Mamma ,cos’è questo?
Il mio quaderno.
Cosa ci scrivi?
I miei pensieri.
Però, ne hai tanti! Ma chi te li corregge? Le frasi, eh, non i pensieri perché mica qualcuno può correggerti i pensieri, giusto?
Giusto? Sai che non lo se è giusto, non lo so se davvero nessuno può correggerci i pensieri. Sicuramente qualcuno può farceli cambiare, non correggerli forse perché non è detto che siano sbagliati. Senti, diciamo così: non è giusto che qualcuno ci corregga i pensieri ma può capitare che noi li cambiamo, in alcuni momenti della vita o perché conosciamo delle persone che ci raccontano le cose in un modo diverso da quello al quale siamo abituati e allora noi cambiamo la messa a fuoco, l’angolo di osservazione, il modo di sentire il mondo che ci circonda.
Io non so se detto così si capisce. Per esempio, da quando conosco voi, te e tua sorella che siete arrivate senza grandi presentazioni e ci siamo dovute conoscere un pezzo alla volta ed un giorno dopo l’altro, che non avevate mica il libretto delle istruzioni e io non avevo mai fatto la mamma prima e pensavo pensieri miei, che erano anche giusti secondo me, giusti per me , per la mia vita senza di voi, ecco io li ho cambiati alcuni di quei pensieri miei, pure giusti, ed altri ho scoperto di averli che mai avrei pensato di pensarli quei pensieri.
Però non è stato facile, sai. Ho dovuto chiedere aiuto, perché tutto quel rimestare in testa mi ha fatto paura e la paura è una compagna infida perché ti blocca e tu resti fermo e più resti fermo meno riesci a muoverti ancora. E fermi non si va da nessuna parte. L’aiuto è stato nella voce dietro le orecchie, la voce dell’uomo con la barba, per oltre18 mesi il venerdi all’ora di pranzo. Una stanza che non è un luogo, un’utopia, un rettangolo dove ci sono solo contorni e perimetri del quale provare a calcolare l’area in momenti nei quali hai dimenticato la formula, un contenitore e tu sei il solo contenuto e stai lì dentro con tutti i tuoi grumi, come il budino quando non viene, impegnata in un percorso estenuante per la mente e per il corpo, tutto quello scavare a mani nude, ferendoti, ferendo, spiattellando, tacendo, affascinata dalla capacità di gestire il silenzio, di parlare nelle pause, di avere l’abilità di interromperlo un attimo prima che diventi insostenibile, appena prima di quella punta di dolore che dà il silenzio protetto.
Vorrei che non aveste timore del silenzio, che imparaste a padroneggiarlo anche voi così, pensate al silenzio come al bidone rosa dei barbapapà che usavamo quando eravate piccole, dentro il quale infilavamo i giocattoli, i vostri pensieri, per fare ordine, a volte con criterio e metodo, altre volte li buttavamo lì dentro solo per farli sparire alla vista.
Andavo dall’uomo con la barba perché non sapevo più se i miei pensieri erano giusti. Qualcuno stava provando a dirmi che non lo erano, ma che bastava lavorare e lavorare delegando la vostra cura a chi si vantava di aver lavorato tutta la vita per non pensare. Per qualcuno, invece, era inconcepibile che io nutrissi dubbi su me stessa, sui miei pensieri, sulla vita tutta quanta, sul mondo intero, su Dio e su ogni uomo sulla faccia della terra. In entrambi i casi nessuno capiva che avevo i grumi, come il budino quando non viene, e li avevo sparsi nella testa, nel centro della pancia, soprattutto in gola.
Io li stavo, semplicemente, cambiando. Stavo adattando i miei pensieri alla nuova vita che avevo e che avevo dato, a tutte quelle istanze fino a quel momento sconosciute. E lui mi ha aiutata e alla fine mi ha detto che potevo staccare le mani dal bordo della vasca e nuotare. Proprio questa frase. Perché gli avevo raccontato che da piccola le lezioni di nuoto per me erano state tragiche, attaccata al bordo in lacrime e basta, in preda alla paura che paralizza. E il mondo degli adulti che mi diceva che dovevo staccarmi.
Cristina aveva iniziato nuoto in quei mesi, l’accompagnavo, la guardavo dalla tribuna, approcciare al nuoto come a un gioco nuovo, leggera e fiduciosa, con lo sguardo verso di me ogni cinque minuti, in attesa del mio pollice in su a conferma della sua abilità, fino al momento in cui ha staccato le mani dal bordo e via, è andata, ha nuotato, senza esitazioni, senza paura perché sapeva che poteva farlo. E solo alla fine, quando ha raggiunto la scaletta per uscire, ha alzato la faccia verso di me e ha alzato lei il pollice, a conferma della sua abilità.
A me, che potevo farlo, me l’ha detto per la prima volta l’uomo con la barba.
Mi sono messa a piangere per la meraviglia della scoperta. Avevo solo cambiato i miei pensieri. E questo si poteva fare.
Potevo staccare le mani dal bordo e nuotare. Potevo dire che il pensiero della morte mi attanagliava dal primo istante della vostra vita. Potevo dire che il pensiero di Dio con la barba bianca e suo figlio e tutto il resto a me non dava nessun conforto o tranquillità. Potevo dire che pensavo che la vita meritasse di essere vissuta sempre, fino alla fine, in qualunque condizione pur di vedervi crescere. Potevo pensare che chi ci ama in qualche modo capisce il cambiamento. E, quindi, chi si allontana demonizzandoci, accusandoci, a volte infangandoci ci sta facendo una cortesia.
Non sapevo ancora che ogni nuovo pensiero avrebbe portato con sé delle conseguenze, quella consapevolezza è arrivata dopo e te ne parlerò certamente.
Ecco, non so se ti è chiaro, adesso, forse no…che dici?!
Che su questo quaderno è un casino, nessuno potrebbe correggere con la tua scrittura, mamma, non si capiscono le lettere. Però mi piace che dici sempre quello che pensi, brava.
Grazie.