Io non scrivo biglietti per i compleanni, per gli anniversari e nemmeno per fare la spesa.
Forse a te, perché sei tu, ne avrò pure scritto qualcuno ma ciò non cambia che io non scrivo biglietti. Quindi, oggi che è oggi, che tu compi gli anni, che ne compi quaranta, e lo scrivo in lettere e non in cifre che è meglio perché si nota di meno, cosa faccio?
Vado in cartoleria, scelgo un biglietto di quelli spiritosi, con su scritto “tranquilla i quaranta sono i nuovi trenta” oppure “non ho quaranta anni ma 18 (questo va in cifre, sempre!) con 22 (pure questo, cavolo!) di esperienza”?!
Cioè, tu vorresti un biglietto così? Da me? Non penso. Allora niente, mi sono detta, prendo carta e penna e ti faccio gli auguri per come so. E qui viene il bello. Perché sei tu, porca miseria, dai. E se tu compi gli anni, quaranta, diventano veri anche i miei tra un attimo perché quando ne hai compiuti 17 poi anch’io li ho compiuti e quando hai festeggiato i 25 per esempio poi sono arrivati anche i miei e quei 5 mesi che ci separano sono un secondo di silenzio prima di spegnere le candeline, quindi ecco tu sei tu che se compi gli anni io penso che poi li compio pure io e allora si può pensare che è ovvio, che è non c’è niente da evidenziare in questa situazione e invece no, perché tu sei tu, sei quella che rende sempre un po’ più vero il mondo intorno a me.
Tu sei tu. L’anima gemella in questa porzione di spazio che occupo, mica mio marito. Lui è l’amore della mia vita e tu ne sei testimone dal primo secondo ma non è la mia anima gemella perché i gemelli sono fratelli e quello sei tu che sei tu, la sorella che ho riconosciuto tanti anni fa su una panchina. E se chiudo gli occhi e lascio scorrere gli ultimi 25 anni a rallentatore ti vedo, ci vedo, e sì, tu sei tu, quella che studia per i brevetti di nuoto di nascosto durante l’ora di lezione in classe, che elabora un metodo di studio all’università che porta il tuo nome e che viene riassunto ancora oggi in “5 giorni e 5 notti” che quando penso di non riuscire a chiudere un lavoro in tempo mi aggrappo a quello e riesco sempre a finire, quella che parte con lo zaino in spalla, a volte pure con la barchetta in spalla come quando hai trascorso le vacanze estive a circumnavigare, a nuoto, chissà quale isola che ansia mi hai fatto venire.
Quella che mi ha fregata quando pensavo, da ragazzina, ecco lei sarà una moglie e una mamma perfetta, di inverno andranno a Bardonecchia e d’estate a Noli, avranno almeno 2 bambini biondi e sportivi fin dalla culla e io sarò la zia che avrà sempre una relazione finita alle spalle e una che sboccia, con una casa piena di luce e tanti tanti libri, dove tu avresti trovato conforto nelle giornate pesanti, quando non avresti sopportato i bambini o lui e io ti avrei ascoltata, ti avrei detto cosa era una stronzata e cosa no, ti avrei fatta ridere, ti avrei asciugato le lacrime di stanchezza e forse, forse, non avrei capito fino in fondo perché nemmeno tu avresti capito fino in fondo cosa significa bastarsi, farcela sempre da sola, imparare ogni giorno a prendersi un altro pezzo di vita senza dire grazie a nessuno e senza aspettare che qualcuno ti dia il suo assenso. Ecco, entrambe ci saremmo fermate un attimo prima di capire fino in fondo, tu su una faccia della medaglia io sull’altra, come due anime gemelle che funzionano perché si incastrano non perché sono sovrapposte.
Quella che mi ha fregata perché tutto è andato al contrario. Abbiamo scambiato le facce. E allora io mi sono ritrovata seduta sul bordo della vasca in bagno con la porta chiusa a chiave dopo aver messo dei cartoni animati salvavita per ascoltare che con lui era andata male, che con il tempo poi invece è andata bene così che sia andata male posso dirtelo e mi sono fermata in macchina un giorno sotto un temporale con il cuore che non lo trovavo più, sentivo solo male come quando brucia una parte di pelle e ho pensato al macellaio quando taglia in 2 il petto del pollo e lo batte con il batticarne, tum tum tum forte ancora più forte per fare le fettine sottili e con quella immagine negli occhi e il cuore che non c’era più ma c’era perché il male arrivava da lì, tum tum tum, ti ho chiamata e ho detto dentro di me se risponde io lo lascio e tu hai risposto e io ho iniziato a piangere e ti ho detto speravo che non rispondessi perché ora lo devo lasciare e tu mi hai detto va bene, lascialo e c’era di nuovo tutto, c’eri tu seduta accanto a me sulla Panda rossa che mi dici “quello era un posto” mentre cercavo parcheggio e non lo avevo visto il posto, io no ma tu si, quello era un posto e tu che lo vedi e io no, un attimo prima, un attimo dopo, sempre un attimo e c’era la bugia con i tuoi per andare a Livorno un fine settimana e c’erano le mie scarpe con il tacco che ti ho prestato e c’eri tu e c’ero io e potevo lasciarlo oppure no che sapevo che ora andava bene comunque, tutto, niente, chi lo sa, potevo, potevo dirtelo, come sempre come tutto, tutto o niente anche il silenzio vale, che anche quello capisci, il respiro nella cornetta e il peso di questa distanza che la vita ci ha infilato in mezzo per attorcigliarci come le pieghe sul collo che prima non c’erano e ora si, quei fili come i cerchi nei tronchi che rivelano quanti anni hai e io e te e il tempo vissuto insieme nonostante la lontananza che non ci si abitua mai ma che poi ti vedo e mi sistemo i capelli prima di incontrarti e ti parlo e ti ascolto e ti saluto come se ti avessi vista ieri, come se ti vedessi domani e non c’è un solo giorno, uno solo, ti giuro, in cui non penso almeno una volta che ti devo raccontare qualcosa, che devo dirti di quella scemenza, che voglio chiederti cosa faresti tu al posto mio.
Allora, oggi che è oggi non ti ho scritto alcun biglietto , sono arrivata in ufficio alle 8 per recuperare un’ora di lavoro, perché ho una scadenza e solo 5 giorni e 5 notti per rispettarla e so che ti vedrò, a pranzo, e prima di scendere dalla macchina mi sistemerò i capelli, ti aspetterò e ti cercherò tra le facce di quelli che vanno in pausa pranzo e pensano che la vita sia quella, una pausa pranzo, una pausa caffè, una scadenza e pensano che la loro vita è bella oppure che fa schifo e pensano che se hai fortuna l’anima gemella te la sposi e non hanno capito niente e tu spunterai con la tua camminata saltellante e ricaccerò indietro le due lacrime di gioia e di dolore, una per occhio, la gioia del tuo arrivo e il dolore del saluto che seguirà alla fine, ecco le butterò indietro e ci sarà il nostro abbraccio e niente, quello sarà il posto. Quello è sempre il posto.
Auguri Marè.