La Signora senza Sogni dorme poco, trascorre gran parte della notte a rigirarsi su sé stessa. Ecco spiegata la mancanza di sogni, le dicono. Ma con la Signora senza Sogni bisogna andare cauti in fatto di spiegazioni perché lei è una specialista della materia, a tutto cerca la spiegazione e quando, a volte, le capitano situazioni per le quali non c’è spiegazione cerca la spiegazione dell’assenza di spiegazione. Sbuffa sfinita dalla banalità di certe affermazioni. Cosa c’entra la mancanza di sonno con la mancanza di sogni? È quello il tempo per sognare, le dicono allora. Sbuffa ancora più sfiancata dall’ingenuità di certe risposte. I sogni non hanno bisogno di tempo, ma di spazio. Altrimenti perché uno li metterebbe nel cassetto? Il tempo serve ai progetti. Ai sogni serve lo spazio.

La Signora senza Sogni cammina in lungo e largo all’interno di un’area delimitata. Tra Piazza Rivoli e Piazza Bernini lungo Corso Francia, tra Corso Lecce e Corso Svizzera sino a Corso Tassoni. Avanti e indietro, tra le vie e i controviali, a scendere e salire, il cane a guidarla come se non ci vedesse e un po’ è davvero così. Un paio di volte alla settimana si spinge fino al Parco della Tesoriera, inizia il giro sempre da destra, costeggia gli alberi e torna indietro, uscendo da sinistra. In quelle occasioni il cane è più felice, lei lo sa perché è come se lui glielo dicesse o, comunque, lei lo capisce. La Signora senza Sogni cammina in lungo e in largo e mentre i talloni si poggiano e le punte si sollevano conta i passi arriva a dieci e ricomincia. Sua madre le direbbe che sembra un’anima in pena, pensa, e intanto perde il conto ma non è grave, ricomincia. Una volta alla settimana, in genere il giovedì, invece si spinge oltre Piazza Bernini, ma da sola, senza cane e senza contare i passi, attraversa Piazza Benefica che forse non si chiama nemmeno così, l’attraversa facendosi largo tra i clienti del mercato, la attraversa come se dovesse farlo a  nuoto, c’è una speranza di sopravvivenza nel modo in cui lo fa e attraversa davanti alla farmacia nella quale aveva comprato il test di gravidanza che le avrebbe annunciato l’arrivo della piccola, si infila in una via e in un portone e in appartamento e in una stanza e su una sedia e parla per un’ora di come sopravvivere a una donna che le chiede sempre come si sente e lei risponde sempre dove si sente, in quale punto. Poi esce e compie lo stesso tragitto al contrario, si lascia alle spalle la farmacia e attraversa il mercato come se dovesse farlo a nuoto, questa volta a dorso, guarda il cielo e chissà se le anime in pena sono lì, se in mezzo a tutte quelle persone è la sola ad aver comprato un test di gravidanza in quella farmacia e ad avere avuto una bambina che sembrava solo una bambina e invece era la sopravvivenza, se è la sola ad essere senza Sogni, se è la sola ad avere uno stradario aggiornato con tutti gli eventi della sua vita, se è la sola che si sente da qualche parte invece che in qualche modo. Chissà se sua madre ha mai visto un’anima in pena, com’è fatta e dove. Dove l’ha vista?

La Signora senza Sogni ha il sogno inserito nel nome. Quando era bambina qualche presa in giro c’era stata per quel nome a cui bastava togliere una I e inserire una G per trasformarlo nell’imperativo del verbo sognare, che però non regge l’imperativo. Il verbo dormire sì, ma il verbo sognare, dai, non si è mai sentito. E dormire non c’entra niente con i sogni, non con quelli che mancano a lei.  Quali sono i sogni che ti mancano, le chiedono. Ma con la Signora senza Sogni bisogna andare cauti con le domande, perché lei è una che risponde sempre e tante volte chi fa una domanda non vuole, davvero, la risposta. Sbuffa snervata dall’inutilità di certe domande. Se sapessi quali sogni mi mancano me li procurerei, non confondiamo quello che manca con quello che si perde. Ma forse se chiudi gli occhi e ti concentri, le suggeriscono. Sbuffa ancora più insofferente dalla limitatezza di certe semplificazioni.  I sogni non hanno bisogno di occhi chiusi, quelli servono ai desideri. Ai sogni servono occhi ben aperti per essere realizzati.

La Signora senza Sogni lancia pensieri e corre a riprenderli, li riporta indietro e li lancia di nuovo, poi si ferma per riposare o per ricordare, all’interno di un’area delimitata tra il 1981 e oggi. Ha festeggiato un compleanno palindromo da quindici giorni , una coppia di quattro comodi come un divanetto a due posti dove stare per un po’ a guardare che succede, cosa danno in tv, per aprire un libro o per bere una tisana. Non abbastanza per sdraiarsi ma va bene così, va bene anche stare seduti e fare cenno a una persona, una sola, che c’è posto, ci si può stare in due, il cane si sposta un po’ o lo si tiene in braccio e anche se lo spazio non è molto è sufficiente per dirsi quello che è rimasto da dire, ora, perché le parole non hanno bisogno di spazio ma di tempo e quel tempo è adesso. Allora invita accanto a lei un uomo dal profumo buono e le mani forti e gli dice che adesso ha capito quella canzone che lui le cantava serio “ma che cos’hai, ma cosa non ho, solo le stesse parole che io ancor non ti ho detto, comunque vada comunque sia io non ti perdo, sei qui con me, noi, ma io ho te, è solo un timido pretesto”, adesso ha capito cos’è un timido pretesto lei che rideva di quell’aggettivo fuori contesto perché a diciotto anni i pretesti sono inutili e non timidi e gli dice va tutto bene, sai, non sono cambiata ma solo invecchiata. Allora invita accanto a lei un bimbo di tre anni e gli legge un libro e un altro e un altro ma lui si muove e sale e scende e non sta fermo e lei ringrazia e ringrazia e ringrazia e ogni salto che lui salta lei ringrazia e ogni calcio che lui calcia lei ringrazia e ogni parola che lui parla lei ringrazia perché ha avuto paura che non succedesse più e ha chiuso gli occhi per tante notti senza dormire e ha espresso un solo desiderio così tante volte da pensare di non poter più chiedere nulla per il resto della sua vita e adesso il bimbo scende e corre e allora lei fa sedere un uomo che le somiglia, tutti hanno sempre detto così ma non sa più se è vero o se lo sia mai stato e aspetta che lui parli ma lui non parla e lei nemmeno, lui la guarda offeso e con disapprovazione ma lei non ci casca più e allora gli dice puoi andare, sai, non ho voglia di essere rimproverata, lui non capisce nemmeno questa volta ma lei sa che non può farci nulla. Allora sorride e fa solo un cenno a lei che si siede e le dice Soniè, qua stai? Sì, Marè, qui sto, le risponde. E guardano nella stessa direzione come facevano a sedici anni, senza grandi cose da aggiungere perché tra loro è sempre stato il tempo delle parole, è lo spazio insieme che è mancato un po’ ma la vita fa cose strane. E poi tocca a Lui sedersi accanto alla Signora senza Sogni. Lui le ha insegnato che l’amore è solo quello ricambiato, lei per sicurezza ha sempre con sé pezzi di ricambio per aggiustare quel che si rompe, se si rompe, quando si rompe. Lui le tiene la mano, senza fare domande e senza dare spiegazioni, senza stringere troppo, senza fretta, senza censure, senza fine.

5 pensieri su “La Signora senza Sogni

  1. “La Signora senza Sogni cammina in lungo e largo all’interno di un’area delimitata. Tra Piazza Rivoli e Piazza Bernini lungo Corso Francia, tra Corso Lecce e Corso Svizzera sino a Corso Tassoni”. Strade percorse un milione di volte. Bel racconto, mi hai fatto venire nostalgia di Torino e di quei quartieri.

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