Io & Lui

Lui ha gli occhi verdi, se ci si avvicina per guardarli bene sembrano anche grigi, se ci si avvicina per guardarli meglio assomigliano a certi laghi che devono il colore cangiante agli alberi da cui sono circondati. Io ho gli occhi neri, se ci si avvicina per guardarli bene sembrano proprio neri, se ci si avvicina per guardarli meglio assomigliano a quei sacchi usati per portare via i cadaveri dalla scena del crimine, in genere dall’assassino e non dal medico legale. Io sono convinta che chi ha gli occhi chiari veda il mondo diversamente da chi ha gli occhi scuri, con più ottimismo. Immotivato.

Io, a volte, mi scuso con Lui per questa cosa che sto invecchiando:” mi dispiace-gli dico- che sono più vecchia e meno bella per te che sai di quando ero meno vecchia e più bella”. Lui non mi trova invecchiata e da vicino ci vede ancora bene, mette gli occhiali per vedere da lontano ecco perché io cerco di stargli il più vicino possibile così sa sempre come sono, davvero. Io, ogni tanto, parlo con la Dottoressa Elle del fatto che mi spiace invecchiare più per Lui che per me, in fondo, e che a volte penso a quella mia amica che è arrivata al quarto marito di seguito che mi sembra un modo per fermare il tempo senza trascorrerlo e non mi piace ma va detto che è anche una bella garanzia contro il dolore di aver vissuto la maggior parte della vita accanto a una sola persona che a un certo punto morirà, al quarto marito non fai nemmeno in tempo ad affezionarti, penso. Lui mi ascolta sempre quando gli parlo della Dottoressa Elle, in genere a letto, appena svegli.

Lui odia la pubblicità in televisione, cambia canale e si lamenta che ci sia la pubblicità contemporaneamente su tutti i canali e dice frasi come “ma davvero qualcuno compra un profumo perché vede questa roba, ma davvero qualcuno compra un’auto perché vede questa roba?” I canali che lo interessano di più sono quelli che io non guarderei mai, quelli delle emittenti locali, con le trasmissioni di musica e balli nelle balere, quelli nei quali Marisa di Brandizzo manda i saluti a tutti quelli che la conoscono, lo rilassano, gli danno un senso di leggerezza. Io li detesto, mi appesantiscono e mi dà fastidio l’accento piemontese,il modo di parlare sgrammaticato, allora faccio il verso al presentatore e ai mezzi disgraziati inquadrati e Lui mi dice di smetterla perché siamo in Piemonte ed è giusto che loro parlino così, ma poi ride insieme a me.

Io non ricordo mai i vini che beviamo, i nomi o le etichette, invece Lui sì, assaggia sempre al ristorante, tiene in bocca per un po’ poi fa un cenno di assenso e lascia che venga versato anche a me e intanto si accomoda meglio sulla sedia e poi mi dice, sempre, di lasciarlo riposare un attimo indicando il vino nel bicchiere. Lui ha un grande senso della musica e del ritmo, io ho un grande senso del testo, mi interessano le parole, solo le parole. Io ricordo tutti i libri che leggo, magari non l’autore ma la copertina sì e li abbino nella libreria secondo un criterio che conosco solo io. Io non sono assolutamente portata per il disegno, a scuola mi regolavo con due cavalli di battaglia che erano l’alba o il tramonto, a seconda del titolo dell’opera, al mare o in montagna a seconda che il sole sorgesse, o tramontasse, dall’orizzonte delineato con matita o pennarello, a seconda della tecnica, azzurro o tra due i vertici di due triangoli innevati o con scarsa vegetazione, a seconda di quanta voglia avevo di colorare di marrone o di lasciare bianco. Lui dipinge benissimo, soprattutto ad olio che è la tecnica che non finisce mai di poter essere lavorata e io penso che sia questo, in fondo, che lo attrae davvero.

Lui è la persona migliore al mondo con cui crescere dei figli sin da piccoli e se io non fossi tanto gelosa potrei noleggiarlo, ormai, perché è davvero  bravo. Per prima cosa non patisce troppo l’assenza di sonno, ha il suo modo di recuperare con brevi sonnellini piombati invidiabili dall’esterno e quindi difficilmente accumula sonno arretrato. Poi, non ha schifo di niente: vomito da influenza o da acetone, cacca nelle diverse consistenze, pellicine delle unghie che fanno infezione, sbucciature e cadute che determinano fuoriuscite di sangue. Io fatico di più, trattengo il disgusto, lo maschero ma vorrei essere altrove. Il sangue mi ferisce e più in generale da quando sono madre vorrei avocare ogni malattia, indisposizione, disturbo così da sbrigarmela da sola. Lui non pensa troppo a come fare e cosa dire con i figli , dice che basta far vedere senza tante parole e, soprattutto, che ormai è fatta, ormai non gli insegnamo più cosa sì e cosa no, ormai lo sanno e quindi ormai scelgono, lo sanno già, quel lavoro l’abbiamo già fatto, mi dice. La Dottoressa Elle conferma, ha ragione Lui. Se non fossi tanto gelosa potrei mandare Lui in seduta, sarebbe un paziente migliore.

Io tengo a mente tutte le date, i compleanni e glieli ricordo solo se mi va di farlo, per esempio  da quando qualcuno mi ha detto che senza di me Lui era molto meglio ho smesso di farlo per tutta una serie di persone e quindi Lui non fa più regali né auguri e forse sembra maleducato invece è solo meglio. Ad aprile saranno ventidue anni insieme ma ci siamo conosciuti nel settembre precedente, ci ha presentati uno che a guardarlo non gli dai due lire e che  ha un cognome che suona come una rivolta e Lui ogni tanto mi dice “ma lo sai che dobbiamo dire grazie a un mezzo coglione” e io gli rispondo che lo so e però è stato davvero come una rivolta. A maggio Lui compirà cinquantatré anni, io ci penso spesso. Anche Lui ci pensa spesso. A volte ci pensiamo spesso insieme. Suo padre è morto a quell’età. Che vuol dire, ci diciamo quando ci pensiamo insieme. Ognuno ha la sua storia, ci rassicuriamo quando ci pensiamo insieme. Lui ha parlato con il suo osteopata che gli ha detto che quando ha superato l’età della morte del padre (49) ha ripreso a respirare correttamente. Io me lo immagino Lui che chiede in giro informazioni di questo tipo, come nostra figlia, la grande, che quando era molto piccola non chiedeva alle persone come si chiamassero o quanti anni avessero ma chiedeva sempre “come chiama tua mamma?”, collezionava nomi di madri altrui, ogni tanto si interessava ai padri “come chiama tuo papà?”, questo l’ha chiesto anche a sua sorella appena nata, per sicurezza. Lui me lo immagino così, un po’ spaurito che chiede in giro  “quando è morto tuo papà?”. Io so che se fai un brutto sogno e lo racconti allora non si avvera, almeno così mi ha garantito mio padre quarant’anni fa, ecco perché io certe cose a cui penso le dico, anche se non sono sogni magari funziona allo stesso modo. Io quando penso ai suoi cinquantatré anni chiudo gli occhi e aggiorno la mia lista dei sacrificabili al suo posto, nel caso a qualcuno potesse servire. Sono tutti nomi di quelli a cui non fa più gli auguri.

Lui va sempre a fare la spesa, io raramente, così raramente che quando accade la mia banca mi manda un sms per avvisarmi che il mio bancomat è stato usato al supermercato. Per la frutta e la verdura Lui va al mercato, io odio il mercato, Lui si mette in coda e ascolta quel di cui parla la gente, io tengo la borsa stretta e sbuffo di fastidio in mezzo a tanta banalità. Lui è diventato molto bravo anche nell’acquisto dei detersivi non si discosta molto dalle mie indicazioni e quando lo fa io, ormai, non mi lamento più perché  è solo un detersivo e anche le lamentele vanno selezionate. Lui non mangia le olive e nemmeno i cetrioli. Io adoro le olive e i cetrioli. Lui li compra lo stesso, io so che mi ama molto perché non devo chiedergli di comprarli. Io non ho mai zuccherato il caffè o il tè, Lui ha smesso di zuccherarli, Io ho iniziato a mangiare il riso, gli gnocchi e la fonduta da quando vivo con Lui, prima vomitavo solo nel vederli. Lui mangia i roccocò a Natale e la pastiera a Pasqua, sa che si dice arancina altrimenti è  abominio.  Io continuo a rifiutarmi di mangiare il minestrone a pezzi, solo passato. Lui non mangia più il minestrone a pezzi, solo passato.

Io amo la solitudine e il silenzio, me li sono conquistati come tante altre sensazioni e condizioni. Lui ultimamente non sopporta tanto le altre persone, vorrei che fosse merito mio ma no, è qualcosa a cui è arrivato in piena autonomia a furia di essere esposto al vociare molesto di clienti e fornitori. Io ho cambiato lavoro, Lui mi ha supportata nel farlo. Lui certe notti pensa al lavoro, io penso insieme a Lui, poi ci scambiamo i pensieri perché altrimenti sarebbe tutto molto noioso e soprattutto significherebbe che solo uno dei due pensa. Io mi accorgo quando Lui ha un pensiero non suo, di più in passato, ormai è sempre più originale. Si è ripulito di una serie di grossolanità che lo ricoprivano come la patina caseosa sui neonati, si è liberato di una serie di falsi ricordi e di qualche menzogna e io ho fatto lo stesso e così Lui non crede più di non essere portato per le piccole riparazioni casalinghe e io non credo più che se piangi per la morte di un animale domestico poi muore un parente. Comunque, devo dirlo, non è mai stato un deterrente per impedirmi di piangere la morte dei miei cani, anzi, ho sempre avuto la lista dei sacrificabili.

Lui alcune parole non imparerà mai ad usarle e io rido moltissimo di questo. Se mai dovessero rapirlo io per essere sicura che sia ancora vivo chiederei di fargli formulare una frase con il verbo confutare prima di pagare il riscatto. Io gli dico ogni giorno che è bellissimo, anche adesso che è un po’ magro. Lui mi dice che sono la migliore, mi stringe la mano nel letto, al buio e io mi sento migliore davvero, magari non la migliore ma migliore sì. Lui mi chiama in un modo che sappiamo solo io e le ragazze, non mi chiama mai per nome. Io a volte lo chiamo in un modo che sanno solo Lui e le ragazze e a volte lo chiamo per nome e a seconda di quante o pronuncio alla fine si capisce l’urgenza o meno che ho. Abbiamo un nostro esperanto come tutti gli innamorati, ma noi siamo più innamorati o comunque innamorati meglio di tutti gli altri.

La Dottoressa Elle mi ha detto che io  e Lui siamo una coppia sana, una coppia che sa ripararsi, ha detto e nel pronunciarlo ha messo i palmi delle mani uno sopra l’altro senza farli aderire e ha mosso la mano destra in senso orario e la mano sinistra in senso antiorario come un ingranaggio, questo significa, per lei, che siamo una coppia che sa ripararsi. Osservavo le sue mani, la fede all’anulare, un braccialetto sottile al polso, le unghie senza smalto o gel o diavolerie che siamo rimaste io e lei al mondo a non fare la manicure e pensavo che quando dico riparare io, invece, mimo il gesto del cucire, unisco l’indice e il pollice della mano destra e ricamo in aria qualcosa, come se rammendassi, cosa che non so fare. L’amore è sutura. Sutura, non benda, sutura, non scudo. Sutura con cui il vento è cucito alla terra, come io a te sono cucita, diceva la poetessa. Ogni volta che ci siamo riparati- e in ventidue anni è successo spesso -è questo che abbiamo fatto, ci siamo rattoppati, cuciti, rammendati. Ecco perché siamo dei mostri, adesso, dei nuovi Frankenstein ricuciti malamente, ecco perché gli altri non ci riconoscono più, perché ci guardano e vedono solo le suture senza individuare i lineamenti, quelle suture che possono essere accarezzate solo da chi le ha praticate con cautela per riparare quel che si era rotto. Siamo una coppia sana, una coppia che sa ripararsi, ha detto e io ho unito il pollice all’indice come per scrivere qualcosa prima di dimenticarlo e mi sono ricordata che mi avvicino a Lui il più possibile e solo lì trovo riparo, osservandolo attraverso i suoi occhi verdi che io non ho paura di annegare e Lui si avvicina a me il più possibile e solo lì trova riparo, attraverso i miei occhi neri che proteggono da tutto, che Lui non ha paura dei cadaveri.

Animali forastici e dove trovarli

Sono stanca, Lupo. Stanca, stanchissima. È stanca Mamma Orsa, vorrebbe andare in letargo. Ti ricordi quando le Cucciole Orse mi hanno ribattezzata così? Quanto tempo è passato? Quasi sei anni da quando la Cucciola grande è stata usata per colpire suo padre e me, mio dio. Mayday, mayday, Lupo. Sono stanca e so che lo sai, ti sento anche senza parole, ti sento soprattutto quando non si sentono le parole, so che lo sai, ti sento agitato dentro la mia cassa toracica, smuovi tutto, scavi e tiri fuori, stai di guardia  ai miei pensieri, osservi quelli che escono e aspetti quelli che entrano, hai il tuo carico di lavoro, lo sento.  È stanca Mamma Orsa di tutti gli impegni delle Cucciole Orse che le cascano sulle spalle e l’abbassano ogni giorno un po’, ecco perché le Cucciole sembrano ogni giorno più alte, mica lo saranno diventate per davvero, che dici? Soprattutto la Cucciola piccola, mica può essersi alzata di tutta una testa nello spazio di una stagione? Non è possibile, Lupo, è Mamma Orsa che si abbassa sotto il peso dei giorni, vero che è così? Ti sento, Lupo, ti sento anche senza parole, ti sento con il fiuto, soprattutto di notte quando sto di guardia  al giorno che finisce e aspetto  quello che inizia, che stanchezza, mio dio. Mayday, mayday, Lupo.

Sono cresciute le Cucciole, sì, me l’hanno fatta così sotto gli occhi e oltre gli occhi, me l’hanno fatto in fretta, in quest’anno maledetto durante il quale ti ho fatto lavorare tanto, tantissimo, chissà se sei stanco anche tu, Lupo. Ti sento  affaticato, ti sento anche se non ti lamenti, ti sento senza le orecchie, lo sai che valgono poco ormai, è tutto un bruciare e prudere e scrosciare di acqua lì dentro le mie orecchie, non posso più farci affidamento, guardo le labbra delle persone mentre mi parlano e vivo nel mondo delle ipotesi, con te non ne ho bisogno, ti sento senza le orecchie. Mamma Orsa ti sente stanco, Lupo, e teme sia colpa sua. Mamma Orsa teme sempre che sia colpa sua anche quando non è detto che sia colpa sua, soprattutto quando è stanca, stanchissima, mio dio. Mayday, mayday, Lupo.

Mamma Orsa e Cucciola grande sono state a Roma per due giorni, quarantotto ore filate via sotto una pioggia sconsiderata, in mezzo a lampi e tuoni scagliati da Giove pluvio in gran forma, quarantotto ore passate in fretta, fatte di amiche ritrovate per la Cucciola e di passeggiate mischiata tra le persone per Mamma Orsa, con il cappello a ripararla e una mappa spiegazzata in tasca, con tanti pensieri, tanti davvero, da rimettere in ordine, con qualche affanno dal quale separarsi per poco, solo quarantotto ore, ma vere, con un paio di desideri da gettare agli dei per il tramite di una monetina, Mamma Orsa e il Lupo dietro lo sterno, a passeggio sotto il diluvio come se non fosse vero.

Dopo aver lasciato Cucciola grande alla fermata della metro  Ottaviano con raccomandazioni infilate a caso nelle tasche come spicci lasciati all’ultimo momento sono tornata in San Pietro perché avevo cose serie da sbrigare: mi serviva Santa Lucia. Una medaglietta di Santa Lucia, di quelle che si tengono nel portafogli o in qualche tasca. Mia nonna aveva la medaglietta della Madonna di Loreto, a cui era devota, pinzata nella sottoveste, ogni tanto scostava l’abito o la camicia e me la mostrava baciandola. La Madonna di Loreto non ha le braccia quindi io l’ho sempre patita molto perché sulle menomazioni non vado forte, anche la devozione di mia nonna non me la sono mai spiegata fino in fondo, aveva una sua versione dell’agiografia, diciamo che tendeva alla semplificazione. “Nonna che cosa fa Santa Chiara” “eh, Santa Chiara è importante.” “perché? che ha fatto?” “eh, Santa Chiara se la faceva con San Francesco, per quello è importante”. Ah. “Nonna, ma Santa Sonia esiste?” “No, tu non la tieni la Santa.” “E perché non esiste?” “eh, perché non hai un nome cristiano?” “In che senso non è un nome cristiano, scusa, mi hanno pure battezzata?” “eh, vabbuò, ti hanno battezzata ma quello perché il prete era amico di papà tuo, tua mamma ti ha dato un nome senza Santa”. Questa  nonna era, va da sé, quella paterna.

Mi serviva Santa Lucia, una medaglietta di Santa Lucia made in China direttamente da San Pietro.  Ho iniziato a frugare tra le medagliette infilate in diverse scatoline dentro un negozio grande che prometteva il fatto suo sull’argomento. Niente. Mi sono arresa, dopo sei o sette sante mi sembravano tutte la Madonna con un altro nome scritto sotto, persino Papa Francesco mi sembrava la Madonna con un altro nome scritto sotto (Papa Ratzinger no, sembrava proprio lui)è quello che chiamo l’effetto Trip Advisor per cui al quarto ristorante di cui leggo le recensioni vado in confusione e mi sembrano tutti uguali. Allora ho chiesto aiuto alla commessa. Non ho posto una domanda difficile “buongiorno, mi scusi, vorrei una medaglietta di Santa Lucia, se possibile” “Santa Lucia?” chiede come colta alla sprovvista la giovane ragazza ad occhio mia coetanea. “Sì” annuisco, confermo, sorrido persino. “Forse è meglio che chieda alla mia collega, per questo.” Sono rimasta ferma al forse per un attimo, come quando sai di aver capito bene ma non ti torna nel senso della frase. Forse. Non era sicura nemmeno lei che la sua collega potesse aiutarmi, per questo. Per questo indica la difficoltà del quesito, la specificità della richiesta che necessita di un intervento specializzato. Forse. Mi sono rivolta alla collega, sempre con il sorriso, finto, sulle labbra. Ho riformulato la richiesta. La collega, e forse madre della giovane e inesperta venditrice data la vaga somiglianza che ho colto nel lampo di stupore intravisto nello sguardo altrimenti spento, ha ripetuto la mia richiesta a voce alta. Sì. Ho riconfermato. Santa Lucia. Sono sicura. “allora, qui se vuole c’è Santa Marta.” “No, grazie, non voglio Santa Marta, voglio Santa Lucia, non so nemmeno che fa Santa Marta.” “eh beh, pure Santa Marta fà, per fare, pure Santa Marta fà.” Ho avuto un attimo di esitazione, volevo chiederle se avesse parenti a Napoli, se qualcuno della sua famiglia per caso arrivava dalla zona di Piazza Carlo III, se di cognome faceva come mia nonna. Mi sono trattenuta e ho continuato a sorridere. Per finta. “Allora qui, se vuole c’è San Francesco” “No, grazie, sto cercando Santa Lucia. Mi serve proprio lei” “ah, è per gli occhi, allora? Vuole proprio apposta per gli occhi? “Sì.” “è per lei?”. Ma che te ne fotte a te?! “No, devo regalarla” “ah, ho capito, allora San Francesco lo mettiamo via, pure San Giuseppe lo mettiamo via?” “sì, lo metta via, grazie.” “eccola qui, lo sapevo, visto? Ecco Santa Lucia, guardi un po’, ce ne sono due addirittura” “oh, grazie! Che differenza c’è tra le due?” “nessuna, la Santa è quella” “Sì, però in questa c’è scritto Santa Lucia ovunque proteggimi e in questa Santa Lucia prega per me, quindi la differenza c’è.” “e qual è?” “eh, mica e lo stesso pregare e proteggere, prendo questa che protegge, grazie.” “sì, ma anche la preghiera fà, per fare, pure la preghiera fà”. “Sì, per carità. Ma la preghiera è più in difesa capito, è più come dire difendimi se mi attaccano, io qui voglio la protezione anche se non mi attaccano, come con i figli, no? un conto è difenderli e un conto è proteggerli” “come dice lei, signora, la Madonna che scioglie i nodi la metto via o la prende?” “La prendo, che pure sciogliere i nodi non è da tutti.” Che fatica, Lupo, mio dio. Mayday, mayday, Lupo.

C’era una zia di mia madre, anzi la zia di mia madre perché gli altri erano tutti zii, che iniziava ogni discorso in due modi: “se fossi Dio” oppure “se fossi al governo”, a seconda che la vicenda da gestire riguardasse il potere spirituale o quello temporale. Aveva una soluzione morale e politica a tutto, pur essendo dichiaratamente atea e monarchica nonostante il crocefisso inamovibile in casa e la visione femminista e progressista di se stessa. A volte mi chiedo come si possa arrivare da posizioni così lontane tra di loro, come si possa avere all’interno del proprio DNA le stesse percentuali di una famiglia e dell’altra, mi sembra folle essere il prodotto di istanze così lontane e inconciliabili eppure lo sono e forse sono così per questo, a volte guardo le Cucciole Orse e mi sembra impensabile che abbiano questi universi dentro le loro cellule, eppure li hanno e sono il miglior prodotto che potesse venire fuori o comunque confido molto nella selezione della natura  e nel salto generazionale e così spero che alcune idiozie non le riguardino o che comunque siano capitate ad altri, va da sé, non della parte materna. Che stanchezza, Lupo. Ho tanto desiderato essere Dio, quest’anno. Anche solo dio, un dio qualsiasi. Comunque un dio con determinate caratteristiche. Un dio abbastanza incazzoso e vendicativo, uno che non te le manda tanto a dire, uno con cui non ragioni molto e che promette poco, anzi, un dio che non ti dà garanzia alcuna sul dopo, nessuna teoria escatologica ma solo prospettive scatologiche. Un dio facilmente bestemmiabile, senza timore di essere punito perché imprecherei più forte e fulmienrei a caso e fanculo pure il libero arbitrio, via, tolto, ve lo buco ‘sto cazzo di libero arbitrio. Quest’anno ho trascorso molto tempo seduta sullo sgabellino della lavanderia a guisa di scranno in una cattedrale, che fortuna avere un posto dedicato per stendere dice la mia amica Gabri che sposta gli stendini in ogni stanza della casa a seconda del fabbisongo, io invece ho spostato pezzi di casa in lavanderia e seduta sullo sgabellino quest’anno ho pianto per ore, singhiozzando forte coperta dal rumore dell’asciugatrice e della lavatrice, insonorizzata, protetta e difesa allo stesso tempo, incapace di pregare, con una sola richiesta a riempire le labbra, chiedendo all’Universo di prendermi i pezzi che non mi servono chiedendo di rivolgere altrove tutto questo dolore. Sì. Così. Se fossi stata dio, un dio qualsiasi, anche un ciarlatano, un dio sedicente tale, un dio da poco, se fossi stata un dio minore avrei saputo a chi indirizzare il male che mi stava torturando, lo avrei spostato con un soffio. Sì. L’ho pensato. Ne vado fiera? No. Lo riafarei? Sì. Perché io sono così, ho ben chiara quella parte di me, cattiva, torbida, spietata e non è un difetto, magari fosse un difetto, sarebbe qualcosa che manca, qui invece c’è  e non posso toglierla. Posso farci dei compromessi. Posso metterla a a tacere, posso educarla. Posso evitare che sbraiti. Ma che stancezza, quanta stanchezza, Lupo, mio dio. Mayday, mayday, Lupo.

Ho finto di non conoscerla, speravo facesse altrettanto non per lei ma per me, per il Lupo, per Cucciola Orsa. Invece no, nemmeno il tempo di prendere posto sul treno del ritorno, con le giacche piene di acqua e il trolley da sollevare mi guarda e si aspetta che la identifichi. Il mio sguardo diventa di pietra. Il mio istinto di conservazione è più forte del suo istinto di conversazione e infatti lei cede. Allora pronuncia il mio nome  “Sonia” ma lo fa come se fosse una domanda. “Si” e lo dico come se fosse una sentenza di condanna. Fingo ancora di non sapere di chi si tratti. E poi mi dice “sono la moglie dell’Orrendo Butterato”.  Mi viene in mente una frase scritta a matita sul libro di letteratura l’anno della maturità , il commento a un qualche brano non so quale, vedo la mia grafia sul libro, nello spazio tra due paragrafi, la memoria visiva è uno dei miei cavalli di battaglia, la memoria in generale è una delle condanne che mi sconto in vita: elì, elì, lama sabacthani, lo sconforto supremo, il dubbio nella sua espressione più crudele, fingo ancora, faccio come mia nonna materna quando non mi ha riconosciuta per la prima volta di tutte le volte successive, quando mi ha fregata così, faccio come mia nonna che il giorno prima sapeva chi ero e il giorno dopo mi ha detto “buongiorno Signora” con un distacco gelido che mi si è attaccato dentro,vicino al cuore e il Lupo ci si rifà i denti  quando è nervoso. Immagino di aver sentito male, ho le orecchie a puttane, Raperonzolo dal flaccido doppio mento qui davanti a me non ha detto così, ha detto “ci sono foglie proprio qui sul selciato” oppure ha detto” ho voglie che ho colmato con un gran gelato”, può anche aver confessato “sono doglie anzi no, guarda, ho solo defecato”.  Con lo sguardo disgustato le ho rivolto un olofrastico “eh”. Basta.  Ho preso il Lupo e Mamma Orsa, li ho fatti sedere davanti a Cucciola grande, che nessuno si avvicinasse. Basta. Nessun profluvio di contumelie, tutte rimaste a livello di pensiero. Basta. Ho promesso, seduta sul mio sgabello, che non avrei alimentato la rabbia, in cambio ho chiesto di riavere indietro mio fratello e suo figlio, nulla posso fare per il rancore, quello è e quello rimane. Nulla posso fare per il desiderio di vendetta, quello è e quello rimane, posso solo tacerli, lasciarli sbocconcellare al Lupo, lasciarglieli triturare e poi scusarmi con lui che alla fine mi difende mentre io proteggo la Cucciola, indifferente a tutto questo, lei con lo sguardo rivolto fuori dal finestrino, il sorriso di chi ha capito, di chi ha sentito ogni sforzo e ogni pianto, non con le orecchie e senza le parole. Lascio Raperonzolo alle sue telefonate, devono averle detto di non avvicinarsi ulteriormente altrimenti potrei uccidere. Sì. Posso. Guardo fuori dal finestrino e poi davanti a me, lei, Cucciola grande con gli occhi di suo padre e il mio modo di guardare: come si fa ad arrivare da entrambi questi posti contemporaneamente, nello stesso modo, nella stessa percentuale? È impossibile. È un miracolo. L’ho fatto io. Come se fossi dio. Ma che stanchezza, Lupo, mio dio. Mayday, mayday, Lupo.