Vorrei essere il maestro Lollo per avere il merito dei progressi di Pepe che non sarebbe Pepe ma Benny con la coda di cavallo e il servizio bello da vedere, vorrei essere il maestro Lollo per stare comodo nelle frasi di Benny quando afferma “ha detto il maestro Lollo di fare così” e non pensa mai, mai, nemmeno per un momento di discutere quel che il maestro Lollo ha detto.
Vorrei essere Pepe con la coda di cavallo quando osserva alcuni adulti giocare a tennis e annoiata li inserisce nella categoria concettuale dei “male impostati”, elaborata da lei per identificare tutti coloro i quali hanno iniziato un’attività sportiva non da bambini e se ne portano dietro l’evidenza, come l’ombra.
Vorrei essere la cassiera del supermercato per sapere se a furia di bippare poi si smette di pensare, io bipperei con furia se sapessi che, almeno, poi fa meno male. E non guarderei più nessuno in faccia, i sacchetti li darei senza chiedere, stenderei a un certo punto anche la faccia sul nastro e la guancia farebbe attrito ma non scivolerebbe via e sfilerei il bancomat un attimo prima per la fretta di mandare via o per la smania di andare via e a quelli che pagano con i ticket tirandoli fuori all’ultimo per mettersi a contarli direi di levarsi dal cazzo e nessuno vorrebbe più passare dalla mia cassa perché sarei la cassiera scontrosa e antipatica e allora resterei a bippare niente e allora non smetterei di pensare e farebbe ancora male.
Vorrei essere la Vecchia Prepotente per prendermi a schiaffi da sola e forse mi sputerei in faccia allo specchio. No, non è vero. Nessuno vorrebbe essere la Vecchia Prepotente.
Vorrei essere mia madre il giorno in cui sono nata per sapere se ero come mi aveva immaginata anche senza ricci e anche senza capelli, anche senza tracce di lei sulla faccia, se andavo bene lo stesso insomma.
Vorrei essere un maestro di karate ma uno vero. Vorrei essere quel cliente che, una volta, a Lui disse di mandargli un tecnico “ma uno vero” e Lui ha capito chi non doveva mandargli. Vorrei essere un maestro di Karate ma uno vero, uno di quelli che insegnano l’agonismo e la competizione partendo dal basso e salendo come si fa con le scale di valori, uno di quelli che non rivende pensieri riciclati presi dal bidone dei pensieri smessi e li spaccia a una pletora di genitori analfabeti parcheggiati in doppia fila, privi di una qualsivoglia elementare forma di rispetto figuriamoci il resto, genitori male impostati, un maestro vero, uno di quelli che sanno che il sostegno più grande va dato al ragazzo che perde perché a fare il maestro di chi vince sono capaci anche i nani di gesso del giardino.
Vorrei essere Cri con il kimono bianco, che decide di ricominciare da dove non poteva proseguire, cambiando percorso e che si inchina prima di entrare nel dojo e prima di uscire con lo stesso rispetto nello sguardo da otto anni che su una vita di quattordici comincia a essere rilevante.
Vorrei essere la mia amica Betti quando disse a sua figlia di non intristirsi per aver perso a quel gioco sciocco, perché aveva vinto nella vita.
Vorrei essere il mio amico Felice quando disse a suo figlio che non aveva motivo di preoccuparsi per l’esito della gara perché, comunque, avrebbe vinto una tazza, niente di più.
Vorrei essere mio padre per ammettere che non è giusto come mi sono comportato.
Vorrei essere la proprietaria di un negozio di abbigliamento da donna per pronunciare parole come chicchettoso e grintoso in contesti con un senso. “Basta mettere un decolté e subito l’outfit assume un mood più chicchettoso”. “Basta indossarlo con l’anfibio e subito diventa tutto più grintoso”. Vorrei essere la proprietaria di un negozio di abbigliamento femminile per usare tantissimo il verbo sdrammatizzare. “Basta metterci su un chiodo in ecopelle e sdrammatizzi”. “L’abito da cerimonia se me lo indossi con lo stivale nero lo sdrammatizzi”. Lo direi sempre, a ripetizione, passerei le giornate a sdrammatizzare la qualunque, giuro, e forse smetterei di pensare o, almeno, farebbe meno male
Vorrei essere una libraia medicamentosa come alcuni erboristi. Vorrei essere una libraia per intercettare il bisogno sotteso alla frase “do un’occhiata” e suggerire il rimedio. Per te ci vuole un Calvino, per te ci vuole una Barbato, per te ci vuole una Szymborska, per te peschiamo a caso nel catalogo Iperborea e vai, vai lontano, per te va bene questo che è in cima alle classifiche da tre anni senza che io riesca a capirne il motivo ma almeno ti dà di che conversare con gli altri, nel caso.
Vorrei essere la mia migliore amica per avere la voce sorridente.
Vorrei essere il medico che ha rinviato il vaccino di Pepe che però non era Pepe ma Benedetta per lungo e per intero con tanto di codice fiscale e le ha inferto una terapia profilattica di antistaminico e ha girato la palla al collega di turno il giorno dopo.
Vorrei essere il medico di turno il giorno dopo per sapere dove è andato quando è sparito che anche l’infermiera non se n’è capacitata e vorrei non essere me quando ho pensato che fosse in bagno a cercare su Google “Mastocitosi cutanea”.
Vorrei essere Pepe che però non è Benedetta per lungo e per intero con tanto di codice fiscale ma proprio solo Pepe quando butta giù l’antistaminico e sbaglia di proposito la parola “profilassi” e non ha timori perché ha imparato da piccola come si fa con alcune malattie e con alcune parole e non è una male impostata, lei.
Vorrei essere Cri che gira il viso dalla parte opposta quando nella stanza c’è un ago e poi legge King e guarda serie ansiogene su Netflix forte del fatto che il divieto ai minori di 14 anni non la riguardi più.
Vorrei essere quella persona che un mese fa mi ha detto “sei bravissima e puoi fare qualcosa di micidiale”, per esserne convinta e non restare ferma a fissare un punto inesistente davanti a me e tralasciando qualsiasi altra incombenza finché non riveste il carattere dell’urgenza.
Vorrei essere il primo uomo che ho amato per sapere se ogni tanto mi pensa e per chiedergli di perdonarmi per averlo amato da male impostata, ma l’amore per me ha sempre funzionato al contrario e l’ho imparato da grande, ripartendo da zero e cioè da me e affidandomi a maestri, veri, prima piccoli, piccolissimi e poi sempre più grandi, così grandi da convivere con diagnosi incomprensibili, così grandi da ricominciare.
Vorrei essere l’ultimo uomo che ho amato, che un po’ era male impostato anche lui all’inizio, vorrei essere l’ultimo uomo che ho amato perché Lui sa se è vero o no che posso fare qualcosa di micidiale, perché Lui sa quali tracce porto sulla faccia, perchè Lui sa quali pensieri fanno male, perché Lui sa da dove sono arrivata io, quella vera.

In foto io che cerco di fare qualcosa di micidiale.
Mi hai fatto tornare in mente un mio lontano assurdo desiderio: vorrei che le parole all’improvviso si mettessero loro stesse a parlare per chiedere conto a chi le pronuncia se lo fa consapevolmente e contestualmente, e magari a ribellarsi alla stupidità del loro spreco e all’ignoranza nell’uso.
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(viva i male impostati, perché sono obbligati a inventarsi le loro soluzioni)
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Io sono male impostata dalla nascita, ma lei, lei proprio li detesta. Proverò a rivenderle la storia dell’inventarsi le soluzioni, a me è piaciuta.
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Non so di che età sia il maestro di tennis di tua figlia, ma se è abbastanza vecchio si ricorderà dell’orripilante Gene Mayer, o di Berasategui, o di Fabrice Santoro le magicién
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Tutti tennisti malissimo impostati, ma di un certo successo.
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Io non ti conosco ma vedo una bellissima donna che può essere soddisfatta di ciò che ha già fatto nella sua vita. L’amore è una casa in cui metti dei nomi nelle stanze. Ne chiudi qualcuna. Qualcuna la riapri. Ma sei solo tu la padrona della casa. 😉
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Immagine bellissima. Grazie!
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