Ridendo e scherzando è giugno, dice la ragazza del bar. Ragazza. Potrebbe avere dai 25 ai 45 anni non lo so, io non sono brava a dare l’età come non sono brava a risolvere i rebus o i cruciverba crittografati, come non sono brava a fare la pasta frolla perché mi dà fastidio maneggiare il burro, come non sono brava a inventare i parcheggi. Lui è bravo a inventare i parcheggi. Anche mio padre è bravo a inventare i parcheggi. Io no, io devo avercelo lì bello grande, comodo, come entro così esco e non importa quale sia la mia auto, piccola o grande, il parcheggio per me è taglia unica e non lo invento. In ogni caso la barista è una ragazza, che ne abbia 25 o 45. In ogni caso non mi interessa. Come non mi interessano i rebus o i cruciverba crittografati. In ogni caso ho riso molto poco e scherzato ancora meno vorrei dirle, ma non servirebbe. Come le bustine dello zucchero, ti ho detto no, che non mi servono, lo prendo amaro. Ah, come la vita risponde lei. Che cazzo dici vorrei dirle ma non servirebbe. Sorrido. Come certi rettili. No, amaro come il caffè senza l’aggiunta di qualcosa che gli cambi il sapore. In ogni caso non è ancora giugno, manca qualche ora, precisazione inutile soprattutto fatta da me che sono campionessa di precisazioni ma anche di arrotondamenti. Come tutti quelli nati dopo l’estate, penso. Io ho gli anni che ho solo per tre o quattro mesi , poi scatta l’anno nuovo e io ragiono per competenza, come i commercialisti. Da ragazzina arrotondavo, durante l’estate, quando il ragazzo che avevo puntato mi chiedeva l’età scavallavo di un paio di mesi e arrotondavo, siamo a luglio, ti dico sedici che ti frega poi se li compio a settembre? Ormai è fatta, luglio o settembre non fa differenza. Siamo a giugno, ripeto alla barista. Il tuo caffè è una merda imbevibile ragazza senza età con tutte le età del mondo addosso, da quanti anni fai questo lavoro e perché ancora non sei capace di farlo? Siamo a giugno e a Torino è tornato l’autunno tranne che per i colori, c’è troppo verde, si capisce che qualcosa non è a posto: o il cielo o le chiome degli alberi. Nemmeno io sono a posto. Sono al mio posto, sì, quello sì. Come un militare di leva nella garitta. Ma a posto no.
Per me è febbraio. Sono ferma su un treno, sto tornando da Firenze a Torino. Ho sbagliato nella prenotazione dei posti e così le mie ragazze viaggiano sedute nei sedili davanti al mio, ne intravedo i movimenti delle teste mentre parlano avvicinandosi per non essere sentite da altri. Gli altri siamo noi: io e il padre. Ho gli occhi sul cellulare che mi rimanda parole scritte da lontano a cui dare un senso che mi fa senso, un senso che non voglio sentire, parole a cui restituisco un significato diverso io che con le parole ci parlo anche quando sto zitta per giorni, io che le parole le invento se non le trovo comode, guardo fuori dal finestrino potrei essere ovunque nel segmento che unisce Firenze a Torino, sono un puntino su una linea, come una macchia di cui non si capisce l’origine e la destinazione, la risonanza è questo rumore nel centro del mio petto potrebbe essere il cuore impazzito che uno pensa si impazzisce con la testa e io penso che se si è fortunati si impazzisce con la testa altrimenti si impazzisce con il cuore. E il contrasto è la vita che scorre dentro il treno che uno pensa che sia il treno a scorrere e sì, bravo, penso, e quello che c’è dentro il treno? Quello non conta? Il controllore o capotreno o come cazzo si chiama con il cappello sotto il braccio in una posa così antica mentre scansiona il codice della prenotazione, si è accorto che ho sbagliato, si vede che dovevo prendere i posti da quattro e invece ne ho presi due e due? Quelli che salgono e trovano il posto occupato e discutono. C’è un posto libero accanto, non ti intestardire vorrei dire, a cosa ti serve? Guarda, te lo dico io che sono campionessa di precisazioni eppure, vedi, ho sbagliato la prenotazione e le mie figlie viaggiano sedute davanti a me e guarda tu che botta di culo mentre a me scoppia il cuore che loro non lo vedano, che loro non se ne accorgano così io posso prendere un po’ di tempo, quello si fa con i figli, sai, si prende tempo e sai da dove si prende? Ti risulta ci sia un negozio, uno spaccio, un centro dove andare a prenderlo? No. Non c’è. Si prende dal tuo. Facile. Prendi tempo dal tuo tempo. Quindi, davvero vuoi dedicare tempo alla discussione di un posto occupato? Siediti dove trovi posto, ascolta. Nella vita, davvero, fidati. Magari è la tua botta di culo e non lo sai. Per me è febbraio e so che non riderò e non scherzerò più. Alzo lo sguardo dal cellulare e vedo Lui che mi guarda. Lo sapevo. Io lo so sempre quando mi guarda perché lo sento come se mi toccasse. Il contrasto è la mia paura riflessa nel suo sguardo. Ha capito che sarà febbraio per molto tempo, che non scenderò per davvero da quel treno nemmeno quando saremo arrivati, nemmeno quando torneremo a casa nostra e scaricheremo i trolley e il salotto ci sembrerà bellissimo e il giardino pieno di erbacce già dopo pochi giorni.
Il tempo non si può prendere all’infinito. Arriva un momento nel quale si devono dare informazioni, arriva il momento in cui serve un adulto responsabile e quell’adulto responsabile sei tu. Sono io. Io non sono brava a essere un adulto responsabile, come per la pasta frolla. Non mi piace maneggiare le aspettative degli altri perché mi lasciano addosso la mollezza del burro. Guardo le mie ragazze e dico loro: prestatemi attenzione. Si dice così perché poi va restituita, è un prestito, ok? Allora prestatemi attenzione. Io porto pazienza, quella che ho, non molta, la porto e forse me la porto via, se ne avanza o forse ve la lascio, non lo so, lo stabiliamo dopo. Voi prestate attenzione, io poi ve le restituirò, prometto. Io sono campionessa di promesse mantenute, lo sapete. Sono stanca, così stanca da essere stufa, così stufa da stare qui come una stube nel centro della stanza dove la famiglia si riunisce, così stufa da pensare di esplodere e lasciare macerie dopo la deflagrazione, così stufa da continuare comunque a scaldare perché è quello che ci si aspetta da una stube. Continuerò a farlo sbuffando più del solito perché adesso il solito non è più solito, perché sarà febbraio anche a giugno quest’anno, perché lo dico io e basta come quella volta che avevate tre e cinque anni e all’uscita dall’asilo vi colava il naso, a ridosso del fine settimana che sapevo già condannato a casa a fluidificare il muco e vi ho detto che forse eravate vestite in modo troppo leggero e mi avete risposto che dovevo pensarci io, perché sono io la mamma, dovevo dirlo io quella mattina che non andava bene il vostro abbigliamento. Sei tu la mamma- ha detto la grande- sei tu la mamma ha ripetuto la piccola- sei tu la mamma- ha ridetto la grande saltellando- sei tu la mamma le ha fatto eco la piccola saltellando-, sono io la mamma di queste scimmie- ho piroettato io sul marciapiede davanti all’auto ben parcheggiata. Quando vi sembrerà tutto assurdo sedetevi davanti a me senza girarvi, lasciatemi prendere tempo.
Le cose stanno così, sono ferma su un treno che nel frattempo si è fermato in un punto non precisato lungo un segmento che non so calcolare. Non sono brava con la geometria, lo sono di più con le definizioni ma poi quando si tratta di applicare le regole mi annoio. Come non sono brava con le attese nonostante mi sforzi da anni, nonostante ultimamente la vita, pare, mi stia facendo fare solo quello. Non sono brava con la vita, a viverla intendo. Me ne tiro indietro, mi siedo dietro e osservo, mi piacciono quelli che salgono a passo veloce e sicuro, quelli che hanno subito trovato il vagone e il posto libero, quelli a cui non devi dire che va bene lo stesso, mi piacciono ma non so essere come loro e non vorrei nemmeno. Sono ferma su un treno, ci sono salita adulta e adesso mi ci ritrovo un po’ più piccola, ogni giorno un po’ di più. Mi guardo intorno per vedere se ci sono mamma e papà, i miei. Mi giro e non sono seduti dietro. Ogni giorno un po’ di più, dimentico l’adulta ma piango come piangono gli adulti, contratta, arricciata, nascosta. Ogni giorno un po’ di più mi aspetto che nessuno scenda, che nessuno salga, che niente cambi. Sono ferma su un treno, ci sono salita da adulta e adesso mi basterebbe incrociare lo sguardo di mio fratello, dirgli siediti qui, ti cedo il posto vicino al finestrino, possiamo muovere le teste, i tuoi riccioli appoggiati ai miei lisci, vieni qui, guarda fuori oppure se vuoi appoggia la testa qui sulla mia spalla e addormentati, ti avviso quando ripartiamo che siamo ancora lontani, che non dobbiamo ancora salvare nessuno. Ma lui non c’è, perché è un adulto adesso, ogni giorno un po’ di più, dimentica il bambino che allungava i piedi sulle mie gambe per stare comodo durante un viaggio, perché da adulti certi viaggi si fanno scomodi e da soli. Le cose stanno così, sul treno resta ferma la bambina, l’adulta deve scendere e tutto quello che può fare e aiutare la piccola a fare altrettanto quando sarà il momento.
Sono io la mamma e voi siete le figlie solo che i figli sono come i princìpi, poi devi difenderli sempre e non puoi cambiarli, non puoi non crederci più. Io non sono brava con i princìpi, ne ho una manciata e mi interessano poco. Sono più brava con i finali possibilmente troncati e con poche speranze, che anche quelle sono faticose, dopo una certa età soprattutto. Ma quel fenomeno di personaggio che nelle settimane scorse ha tirato su quella lezione magistrale sulle donne dopo “gli anta” lo sa? Lo sa che dopo gli anta anche le fatiche le scegli, le selezioni e le abbini? Cerchi quelle che ti valorizzano, mica ti infili più in qualunque fatica solo perché di moda. Sono io la mamma, ho passato gli anta ormai senza arrotondare, sono nell’età di mezzo, combatto la cedevolezza dei muscoli e assecondo la cedevolezza del cuore io che mai si sarebbe detto e invece sono una donna di mezza età nell’età di mezzo e nel mezzo in genere ci si perde e ci si confonde e infatti così è e mi dispiace per chi passa da queste parti, per questo febbraio perenne che incombe, per la bambina sul treno a cui fare da madre, sono io la mamma anche per lei, per il mio farneticare dalla cucina di bambini che diventano adolescenti, di tutto quello di cui non parliamo quando parliamo d’amore, di tutto quello di cui non parliamo quando parliamo di figli. Mi dispiace per chi l’ha chiamato giro di boa, descrivendolo come età dell’oro: donne che hanno fatto il giro di boa. Ma lo sanno che dopo il giro di boa torni indietro più lenta e appesantita e soprattutto non sei più nella corsia da dove eri partita? Lo sanno che dopo il giro di boa te la fai tutta nella corsia di salvamento come un Terranova che deve recuperare quante più persone possibili? Sono io la mamma e voi siete le figlie e quando vi sembrerò assurda sedetevi davanti a me senza girarvi e iniziate a prendere tempo. Il vostro.

Eppure maneggiare le aspettative degli altri è una delle cose che siamo chiamati a fare come genitori. E non credo che tu non sia capace. Penso che non ti faccia piacere farlo, ma questo è un altro discorso (che poi mi potresti dire, ma che cazz ne sai tu? E forse avresti ragione. O forse no)
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è così. non mi fa piacere farlo. per niente.
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Ci continuavo a ragionare. Se ci piacesse non sarebbe “sano”: per certi aspetti va fatto, per altri però è molto pericolosa.
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