Tutto di personale

Io di notte guardo il tennis in televisione, senza volume per non disturbare la famiglia e per non essere disturbata dai commentatori. Quando arrivo sul divano il cane si alza, mi lascia la coperta e si mette in cuccia. Noi questa cuccia non la chiamiamo cuccia ma vagina. Non è il massimo, mi rendo conto. Sono stata nel negozio di cucce per più di un’ora, davvero, le ho tastate tutte, sollevate, ho frugato dentro per saggiarne la morbidezza, ho scartato i colori che non mi piacciono, volevo che il cane avesse una bella cuccia e l’ho scelta con più cura di quella impiegata per scegliere il mio divano, giuro. Quando sono tornata a casa con la cuccia e l’ho mostrata al resto della famiglia, avevo comunque inviato diverse foto nel nostro gruppo WhatsApp per rendere tutti partecipi della scelta, mi hanno detto “sembra una vagina”. Il cane non l’ha apprezzata subito, c’è voluto del tempo perché ci entrasse e comunque preferisce dormire sul divano sotto la coperta. Solo quando arrivo io di notte si infila nella vagina.

Come farai quando inizieranno i tornei in Europa, senza il fuso orario americano? Mi ha chiesto Lui una notte in cui si è alzato per bere. Gli ho risposto che guarderò le repliche, di notte, anche perché di giorno lavoro. È tornato a letto e io sono rimasta a guardare il tennis. A parte qualche eccezione il mio tifo si basa su criteri puramente estetici, non solo legati all’avvenenza del giocatore o del suo team avendo ormai un’età che mi permette di apprezzare esemplari di diverse epoche  ma anche all’abbigliamento e, in generale, all’atteggiamento. Tra le eccezioni c’è Lorenzo Sonego, che anche se gioca vestito come un raccattapalle quest’anno gli si vuol bene per la fatica che profonde, per ogni punto che porta a casa, uno dopo l’altro, per il suo allenatore, Gipo, che è stato anche l’allenatore di Lui nel paleocene e alcune delle sue espressioni tipiche  sono entrate nel nostro lessico famigliare. Li vedo e sorrido. Mi sembra, comunque, una gran cosa.

Io di notte non dormo ma solo da domenica notte a giovedì notte, durante il fine settimana mi sveglio e mi riaddormento. Ho un problema con la sveglia, l’apparecchietto proprio. Il suono della sveglia, la programmazione della sveglia. Io non dormo perché so che mi devo svegliare, che è come non vivere perché si deve morire e infatti a volte mi trovo in quella condizione. Se so che non mi devo svegliare allora dormo. Quando mi dimentico che devo morire allora vivo un po’ di più. Mi è tutto molto chiaro, è così da quando per andare a scuola dovevo svegliarmi da sola, quindi dalla quarta ginnasio solo che a quei tempi non seguivo il tennis, forse non sapevo nemmeno che esistesse il tennis e se mi fossi alzata mi sarei trovata mio padre davanti, che mentre mangiava di nascosto per placare le sue ansie di bambino incompreso mi avrebbe intimato di tornare a dormire e basta perché anche le ansie nella mia famiglia non valeva slatentizzarle prima del tempo. Allora restavo a letto, sentivo il respiro di mio fratello finché abbiamo condiviso la stanza (quasi metà del mio ultimo anno di liceo), avrei voluto essere sola per non dover dare spiegazioni a chi ha sempre la risposta a domande che non hai mai posto.

Se non c’è il tennis accendo la lampada dietro il divano e leggo. Raramente scrivo. Temo l’effetto strega, quello per cui di  notte ti sembra di aver scritto robe degne del Premio Strega e poi ti rileggi e quasi vomiti. Anche se io non mi rileggo ma solo perché so che mi annoierei di me stessa e faccio fatica a pensare di usare altre parole al posto di quelle che ho usato. Questa cosa delle parole io la prendo molto sul serio. Se mi servo di una parola è perché voglio proprio quella. Non un’altra, non un sinonimo, non me ne importa delle ripetizioni, le ripetizioni servono soprattutto quando sono volute,  le parole sono tutto quello che abbiamo per pensare ecco perché non sono fondamentali ma sono fondanti.

Alcune parole io le odio. Zucchini. Se trovo scritto zucchini all’ortofrutta del supermercato io non compro le zucchine. Alcune parole io le imparo grazie alle mie ragazze, questo è uno degli aspetti della genitorialità che mi esalta di più, imparare da loro ad osservare qualcosa di nuovo o diversamente qualcosa di vecchio, aprire finestre su pareti scrostate per avere una vista più ampia o per far entrare solo un po’di luce in più, , fare domande e non dare risposte.  Il grande dono che i figli ci fanno è permetterci di cambiare idea e se io fossi una donna compassionevole proverei tenerezza infinita per quella moltitudine di genitori che non se ne rende conto e spreca questa enorme possibilità. Ma siccome non sono compassionevole nemmeno per finta continuo a incazzarmi contro la stupidità che non impedisce la riproduzione sconsiderata di certi soggetti che poi sono quelli che dicono zucchini, sicuramente.

Alcune parole le spiego e mi rendo conto di non saperlo fare perché non le ho mai capite nemmeno io. Comprare usato al posto di partorire. Mi hanno chiesto in che senso, perché e io non lo so. Qualcuno la usa ancora? Si sentiva ogni tanto, forse ancora si sente. Ma chi è che compra un figlio? Il figlio si partorisce. Il figlio si adotta. Il figlio si ama. Il figlio si cresce. Ma chi è che compra un figlio, mi hanno chiesto. Ma che ne so, ho detto, tanto più che è un investimento del cazzo meglio lasciar perdere, meglio una borsa se proprio devi comprare. Comunque io le borse un po’ le partorisco o le adotto, sicuramente le amo e le cresco.

Un fratellastro di mio nonno ha comprato suo figlio. Era sposato e niente, la moglie non restava incinta non si sa per colpa di chi ma in questi casi è sempre colpa dell’altro, del non parente. La mammana della zona ha raccontato di una ragazza che si era inguaiata. Allora lui e la moglie sono spariti per un po’ di mesi, in giro hanno detto che lei aveva una gravidanza difficile che la costringeva  a letto e quando sono tornati avevano un bambino e un certificato della levatrice che aveva assistito al parto in casa. Era la fine degli anni Sessanta, forse i primi anni Settanta, non lo so, questo bambino aveva circa una decina di anni in più di me, l’ho visto una volta sola, non ricordo nemmeno il suo nome e mio nonno mi aveva raccontato il tutto con naturalezza ma dicendomi che si trattava di un segreto, aveva portato l’indice al naso e premuto sulle labbra, io osservavo questo ragazzino cercando di trovargli i segni dell’acquisto ma non potevano essere evidenti perché lui non ne sapeva niente, non sapeva di essere stato comprato e a me sembrava molto triste sapere qualcosa di tanto importante su di lui mentre lui lo ignorava completamente però non ho pensato nemmeno per un momento che quello non fosse davvero il figlio di questi pseudozii mai visti prima o dopo quel giorno. La meraviglia delle famiglie tradizionali. Quelle in cui siamo cresciuti bene, noialtri, solidi e pieni di certezze, senza segreti e con granitici punti di riferimento.

Quando mia zia si è separata nessuno l’ha detto a noi bambini. Semplicemente a tavola la domenica a casa dei nonni  è comparso un nuovo signore e non abbiamo più visto mio zio, il padre dei miei cugini. Io tifavo per lo zio precedente, ricordo, ma mi basavo su criteri puramente estetici e poi mi dispiaceva un po’ per mia cugina, quella più grande che si metteva ancora seduta in braccio a suo padre anche se andava alle medie, e pure per quella più piccola che aveva ancora il ciuccio anche se non aveva proprio proprio l’età per il ciuccio ma glielo lasciavano per non crearle altri cambiamenti . E mi dispiaceva un po’ anche per me perché avevo paura che mia madre volesse imitare mia zia e l’idea di stare senza mio padre mi toglieva il respiro. Nessuno diceva niente, per fortuna ho sentito per caso mia nonna, una volta, dire a sua sorella che i miei genitori non correvano alcun pericolo perché mia madre non avrebbe mai dato confidenza a un uomo che non fosse mio padre, non l’ha detto proprio così, ha detto qualcosa che richiamava il fatto che sicuramente il sesso con un altro le avrebbe provocato enormi problemi anche dermatologici. La meraviglia delle famiglie tradizionali. Quelle in cui devi acquattarti dietro una porta per capire da altri se nella tua vita è in atto qualche cambiamento.

Mia nonna per un periodo, precedente alla mia nascita, doveva vedere suo fratello di nascosto da mio nonno. Perché lo zio aveva lasciato sua moglie e i suoi figli e conviveva con una signora che aveva lasciato suo marito e si era portata appresso sua figlia e non paghi di questo  scandalo i due adulteri avevano concepito. Tra loro. Il rigore morale di mio nonno, unito all’animo da figlio unico, non poteva comprendere né tollerare tutto questo. Erano i tempi in cui i suoi figli non erano ancora sposati. E separati. Erano i tempi in cui essere tutto d’un pezzo ancora non faceva bruciare il culo quando ci si sedeva, perché la sola controindicazione all’essere un monolite è quella, che prima o poi ti brucia il culo. E non per quello che nel culo ti entra ma per quello che dal culo non ti esce perché te l’hanno fatto ingoiare a forza e ti hanno intasato. Io, però, mio nonno me lo ricordo già seduto senza grossi problemi e questo fratello di mia nonna non era male, faceva il pane e aveva un sorriso buono come sua sorella e non gli importava molto se la sua ex moglie aveva già esposto la sua foto nell’altarino dei defunti in salotto, accendendogli un cero e mostrando a mia madre che bella pensata aveva avuto. La meraviglia delle famiglie tradizionali. Quelle in cui ci sono valori che non si discutono e si trasmettono di generazione in generazione. Come le malattie.

Le mie figlie hanno un padre divorziato. La sera in cui Lui gliel’ha raccontato erano solo loro tre. A cena fuori. Io e Lui avevamo deciso che le bambine dovevano sapere di questo matrimonio precedente perché era stata una parte della sua vita che non poteva non essere narrata, come il servizio militare anche se questo è stato più divertente, creava un buco nella storia del padre e non volevamo trame a brandelli per loro. Eravamo d’accordo che toccasse solo a Lui parlarne e così è stato. Appena Lui ha finito di raccontare gli hanno chiesto il telefono e mi hanno chiamata. Cristina mi ha chiesto ”mamma, ma tu lo sapevi che papà è divorziato?” e Pepe mi ha detto che “in tanti anni (!) che conosco mio padre mai avrei pensato questa cosa”. Dopo quella sera per un po’ si sono vantate con i compagni non tanto di avere un padre uomo di mondo quanto di esserne state messe a conoscenza. Sono due persone molto amate anche se i loro genitori hanno amato qualcun altro prima.

Mia nipote ha una mamma giovane che la ama come amano i giovani che vanno in profondità e tu pensi che stiano scherzando. E ha un papà alto con un vocione imperioso che non vive con lei. Ha quattro nonni, due per sesso, due vicinissimi e due lontanissimi, ha un cane oblungo che affettuosamente chiamiamo il cane di velluto oppure il cane anaffettivo e che invece è molto affettuoso. Con me lo è. Ha una camera colma di giochi. Compagni di asilo di ogni etnia. Ha una passione smodata per le sue cugine. È molto brava a Baby Gym, penso sia la prima del suo corso e se così non fosse lo sarà. Mangia sempre le stesse cose e si distrae durante i pasti ma ascolta tutto quanto viene detto in sua presenza. È magrolina e snodata, ha gambette come zampette di animale ma ha un tono muscolare da piccola atleta. È una persona molto amata anche se i suoi genitori ameranno altre persone.

Mio nipote ha due papà e una mamma. Quattro nonni, tre sono nonne e uno è il nonno da cui ha preso un pezzo di nome e uno dei due cognomi. Una delle tre nonne lo ha visto nascere, assisteva sua figlia durante il parto. Una delle tre nonne ha preso il primo volo per Londra per abbracciarlo e si è travestita da cowboy insieme a lui lo scorso anno quando abbiamo avuto molta paura che gli capitasse qualcosa. Una delle tre nonne gli parla in veneto e lui è quindi trilingue: inglese, italiano e veneto. Una delle tre nonne ha appena divorziato dal secondo marito o forse era il terzo. Una delle tre nonne non si accompagnerebbe ad altro uomo che non sia suo marito anche per questioni dermatologiche. Una delle tre nonne è vedova ma alcuni giorni racconta di aver appena parlato con suo marito e che lui le ha risposto. Il nonno da cui ha preso un pezzo di nome dice sempre che lui è il suo nipote maschio preferito. Le altre tre nipoti sorridono di questa battuta sempre uguale a se stessa. Mio nipote ha anche due fratelli molto belli, gli somigliano moltissimo e quando li vede impazzisce di gioia, ci gioca a calcio, vanno insieme sulla moto che gli hanno regalato per il compleanno, guardano i cartoni animati insieme mentre la loro mamma li osserva. Una delle immagini più dolci che ho è lui in braccio a sua madre, l’anno scorso in ospedale, durante la tempesta. I suoi padri che non hanno mollato mai per un attimo il timone e sua madre che dondolava per non fargli sentire il mare grosso intorno. È una persona molto amata anche se l’amore dei suoi genitori non viene riconosciuto.       

Alle mie figlie, ai miei nipoti non verrebbe in mente di dire che la loro famiglia è meglio di un’altra famiglia perché non hanno il pensiero sotteso a quelle espressioni, perché la loro famiglia è fatta di persone e le persone non sono meglio o peggio, al massimo vestite meglio o come raccattapalle. Perché chi è amato, in genere, ama. E quando si ama è un po’ come quando si è felici: non si rompono i coglioni agli altri. Quando si ama si toglie il volume per non disturbare e per non essere disturbati dai commentatori.