Me ne accorgo perché non apro le finestre in ufficio, accendo la luce da tavolo e lavoro così, fino a quando non arrivano le ragazze, a loro le finestre le faccio trovare aperte. E non rispondo al citofono tanto non può essere nessuno per me, suonano qui perché è il primo campanello che trovano e c’è il nome di un’azienda non un cognome, pensano che ci sia sempre qualcuno. Il postino, gli operai che chiedono la chiave della cantina per accedere ai contatori, il corriere di Amazon per quella del terzo piano che non c’è mai ma compra online come se fosse segregata in casa. Rispondo solo alle ragazze, riconosco il loro suono, le aspetto.

E non faccio niente per il mal di testa, me lo tengo per giorni, quel dolore subdolo e strafottente, se ne sta appoggiato a braccia conserte sulle mie tempie dietro gli occhi soprattutto il sinistro e aspetta che io faccia qualcosa come prendere una compressa o stendermi al buio con gli occhi chiusi e invece io lo lascio lì e aspetto, aspetto anch’io che lui faccia qualcosa, che se ne vada o che esploda una volta per tutte che poi è esattamente quel che farei io se volessi fare qualcosa. È che non ho voglia e aspetto.

Al supermercato, con i sacchetti biodegradabili per la frutta e la verdura. Cerco sempre quelli di carta, ma non c’erano all’Esselunga. Io non ci sono mai andata all’Esselunga ma era lì, davanti alla palestra dove Cri si allenava e io dovevo aspettare che lei finisse ed eravamo senza latte e allora sono entrata ma c’erano molte persone, coppie, coppie che di giovedì alle 18 sono al supermercato, due individui adulti legati da una qualche relazione che in un giorno lavorativo vanno insieme all’Esselunga e scelgono i limoni non trattati che sono accanto alle clementine con foglia che piacciono a Pepe e se non si spostano io non posso prendere quello che piace a mia figlia e loro selezionano un limone dopo l’altro e intanto il sacchetto di carta qui non c’è. Da Borello c’è e anche al Conad, forse, non ricordo se al Conad c’è e questo sacchetto non si apre. Io non so aprire i sacchetti, li solletico tra le dita ma niente, in genere me li apre Cri perché mi spazientisco ma lei adesso si allena e io devo aspettare, che questi due idioti finiscano di scegliere i limoni per consentirmi di prendere quattro cazzo di mandarini, di ricordare se al Conad ci sono i sacchetti di carta non lo so perché vado poco, ci va Lui perché a me fare la spesa fa schifo, devo aspettare che passi questa onda di ira furente perché il sacchetto non si apre, con me non si apre, io non lo so aprire e mi manca il respiro perché le coppie vanno insieme al supermercato.

Me ne accorgo perché resto in macchina, parcheggiata, per telefonare a Mara. Così nessuno sente, solo lei. L’auto come un confessionale, lei dall’altra parte della grata del bluetooth come un ministro del culto, non la vedo e non mi vede. Mi assolve sempre, è la sola.

Cerco il mio psicanalista su Internet, ha fatto carriera, adesso è Professore. Vorrei chiamarlo e dirgli che me ne accorgo, adesso, e forse è un bene o forse no, non lo so e vorrei saperlo.

Mio fratello mi ha chiesto la pronuncia di exequatur e l’ho sbagliata. La dico giusta ma la leggo sbagliata e gli ho persino mandato un messaggio vocale per fargliela sentire solo che la dicevo giusta ma la scrivevo sbagliata e poi mi è rimasta addosso tutto il giorno. Mio fratello è molto intelligente, molto più di me, lui arrivava a risultati eccellenti senza fatica, io a risultati buoni con fatica. Ho ripetuto exequatur per un giorno intero prima di lasciar perdere, come le canzoni che risuonano in testa dal primo mattino, quelle che non sai come ti arrivano.

Ci vuole molto coraggio.

È la canzone che mi gira oggi in testa, non è una frase, una delle mie buttate così.

Io le frasi le butto così.

Scrivo e cancello, quando word mi chiede se voglio salvare gli rispondo vaffanculo, ma mi hai vista? Ti sembro una che può salvare qualcosa?

Me ne accorgo perché butto le frasi e non mi interessa sapere che fine faranno ma non voglio vengano sentite o lette o usate o mistificate.

Per la paura di morire. O che muoia Lui, come suo padre che quando lo hanno chiamato al telefono in caserma per dirglielo lo sapeva già.

L’ansia, di notte. Arriva rumorosa e prende alla gola al culmine di una lite, è melodrammatica e volgare, ho l’ansia vaiassa io. Aspetto che dica quel che deve ma non ribatto, non ho voglia. Se muoio muori con me, stronza, ti servo viva.

Me ne accorgo adesso, prima no. Io prima non so mai niente, io devo fare le cose almeno due volte o tre per saperle, per dirle.

Per sapere le cose devo dirle.

Per dirle devo scriverle.

Me ne accorgo perché scrivo e cancello.

Con me non è mai buona la prima, devo ripetere.  Allora vorrei sapere dal Dottore adesso Professore se visto che me ne accorgo, adesso, posso non ripetere. Adesso lo so, non voglio ripetere.

Piango. Leggo le targhe delle auto. Metto la pinzatrice sempre nello stesso posto. Uso un evidenziatore arancione per la distinta degli incassi sepa b2b e un evidenziatore verde per la distinta degli incassi sepa core.

Voglio stare a casa di più, vedere se spuntano i tulipani che le ragazze hanno piantato e non so in quale punto del giardino, come quando erano piccole e nascondevano le posate con cui giocavano o il telecomando del decoder. Pepe ricordava sempre il posto e andava a riprendere tutto, bastava solo chiederglielo come voleva lei, Cri no, diceva non lo so e allora aspettavo che il bottino ricomparisse da qualche cesta rovesciata.

Sparisco.

Faccio il conto delle cose che mi irritano. Il nome dei negozi di fiori, sempre nomi propri di persona: Ornella Fiori, Le Rose di Tania, il Giardino di Virgilio e Vanessa Orchidee e Bijoux. L’accento dell’impiegata della palestra, come dice voucher. Chi mi informa di cose che già so come se non le sapessi. Il materiale di educazione artistica. Chi mi chiede cose che non dipendono da me.

Perdo il conto. Mi stufo.

Me ne accorgo perché lo sento, come il campanello, come il telefono, come un addio. Me ne accorgo per la prima volta e so cosa fare perché non è la prima volta, adesso lo so.

Canto con molto coraggio.

Rido, perché se rido è come quando in aereo c’è una turbolenza e l’hostess rimane tranquilla, dice così Pepe, mi chiede di ridere come vuole lei, ridere di niente perché lei lo sa quando arriva il niente e si può scegliere e allora sceglie di ridere.

Aspetto, perché solo così si ricompare dopo una sparizione, me l’ha insegnato Cri, quattordici anni oggi che so di lei dentro di me per sempre, arrivata dopo un aborto perché no, non era buona la prima, ho dovuto ripetere e aspettare.

Allungo la mano di notte, stringo la sua, gli racconto la storia di Filemone e Bauci che è come chiedergli di non morire.

Scrivo e cancello.

Riscrivo e provo a salvarmi, ad assolvermi ancora non riesco.

8 pensieri su “Buona la prima

  1. Posso chiederti una cosa specifica riguardo la tua ansia? Io sono pure ansiosa, in passato ho sofferto di attacchi di panico, e mi chiedevo se pure a te capitava la sera di avere immagini varue, prima che arrivi l’ansia. A me capita così e sto cercando di vedere se è una cosa solo mia o capita a tutti gli ansiosi. 🤔

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      1. Quindi di giorno ti capita di vedere cose brutte e dopo avviene l’attacco di ansia. A me capita di sera prima di dormire e a volte anche di giorno. Dunque non sono l’unica. Io ho letto molti testi di psicologia sull’ansia ma non ho mai trovato riferimenti a questa precisa caratteristica e tu?

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