No, non è vero. L’adolescenza è un posto terribile. Inospitale. Un posto di merda, in estrema sintesi. Lo dico qui, tanto qui le mie ragazze non ci vengono e se anche venissero leggerebbero quello che già sanno perché lo sentono dalla mia viva voce. Io non è che so, davvero, chi viene qui, a parte qualcuno, ogni tanto becco una mia frase su qualche social che gira, qualche storia di WhatsApp o di Instagram con mie parole accompagnate da hashtag come #riflessionigentoriali ma senza la citazione dell’autore di quella riflessione genitoriale. Vabbè. Comunque, preferisco non sapere chi viene qui. Anche perché chi mi conosce di persona non ha motivo di passare a leggere, basta che mi telefoni.

Allora, l’adolescenza è un posto terribile, confermo. Lo dico soprattutto a voi, avvocate di quello studio di Corso Vittorio che anche se non vi conosco so che venite qui, lo dico soprattutto a voi perché so che avete una manciata di anni in meno di me e qualche figlio piccolo sparso in varie sezioni colorate della scuola materna (Scuola dell’Infanzia, lo so) o delle prime classi delle elementari (Primaria di primo grado, lo so) alle prese con recite e concerti scolastici ai quali applaudire e lavoretti di merda da elogiare ed esporre su mensole bene a vista ad altezza pargolo. Nessuno spoiler, siamo stati tutti adolescenti, no? Ecco, allora pensate a voi, pensatevi indietro e non solo avanti, ricordatevi senza imbrogliare che tanto non si vince niente e senza argomentare, tanto non c’è un giudice che dà ragione a controparte.

Ne parlavo con Andrea, il mio amico storico dal ginnasio all’Università, di come succede che una volta genitori ci si dimentichi di essere stati bambini prima e adolescenti dopo. C’è un istituto scolastico a Torino, quelli come me e Andrea che hanno frequentato il liceo negli anni Novanta sanno benissimo che si tratta del peggior diplomificio della città, sanno benissimo che si tratta(va) dell’ultima spiaggia prima che i genitori cedessero alla presa di consapevolezza di avere un figlio scemo, era il diploma a tutti i costi, era il miraggio che avendo perso un anno fosse possibile recuperarlo facendone due in uno. Non avevi raggiunto le competenze richieste per superare un anno per mille mila motivi? Nessun problema, andavi lì e potevi recuperare non solo l’anno perso ma anche quello successivo. Geniale. Ecco, Andrea mi diceva che ha sentito diversi genitori raccontare di aver iscritto in quell’istituto i propri figli vantandosi, come se non sapessero di cosa si tratta o come se avessero dimenticato.

Si dimentica, è la via più facile. A me le cose facili non sono mai piaciute.

Dunque, l’adolescenza, vi assicuro, è un posto tremendo. Fa sempre troppo caldo o troppo freddo, il tempo è bello, sereno, certe giornate di sole che non si descrivono e in un attimo la tempesta come in montagna, cambi improvvisi e inaspettati del meteo che tu dici ma è possibile con tutti gli strumenti che ci sono adesso non prevedere? Sì, è possibile. Si mangia poco o troppo, si ha fame in momenti inopportuni e lo stomaco si chiude agli orari convenuti per i pasti per poi spalancarsi alla qualunque non appena parte l’avvio della lavastoviglie e l’ultimo alone dello sgrassatore è stato rimosso dal piano cottura in acciaio. Ci si veste in modo curato o come senzatetto senza considerare il contesto. Si mischiano gli stili e i tessuti, un pezzo della mamma ma che non sia da vecchia, uno di un’altra stagione, un pezzo della sorella chiesto, supplicato in prestito, un pezzo bucato, rotto o comunque  almeno un po’lacero, come fanno alcune spose che devono indossare qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato e qualcosa di blu.  Ci si lava moltissimo i capelli. Anzi, direi che il livello di sanificazione dei capelli è direttamente proporzionale all’entusiasmo profuso in una qualsivoglia attività. Non posso, ho i capelli sporchi (io non andavo nemmeno a buttare la spazzatura, mio padre si incazzava perché proprio non capiva, aveva un cortocircuito cognitivo per questa mia risposta), mia figlia arriva al parossismo: sento che mi stanno per sporcare i capelli. Dal momento in cui pronuncia questa frase so che i suoi impegni scemeranno inesorabilmente fino al momento della doccia.

In doccia si ascolta musica, loro portano Alexa e l’attaccano in bagno, io portavo il mangiacassette e lasciavo andare il nastro, loro danno ordini con tono imperioso, io da fuori che mi dispiaccio per Alexa trattata in quel modo. In doccia si canta e questo è universale e transgenerazionale. Le mie ragazze cantano le stesse canzoni che cantavo anch’io. A volte. Non l’ho capito subito, ma è come se ci fosse un tipo di sofferenza (base emotiva per le canzoni che ascoltavo anch’io) generale, uguale per tutti. Avevi quindici anni trent’anni fa? Hai quindici anni oggi? Fa lo stesso. È la sofferenza generale, come la formazione generale obbligatoria per i lavoratori, non importa il settore merceologico, non ti si chiede il codice ateco, beccati questi contenuti generali che rappresentano credito formativo permanente, beccati il cantautorato che ci è arrivato prima di te e solo per te a dire quanto male fa.  Anche dopo trent’anni.

In auto la musica la decidono loro secondo lo schema consolidato sin da quando erano piccolissime: una canzone a testa. Le canzoni che ascoltano in auto io non le ascolterei nemmeno dietro pagamento altro che l’abbonamento a Spotify. Soprattutto alle 7.15 del mattino in tangenziale con tutti che entrano a Pianezza-Collegno e  nessuno che esce a Savonera. Questa mattina Cri ha scelto: Paranoia Mia di non  so chi e Vita Paranoia di non so chi. Il trend era comunque chiarissimo. E questa è la sofferenza solo sua, della sua generazione, di doppie spunte blu ignorate e storie social a cui non vengono messi cuoricini, è la sofferenza specifica come la formazione specifica dei lavoratori, quella che ti prepara ai rischi propri del tuo settore. Io ne resto fuori, ascolto senza commentare (troppo), senza capire (tutto), metto la freccia per sorpassare e la rimetto per rientrare nella corsia, temo che non siano felici perché io sono ossessionata dalla loro felicità, dal saperle felici, felici e basta non per forza felici di me, se sono felici di tutto in quel tutto ci sono anch’io allora, nell’universale c’è il particolare, rispetto il limite dei 70, mi comporto secondo le regole, accosto, aspetto che scendano e riparto senza di loro che vanno. Senza di me.

È così, l’adolescenza è un posto ostile. I confini mobili portano a discussioni, care avvocate dello studio di Corso Vittorio, segnate che questa è materia vostra e sul codice non lo trovate. L’adolescenza è tutta una questione di confini: loro vogliono pezzi del tuo fondo, tu rispondi con il cazzo che ti do più di quello che hai che è moltissimo e anzi tieni pulito il confine e rispetta le distanze, allora loro ti accusano di fare troppa ombra e ti intimano di abbassare gli alberi e tu vorresti prendere il fucile e regolarla nel modo più veloce. Più o meno. Le mie ragazze non esagerano, io ero molto peggio ma i miei genitori non erano me e Lui, va detto. Come va detto che, di tanto in tanto, mi sembrano in difficoltà rispetto ad alcuni amici che hanno genitori che sono spariti, fratellastri che compaiono, disagi sparsi tra i diversi domicili, madri ossessionate dalla verginità e dal controllo del telefono (Dio grazie che non siete paranoici come la mamma di Carla, le ha dovuto mandare una nostra foto insieme per dimostrarle che era davvero uscita con me mi ha raccontato al rientro da un pomeriggio in centro, la madre di Carla avrà i suoi motivi per non fidarsi ho suggerito, no, no, è solo pazza)  noi siamo così poco avvincenti e tormentati da risultare impresentabili. Per il resto, la vicenda somiglia molto a una trattativa sindacale, se qualcuna di voi fa diritto del lavoro sarà avvantaggiata. Se c’è anche una penalista tanto meglio perché vi imbatterete in situazioni odiose come omicidio e cannibalismo: il vostro bambino con le mani sporche di tempera per decorare il lavoretto di merda non esiste più, è stato ucciso e/o mangiato da questo nuovo soggetto che abita a casa vostra, a volte come ai domiciliari, a volte come in un ostello. Ogni tanto vi sembrerà di scorgere dei pezzi di quel bambino, un movimento delle dita non più cicciotte e sudaticce tra i capelli, persino una risata di pancia, penserete che sia tornato che non è mai andato via e invece sono solo rigurgiti. L’adolescente ogni tanto vomita brandelli del bambino che era. Imparerete ad appezzarlo. Come il ruttino dopo la poppata.

Le parole sono poche o troppe contemporaneamente, bisogna imparare a tacere. Ti viene da impazzire, ma come, hai passato mesi e mesi per insegnargli a parlare scandendo bene le sillabe, leggendo e rileggendo adattamenti di fiabe da libri di cartoncino rosicchiati sui bordi e adesso tu devi tacere. Sì. Bisogna tendere alla regola del 7 su 10, almeno. Cioè, parli 3 volte ogni 10. Per il resto su YouTube ci sono molti mantra che tornano utili. A me salva aver amato sconsideratamente degli improbabili oggetti d’amore durante l’adolescenza, la mia. Quando mi dicevano che l’amore salva sempre intendevano forse questo? Ricorrere all’esperienza passata per sopravvivere nel presente? Ciascuno si salva con quel che ha e, alla fine, io ho questo: aver amato sempre e sempre aver desiderato di essere amata soprattutto da chi trovava questa attività troppo faticosa e impegnativa (un minuto di silenzio per tutte le volte che così mi hanno definita).

Questo è l’adolescenza, una relazione sbilanciata nella quale tu ami e non sei mai certo di essere ricambiato, certi giorni giureresti di no, in altri hai una flebile speranza, ogni tanto suonano le campane a festa perché sì, è evidente, che nonostante i toni sei amato anche tu e allora ti azzardi a fare progetti per il fine settimana o per le vacanze e vieni inesorabilmente disilluso. Non importa. Questo è. Pensare a qualcuno che non sai se ti pensa, che molto probabilmente non lo fa. Fare il simpatico per strappare una risata a qualcuno che si imbarazza per te, sentirlo ridere per qualcosa che non sai e che gli è apparso sul display, nei giorni migliori ti senti chiamare e ti viene mostrato quel che fa tanto ridere solo che a te non fa ridere ma ridi lo stesso, per finta e non importa se invece di mamma o ma’ ti ha appena chiamata Amo. Meglio di quando ti chiama Alexa, con lo stesso tono che usa per Alexa. Sono passata sopra a Voga che una volta mi aveva chiamata Patty. Avevo 17 anni. Sono passata sopra nel senso fisico dell’espressione, penso di averlo travolto con tutto il mio disgusto e la mia indignazione, come si permetteva di rivolgersi a me usando il nome della sua ex, quella cessa, cessa anche nel nome, cessa anche nel diminutivo, che aprisse bene gli occhi per vedermi, vedere me, amare me. Voga è il motivo per cui oggi so cosa succede. È il motivo per cui so che non è facile stare con me ma lasciarmi è ancora più difficile.  È il motivo per cui non lascio più.

Avevo capito che mi avrebbe tradita da come stava parlando con lei quando l’abbiamo incontrata, per caso. Si sono aperte le porte dell’ascensore, noi uscivamo e lei aspettava di entrare, si sono guardati e riconosciuti,  ma dai, non ci credo cosa ci fai qui, ci vivo, al quinto piano e tu?  ma dai, mio fratello e mia cognata vivono qui da un paio di settimane, inaugura la casa stasera, ma dai, è quello del trasloco di 15 giorni fa, sì è lui, ma dai, ma dai, ci vediamo, sì, sì, ci vediamo. Non me l’ha presentata, ero lì accanto a lui come il carrellino della spesa, avevo un gonnellone ampio, era di mia madre, a lui piaceva moltissimo come indossavo i gonnelloni, mi diceva che ero bellissima con i gonnelloni solo che non ne avevo ma per fortuna mia madre era entrata negli anni Novanta roteando gipsy nei suoi gonnelloni e per fortuna avevamo la stessa taglia, lui non sapeva che non erano miei e mia madre non sapeva che mi servivano solo per farmi dire che ero bellissima, che non avevo nessun altro motivo per indossarli o per toglierli. La Signorina Ma Dai alla fine gliel’ha data, anzi prima della fine. Quando gli ho detto che lo sapevo mi ha chiesto come fosse possibile. L’ho sentito, gli ho detto. Da chi, mi ha chiesto. A quel punto ero già in frantumi, penso che un pezzo di me abbia sorriso e che lui lo abbia scambiato per un ghigno. Non da chi, da cosa. E l’ho lasciato, perché lui non era capace di farlo, di farmi così male mi ha detto mentre io ero capacissima.

L’adolescenza è un posto in cui si fa ciò di cui si è capaci pensando che basti sempre e che sia sufficiente a definirti, è una palestra in cui si suda e si fa fatica senza sapere perché. È il posto in cui nascono le ossessioni che ci seguono come ombre per la vita, ciascuno ha le proprie, non fate finta di averle dimenticate che non ci crede nessuno, non dovete necessariamente dirle io lo faccio solo perché ho imparato che per me è meglio così, è meglio dire molto (quasi tutto) così chi resta, chi vuole restare, è informato e chi non vuole ha motivi validi per andarsene. Io non lascio più. Ciascuno si salva con quello che sa e io questo so, che non lascio più. E lo sanno le mie ragazze, che non vado via, resto, magari mi sposto di lato, vicino all’uscita di emergenza, dove non mi si vede ma ci sono ad aspettare la loro felicità, ad amarle, amarle, amarle sempre senza che loro lo debbano mai desiderare.

L’adolescenza è un posto difficile ma a me le cose facili non sono mai piaciute.  

Esemplare di adolescente del 1993. Casa di Giorgia, foto scattata da Monica. Calze nere concesse da madre ossessionata dalla volgarità, come strappo alla regola.

3 pensieri su “L’adolescenza è un bel posto ma non ci vivrei

  1. Può darsi, oppure no, che un giorno ci vedremo e io ti dirò tutto quello che ho capito sull’adolescenza. E che tu però sai già.
    Ma in estrema sintesi io ho capito è qualcosa di enorme che deve passare da un posto strettissimo per diventare bellissimo, o almeno accettabile. Una specie di parto senza le ostetriche.
    Ma soprattutto senza genitori (quelli poi caso mai li chiami dopo).

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    1. Immagine che mi piace moltissimo questa del parto senza le ostetriche e senza genitori. La prima volta che le mie ragazze sono nate è dovuto intervenire il chirurgo. Questa volta sapranno cavarsela benissimo da sola, essendo io nell’angolo non corro il rischio di incasinare tutto.

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