpa mia, a nessuno verrebbe in mente di contraddire un lupo, specialmente se parla. Dillo come sai tu,  senza sorrisetti sarcastici, che poi capiscono che son parole mie, dillo come sei tu, dillo fiero e mal raccontato, dillo che tutti mi pensino colpevole. È colpa mia. Non sono loro, sono io, sono io che non posso alzarmi perché mi fa male la crescita, ho come un osso inaspettato che continua a crescere, ho come un dente che continua a bucare la gengiva, un dolore continuo e incessante, un dolore per la vita che cresce, per il tempo che c’è dietro la crescita e tutti si concentrano sul tempo che c’è dopo, tutti che guardano avanti e nessuno che si ferma a guardare il tempo che c’è dietro a una persona che cresce, il tempo dondolato che serve per cullare, il tempo piegato che insegna a camminare, il tempo lallato che insegna a parlare, il tempo scandito che insegna ad aspettare, il tempo speso dando fondo a ogni risparmio, il tempo che non puoi cambiare se non va bene o se non piace.  Come posso alzarmi con questo male addosso, ti rendi conto? Ho male al mio tempo infilato nella vita degli altri, a volte anche a forza, sedendomi sopra pur di chiudere la valigia, ho male alla donna che non riesco a d essere, alla madre che non riesco ad essere, ho male alle mie figlie che mi sembrano immense in un mondo di confini e limiti. Non mi alzerò, vai fuori e dillo tu, poi però torna qui che io ho male alla vita che passa, tutta, tutta quella che resta.

Un pensiero su “Quei giorni (conversazione con il Lupo)

  1. Ho sempre pensato, fin da piccolo, che cappuccetto rosso fosse un po’ tonta. Come si fa a confondere un lupo con la nonna? Ma magari invece non era tonta….
    E se pure tu facessi confusione? Se non fosse il lupo, ma la nonna? La proiezione dell’archetipo di donna che pensi dovresti essere? La donna perfetta. Se è lei non vincerai mai, forse fai bene sul serio a rimanere a letto.
    Ma le tue figlie, il tuo lui, le persone che ti stimano e ti vogliono bene non la vedono mica sta nonnalupo. Non vedono neanche la migliore versione di te, perchè poi lo sappiamo bene noi che abbiamo perso le diottrie sul Rocci…una versione può diventare qualsiasi cosa, mica ce ne è una migliore di altre.
    Loro vedono te per quello che sei. E magari a te no, ma a loro stai benissimo esattamente come sei. ❤

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