Mangiafuoco

Ora,se mi ascoltate un poco

Vi dirò chi è davvero Mangiafuoco

Vi diranno che è lo straniero

No, bambine, non è vero

Vi diranno che ha vestiti sudici

No, non credete a certi giudici

Diranno che paura deve fare

Chi ogni notte va a rubare

Chi senza casa e senza tetto

Per strada tiene un cane stretto

Quelle sono anime senza più speranza

A voi deve spaventare l’arroganza

Di chi si sente arrivato e migliore

E se lo guardate bene non ha cuore

Di chi usa un profumo costoso

Per celare un odore schifoso

Di chi vi racconta ciò che siete

Anche se voi non lo chiedete

Di chi vi giudica per il fatturato

E non ricorda cosa ha sognato

Ecco chi è pericoloso per davvero

Quello con il tono sempre austero

Che sa tutto perchè ha studiato

Poi scopri che ha sempre copiato

Quello che di risate è avaro

E nello sguardo vedi che è un baro

Quello che parla per gli spettatori

E non vede che calpesta i fiori

Chi vive e pensa con furbizia

E ha sempre una brutta notizia

 

Ecco bimbe mie da chi fuggire via

Da chi ruba la vostra energia

Voi avete sul viso il vento

Vivete per il vostro talento

Allontanate con veemenza

Lo scempio di chi con violenza

A tutti nasconde e omette

E nemmeno allo specchio riflette

Fate del mondo un posto speciale

Allontanate chi pensa sempre male

Se indossa un abito su misura

Non per questo non deve fare paura

A chi è senza profondi pensieri

Opponete sempre sguardi sinceri

A chi vi parla di soldi guadagnati

Raccontate i libri più amati

A chi della sua auto si vanta

Suonate musica che incanta

A chi vi dirà che non siete abbastanza

Mostrate un pennello come danza

 

Abbiate il coraggio di sapere

Che il mondo non è per persone vere

Abbiate l’ardire di esser sincere

Io lo so che  ne sarete fiere

 

 

Senza parole

La cosa peggiore che mi può capitare è che le mie figlie muoiano prima di me. Dovrebbe essere banale dirlo,scriverlo,pensarlo. Ma se davvero fosse così banale allora non dovrei sentire il nodo alla gola che sento,non dovrei avere la salivazione azzerata che ho,non dovrei essere in procinto di piangere come sono solo per averlo detto,scritto,pensato.

Oggi la cosa peggiore che mi può capitare è capitata ad una persona che conosco,molto vicina all’azienda per la quale lavoro.

Ho ricevuto la telefonata questa mattina,mentre leggevo i messaggi della chat della quinta elementare che pare che qualche genitore abbia mandato una lettera anonima al preside perché in disaccordo con la scelta del supplente e invece parte dei genitori approva il supplente ma non approva la scelta della lettera anonima ma allora la parte che non approva il supplente e non approva neppure le lettere anonime ha sentito la necessità di puntualizzare. Così alle 9.30 ciascuno aveva esercitato il proprio diritto di espressione e di informazione. Ed io sono rimasta con la cornetta a mezz’aria,la bocca aperta e davanti agli occhi l’immagine di una donna sorridente,allegra e di sua madre,poco sorridente e anzi severa nello sguardo e brusca nei modi. Poi le immagini si sono rincorse,sovrapposte,confuse.Sono certa che quei lineamenti così come li ho conosciuti non li troverò mai più.

Una farà un altro viaggio,sorriderà da altrove.

L’altra non sorriderà più. Le si pietrificherà il viso,si svuoterà lo sguardo,per volgersi solo dentro perché fuori non c’è più niente da vedere. Non c’è più il colore del cielo,il rosso del semaforo,il marrone dell’autunno,un libro,un film,un menù al ristorante .

Dentro c’è la bambina che hai cresciuto,il saggio di danza che hai mancato per il lavoro,l’insufficienza a scuola di quella generazione che era ancora colpa tua mica della maestra,la sigaretta di nascosto,il fidanzato che non approvi ma lei è innamorata pazza,quello che ti piace ma lei lo lascia perché troppo buono. E la gonna corta,il regalo di compleanno,il biglietto sulla porta per dire che si ritarda,la cena solo da scaldare,gli esami all’università di quella generazione che non aveva i crediti ma un numero certo di esami da far scrivere sul libretto rosso .

Dentro è il solo posto dove avrà senso guardare.

Perche’ io un mondo senza le mie figlie non lo vorrei più vedere.

E ci troveremo a dire parole e useremo la retorica delle frasi fatte,senza una emoticon adeguata questa volta,ma quella retorica sarà il rituale che ci consentirà di esorcizzare la paura e di contentere ciò che non trova un contenitore giusto.

Le parole che pronunceremo non saranno di conforto,forse nemmeno arriveranno,resteranno ferme nelle orecchie a rimbombare da lontano.

Perche’io un mondo senza le mie figlie non lo vorrei

sentire,al massimo potrei ascoltarlo.

Eppure quelle parole le pronunceremo,commossi,sinceri. Ma la sola verità è che se non c’è la parola per indicare un genitore che sopravvive a suo figlio è perché questa realtà non si può esprimere. È una parola che non si crea perché racconterebbe l’impossibile,l’indicibile.Quando non c’è una parola per dire qualcosa bisogna tacere.  E lasciare il compito agli altri organi di senso.Quando non c’è la parola ci si guarda dritto negli occhi.Quando non c’è la parola ci si tocca in un abbraccio che ci costringa ad annusarci da vicino come gli animali che così si riconoscono e si comprendono. Non ho parole per il tuo sgomento. Ma l’odore del tuo dolore assomiglia a quello della mia paura.Ti riconosco.TI comprendo.

 

Ciao Elisa.

 

 

Cristina 

 

Se mi darai la tua mano

Possiamo andare molto lontano

Se con gli occhi non trovi rimedi

Guarda nei miei e li vedi
Se fuori è troppa festa

Poggia qui la tua testa

Qui,qui sul mio cuore

Di cui tu conosci il rumore
Se incrociamo le venti dita

Insieme sciogliamo i nodi della vita

Se mi darai i tuoi piedi

Resto qui vicino,mi credi?
Se mi dai i tuoi momenti più neri

Li trasformiamo in lampi passeggeri

Se mi dai i tuoi sogni più belli

Ne facciamo ornamenti per capelli
Se mi da ogni tua paura

Mamma la getta nella spazzatura

Se mi dai la tua speranza

Insieme inventeremo una danza
Se mi dai un pianto a dirotto

Con la bacinella vengo lì sotto

Per non farti annegare in pensieri

Che,credimi,domani non saranno così seri
Se mi dai il tuo abbraccio

Io resto ferma in questo laccio

E copro forte le tue spalle

Come un grande scialle

 

Perché tu abbia sempre protezione

Come dentro il mio pancione

Da dove arrivi proprio tu

Con il nasino all’insù

 

Con le parole inventate

Che in questi anni ci sono capiatate

Le parole del bebè

Quando eravamo solo io e te

 

Le parole dei pasticci

E quelle dei capricci

Arriveremo,e così sia

Anche alle parole di qualche bugia

 

Una parola per ogni tua fase

Eppure uguale si ripete la stessa frase

Sempre lei,si sempre lei

Mamma,mamma dove sei?

Cicatrici

Ci sono notti che finiscono alle tre.

O giorni che iniziano alle tre.

Ci provo per un po’ a riaddormentarmi, prendo le misure del letto e dopo poco mi trovo a prendere le misure dei miei pensieri. Alcuni sono belli, quasi poetici, tanto che mi stupisco di me ed allora vado per scriverli ma sono volati via.

Niente.

E’ così.

Provo a rincorrerli ed alla fine sono lì che faccio il cacciatore di uragani in giro per la mia testa.

Questa notte mi sentivo una tazza rotta ed incollata alla come viene, senza troppa cura estetica ma con un approccio teso al recupero funzionale. E mi sentivo precaria, proprio come sono le cose riaggiustate, riattaccate, incrinate. Basta un tocco e possono rompersi di nuovo.

E un tocco è roba di un attimo.

Basta la porta che sbatte per la corrente, basta il cane maldestro.

Basta un rumore.

Basta un nome.

Basta niente, in fondo.

Forse il pensiero di andare in frantumi di nuovo è meno doloroso che andarci per davvero, tanto sai che la colla è lì, sai che riattaccherai tutto.

E pace se qualche frammento andrà perduto sul pavimento e poi per sempre, aspirato velocemente per evitare che le bambine si taglino sotto i piedi, chè sono sempre scalze…

Si può avere funzionalità anche rimessi su con qualche spazio vuoto tra una crepa e l’altra.

Mi sentivo così. E quando mi sento così torno con il pensiero a momenti felici che nella memoria e con gli anni sono diventati felicissimi. Quel genere di ricordi che migliorano con il tempo. Quel genere di ricordi ai quali sarà triste rinunciare tra qualche decennio, quando la nebbia arriverà ad avvolgere tutto, passato e presente.

E senza particolare fantasia penso alla cicatrice che mi attraversa il ventre, appena sopra l’osso pubico. Il mio tatuaggio, la mia crepa. La porta sul mondo delle mie bambine.

Facevo la medicazione senza guardare, perchè mi faceva senso. Giravo la testa di lato, davanti allo specchio, e tamponavo con le garze imbevute di disinfettante. Sempre senza guardare applicavo la crema per avere una cicatrice sottilissima, non di quelle spesse a “gradino”. E poi coprivo tutto con il mega cerotto.

Con scrupolo e metodo.

Due volte al giorno.

Per entrambi i tagli cesarei.

Le ferite sono guarite, la cicatrice non è spessa ma non è sottilissima. E’ Lì, C’è. Si vede. La vedo.

Mi ricorda cosa può, anche, capitare, quando ti rompi e ti riattaccano.

Mi ricorda i miei ricordi, quelli diventati felicissimi.

La bocca di Cristina che cerca il mio mento e smette così di piangere, perchè sente la mia voce, sente che la chiamo per nome.

Ed io sono rotta dalle ore interminabili del travaglio e dall’intervento d’urgenza.

E lei è tutta viola e schiacciata per le ore interminabili di travaglio e si sente strapazzata dalle mani che l’hanno presa dal canale dove si era infilata di sghembo, incasinando tutto.

Ma siamo intere in due.

A volte basta un nome.

Ed io, di nuovo lì, spaventata più  di due anni prima, più di sempre perchè consapevole del male, del catetere, della ferita, dei punti , della medicazione, rotta di nuovo, frugata nella pancia “sentirà le mani muoversi”.

Mi sento di nuovo spezzata.

E gli occhi socchiusi di Benedetta, neri come il carboncino da disegno, tutto in chiaroscuro, tutto o nero o bianco, tutto da urlare, perchè lei aveva il singhiozzo nel pancione e mancava ancora qualche settimana e nessuno ha pensato di dirglielo che era ora di uscire.

Ecco perchè piange, piange, piange finchè non la poggiano sul mio petto, senti il cuore? lo senti il mio cuore, tu che lo conosci da dentro questo rumore, lo senti piccola il mio battito tu che sei il mio cuore??

E siamo intere in due.

A volte basta un rumore.

 

Fuori da scuola

 

Fuori da scuola c’è una sfilata

Arriva la mamma ben truccata

Ha il vestito nuovo e firmato

In doppia fila la macchina ha lasciato

Parcheggiare bene ma distante

E’ una scelta assai importante

Come faranno i suoi bambini

A usare tanto i loro piedini?

 

Fuori da scuola c’è una sfilata

Arriva la nonna ben pettinata

Ha lo sguardo fiero e sicuro

Di chi è padrona di ogni muro

Non riesce proprio a mollare

La storia di esser lei ad educare

A chi lascia questo compito ingrato??

Mica a suo figlio, quel maleducato!!!

 

Fuori da scuola c’è una sfilata

Arriva il papà con aria trafelata

Era in riunione, roba importante

e manda il messaggino all’amante

Entra veloce nel cortilone

Dove tutti hanno un’opinione

 

Io la mia la metto in rima

Così tanto per fare prima

Perchè altro non so fare

Che non sia un po’ raccontare

Perchè qui sono bloccata

Dalla tua auto mal parcheggiata

 

Ora arrivi e non chiedi scusa

per il fatto di avermi chiusa

ecco la filastrocca della sfilata

che per oggi è ben terminata

A bordo del tuo macchinone

Corri verso la tua destinazione

 

Ti indicherei col cuore dove andare

Forse magicamente al mare

Oppure felicemente in campagna

E perchè no anche in montagna

Ma preferirei vederti a dorso di un mulo

Per mandarti in un posto più sicuro…

 

 

 

Questione di inspirazione

-Allora, se vuoi scrivere, se è questo che ti fa stare bene, allora ti organizzi: prendi una mattina della settimana, due ore, o che ne so,  e ti metti in agenda che è dedicato a quello. Basta che ti organizzi, puoi farlo, no?!

-No.

-Come no? Allora sei tu che non vuoi, al solito tuo, “vuoimanonvuoi” . Giusto, no?!

-No.

-Ma no cosa?!

-Non posso mettere in agenda che il mercoledì dalle 10 alle 13 scrivo. Non posso, non è che non voglio.

-E perchè?

-Perchè non è che mi metto alla scrivania e scrivo.

-Ah, quella cosa dell’ispirazione…

-No, guarda, è più una questione di inspirazione.

-Cioè?

-Cioè, è come quando devi vomitare. Non è che vai in bagno e vomiti. Ci vuole il tempo che ci vuole. Hai tutto che ti gira in tondo tra la pancia e la gola, non va giù, non ancora torna su. Sai che devi vomitare, sai anche cosa vomiterai ma non è il momento. Cammini per casa, ti sposti in bagno, ti guardi allo specchio sopra il lavandino, sei pallido, poi verdognolo. Pensi che forse passa, sai che non passa. E aspetti. Quell’inspirazione più profonda, quella giusta quantità di aria nel naso che scende dritta dritta fino al punto, quel solo e unico punto, al centro, tra lo stomaco e la gola e che ti porta tutto su, su, su  e poi fuori.

Ecco.

Non mi serve l’ispirazione.

Mi serve l’inspirazione.