Mi piace la pioggia, camminarci sotto, lentamente. Non uso gli ombrelli, impicciano le mani, indosso il cappello. Al liceo amavo storia e filosofia,mi sono laureata in Giurisprudenza con una tesi di ricerca in procedura penale sul segreto di stato. La legge oggetto della mia ricerca è stata, poi, abrogata.
Indosso scarpe n. 38 da dopo la prima gravidanza, ho preso un numero perché il peso mi ha schiacciato i piedi che non sono tornati come prima. Nemmeno il resto, ma nei piedi si nota di più.
Sono una donna da buffet. Da spizzicare il mangiare un po’ di qua e un po’ di là, senza stare seduta con un piatto pieno. Sono una donna da colazione. Posso saltare il pranzo e la cena, non mi importa. Ma mai, mai la colazione. Amo i pancake con lo sciroppo d’acero e la frutta tagliata a pezzetti. Amo le colazioni in hotel, insomma.
Assomiglio moltissimo a mio padre. Per questo a volte non lo sopporto. Non assomiglio per niente a mia madre. Per questo a volte non la sopporto.
Mia figlia Pepe è una ragazza da buffet. E guai a toglierle la colazione. A volte non ci sopportiamo.
Non amo le famiglie. Forse nemmeno la mia. Nel senso organico, la famiglia come ente. Mi piacciono, o non mi piacciono, le persone che compongono le famiglie. Il nucleo famiglia mi insospettisce. Pensare che basti un legame di sangue a spiegare, risolvere e confortare mi sembra, sinceramente, riduttivo e ridicolo riferito a una relazione. E troppo facile. Non mi piacciono le cose facili, i pensieri facili, le strade facili, i rimedi facili, le persone facili.
Sto riscoprendo i tempi semplici a discapito di quelli composti. Uso il presente, amo l’imperfetto e l’idea della continuità, ricordo il passato, quello finito per davvero e penso al futuro, ma solo se è semplice.
Non ho tatuaggi,non sono contraria e nemmeno favorevole, non ho mai avuto bisogno di segnare nulla in modo indelebile anche sulla pelle. Ci ha pensato la vita, e la chirurgia, a incidere il segno dell’amore e quello della paura che, poi, cos’altro avrebbe senso ricordare? Ho un neo sulla spalla sinistra, rotondo e perfetto. Da poco l’ho preso a schiaffi perché, con la coda dell’occhio, mi sembrava una zanzara. Ho una macchia di caffè sul braccio destro, ci sono nata. Mio padre ne ha una identica sull’avambraccio. Ho una cicatrice che corre sotto il mento come un sorriso sotterraneo e ne ho una sulla fronte, le uniche due cadute da bambina. Con il tempo mi stanno spuntando dei nei rossi, ogni tanto ne compare uno, senza una logica, o perlomeno, senza che io ne sia a conoscenza. Forse tra qualche anno sembrerò la Pimpa. Forse è questa la logica sottesa alla loro comparsa.
Bevo preferibilmente il vino rosso, non bevo superalcolici, vado a dormire dopo le 22.30 solo in casi rarissimi e mai per guardare la televisione, non sono amante dei dolci, vado matta per le olive. Anche mia nonna le adorava. Anche mia madre. Anche le mie figlie. Fenomeni mitocondriali. Mi piace la birra, non mangio carne da oltre tre anni, l’ultima volta è stata a Firenze, non ne sento la mancanza ma mangio il pesce, quindi, no, non sono vegetariana. Manca la parola per descrivere la mia alimentazione. Mi piace che manchi la parola. Mi manca Firenze.
Amo dormire ma non sono pigra, la mia attività preferita senza nemmeno pensarci, senza nemmeno un dubbio è leggere, leggere, leggere. Mi piacciono i romanzi di esordio, gli scrittori emergenti, gli sconosciuti che ci sono riusciti. Leggo i ringraziamenti e mi emoziono. Vado in palestra almeno due volte alla settimana, anche tre a dirla tutta. Cammino moltissimo. Ho scoperto le ciaspole e ho capito che la neve può avere un significato anche per me.
Ho una migliore amica. Quella del liceo, quella che sa tutto. Ho amiche, poche ma vere. Amici, qualcuno, uno , uno solo, forse due ma uno è mio fratello, non vale. Conoscenti tanti. Sconosciuti tutti gli altri e va bene così. La vita è breve, un segmento cortissimo nella linea del tempo. Ho la piena consapevolezza della mia natura mortale. Allora, io non penso di potermi permettere di sprecare parte del mio tempo a conoscere qualcuno che non mi interessa. A dire cose che non voglio. A sentire cose che non mi piacciono. Non più di quanto è necessario per una civile convivenza sociale. Il minimo indispensabile. Per tutto il resto, no grazie. Nel mio segmentino non c’è spazio e non c’è tempo. Ho un discreto bagaglio umano, anche di casi umani, sulle spalle. Un discreto bagaglio di conoscenza, quarant’anni di azioni compiute nell’adempimento di un dovere, di relazioni necessarie, di prove e tentativi, di scoperte e conferme. Adesso, senza presunzione, io penso che per quel che mi riguarda sono in grado di distinguere a naso. Cosa si. Cosa no. Chi si. Chi no. Ci metto anche la possibilità di sbagliare. Mi lascio il margine di errore. Ma è statistica, niente di più. Non mi interessa. Adesso, io voglio vivere il pezzetto di segmento che ho davanti avendo una sola visione. La mia.
Amo i cani. Ne ho due ma ne vorrei dieci. Non mi interessano molto i bambini, anzi, no, non è vero. Non mi interessano gli interlocutori che ruotano intorno ai bambini. Mamme pancine e il loro mondo di vezzeggiativi pieno di manine e culetti e cacchine e nasini con moccolini, mamme da educazione siberiana piene di regole e codicilli, insensate nel loro sistema premiale e punitivo, mamme perfette come le loro madri, mamme insicure per colpa delle loro madri. Nonne. Ecco, tutto, ma le nonne no. Le nonne che parlano dei nipoti dicendo “il nostro è andato a nuoto già a 27 mesi”, “il nostro è arrivato primo alle prove invalsi” (anonime, nonna, sono anonime). Le nonne che ci mettono lo zampino, rapaci malefiche, ma non ci mettono la faccia, stronze paracule, e allora non è mai colpa loro ma è di certo merito loro. Quindi, amo i cani, tanto. Non mi dispiacciono i bambini, quando sono da soli, impegnati e concentrati in un disegno o in un gioco importante, il gioco è sempre importante,quando chiedono, quando ridono, quando sentono di essere il soggetto della frase e non un complemento.
Ci sono giorni in cui mi vedo top top top. E giorni in cui sono stop stop stop. C sono giorni in cui bevo due litri di acqua e faccio uno spuntino con la frutta. Ci sono i giorni in cui non bevo, non mangio, non parlo per ore con nessuno. Ci sono i giorni in cui la mia pancia è piatta, ci sono giorni in cui sembro incinta. Ci sono giorni in cui ci sono tutti questi giorni in uno solo. Lì è l’apocalisse.
Odio il Natale e l’obbligatorietà dei regali. Mi è indifferente ogni altra festa religiosa e non. Sono grata alle mie figlie di essere nate in piena estate, a scuola chiusa, così noi non organizziamo feste. Non mi interesso di religione. Mi disgusta la politica senza etica, specchio di un’ignoranza esibita ed esaltata. Penso che vada reso obbligatorio un anno di psicanalisi per tutti a carico del servizio sanitario nazionale, perché la gente non sta bene. Non sta per niente bene.
Ho avuto più fidanzati che parrucchieri, sono fedele ma ho tradito, ho avuto più amori che fidanzati. Ho tradito solo fidanzati, mai gli amori. Ho lasciato i parrucchieri senza tradirli, mai. Ho dimenticato un fidanzato, in particolare. Ricordo un amore che è diventato amore solo dopo essere finito, solo nella mia mente, solo dentro i miei occhi quando guardavo quell’uomo guardarmi. E mi vedevo. A volte chiudo gli occhi e lo ringrazio, li riapro e mi vedo, più vecchia, si, ma ancora io, ancora integra.
Mi arrabbio moltissimo ma sempre per le stesse cose e sempre con le stesse persone. Quando gioco e scherzo parlo in dialetto. Quando sono furiosa parlo in dialetto, l’altro, fortuna del bilinguismo. Non mi commuovo facilmente, tranne se guardo Ghost. Quando ero incinta di Cri mi commuoveva Totti che metteva il dito in bocca. Ma quando ero incinta di Cri ho anche preteso un gelato al cachi. Non mi interessa il calcio, prenderei a testate i soggetti da bar che parlano della squadra usando la prima persona plurale e discutono dei soldi spesi per l’acquisto di un giocatore come se c’entrassero davvero qualcosa o se sapessero anche solo scrivere la cifra. Mi fa schifo il cachi. A Cri piace il cachi, non segue il calcio.
Tra Dylan e Brandon assolutamente Dylan. Ho visto Grease un numero incalcolabile di volte. Ho quarant’anni ma se trasmettono Dirty dancing ne ho 9, 10, 11… arrivo massimo a 16. Idem per Top gun. Ascolto Vecchioni dai tempi del liceo, quando mi si spezzò il cuore per la prima volta e lui sapeva cosa dirmi. Sapevano farlo solo lui, Saffo e Catullo.
Non mi piace la gente, in generale. Non amo la folla, non amo i gruppi, non mi sento a mio agio nella confusione. Non piaccio alla gente, o meglio o piaccio o non piaccio. Da subito e senza misure intermedie. Generalmente non piaccio. Perché la vita funziona come uno specchio, ho capito. Ovvio che se non mi piaci non posso piacerti. Non importa, tanto: se non mi piaci non mi piaci. Sarò civile, educata, solo in forza degli insegnamenti ricevuti da piccola, ma so fare finta di non vederti. Odio gli errori grammaticali se li banalizzi e li ripeti. E le scuse. La locuzione “Università della Vita”. Quelli che mi toccano mentre mi parlano. Quelli che sei brava se gli dai ragione. Non do ragione.
Sono una donna senza talenti, non canto, non ballo, non sento nemmeno il ritmo o il tempo. Non disegno, dipingo, cucio, ricamo. Niente. Manualità zero. I miei lavoretti con la creta a scuola erano una pena. Non sono sportiva, non nuoto, non scio, non ho mai giocato a pallavolo, non ho mai fatto un saggio di danza. Niente. Ma faccio le imitazioni. E invento filastrocche stonate e raccapriccianti solo per ridere. Rido. Dico la verità. Voglio la verità, anche quando fa male. Ma non cerco la Verità. Non rincorro certezze, assolutezze, totalità. Mi piace la verità particolare, parziale, incerta. Purché sia vera, purché non sia il semilavorato di qualcun altro, purché arrivi dal fondo, dal profondo, dalla vita per come la si è vissuta. La più vera verità me l’ha rivelata una mia prozia, l’unica sorella di mia nonna, donna eccentrica e tenace, fastidiosa e impertinente quando diceva che nella vita è meglio fare invidia che pietà. Mentre si toglieva il cappello e lo buttava dove capitava,snocciolava le olive e le sue teorie. A volte non la sopportavo.