Ho iniziato l’anno con il torcicollo. Non posso girare la testa, a sinistra. E con il mal di schiena, basso, nella zona lombo-sacrale, che sembra mi abbiano piantato un coltello proprio lì. Una pena sedersi, alzarsi, sdraiarsi, chinarsi. Tutto quanto è dietro di me non posso vederlo. Tutto quanto è dietro di me pesa sulla schiena e fa male. Tutto quanto è dietro di me, mi sa, che devo lasciarlo lì per un po’ e guardare avanti. Pensare avanti. Aspettare e non voltarmi a cercare. Dimenticare. O anche solo lasciare. Lasciare andare, lasciar perdere, lasciar stare, lasciare come chi si lascia e non ci ripensa, sta male un po’ per un po’, ricorda un pezzo ogni giorno quella canzone, il maglione preferito, la vacanza, quel ristorante, il caffè come lo prendi, ancora macchiato, il sorriso e quei progetti e ogni giorno dimentica un po’ per sempre, un frammento, una cosa, un posto visitato, un piatto cucinato, quel ristorante, il caffè come lo prendi, amaro, io sempre amaro, la forma delle mani, la dimensione del palmo della mano, le unghie dei piedi se graffiano. Lasciare.
Ho iniziato l’anno che dovevo fare una ciaspolata serale sul Monviso ma non c’è neve e la nostra ciaspolata si è trasformata in una escursione notturna nei boschi con le lucine sulla testa e con la possibilità di avvistare lupi o cinghiali.
Ho iniziato l’anno cambiando programmi, quindi, facendo quello che potevo con quello che avevo, lasciando stare i piani stabiliti.
Ho iniziato l’anno con la sensazione che devo lasciare. Non è un proposito, non è roba per me, quella. Gli elenchi, i buoni propositi, gli impegni positivi e pieni di intenzioni positive e pieni di auguri positivi. No, non mi interessano. Sono più una donna da spropositi. È che non ci credo ai buoni. Anche se sono propositi.
Preferisco decidere, che è come lasciare. Decidere vuol dire “tagliare via da”. Do un taglio e lascio cadere. Do un taglio e lascio.
Preferisco continuare. O smettere. E iniziare.
Voglio continuare a scrivere, voglio smettere di far finta che non sia importante, voglio iniziare a dire che si, sono io, mispiego sono io, Sonia, mamma di Cri e Pepe, mispiego sono proprio io e lo so che tu, proprio tu, mi leggi di nascosto e pensi che non lo sappia. Va bene, tanto lo so che non capisci.
Voglio continuare a decidere chi frequentare di più e chi di meno, fino a lasciarlo. Non c’è tanto posto, non c’è tanto tempo. Voglio continuare a dire no a impegni che non mi interessano, a persone che non mi interessano, a discorsi che non mi interessano.
Voglio smettere di avere l’affanno se le giornate corrono impazzite, se il traffico alle 18 è faticoso, se la gente intorno gira in tondo e mai che casca il mondo e la finiscono.
Voglio smettere di aspettare il momento giusto.
Voglio iniziare a usare lo spray che fissa il trucco, mia sorella dice che è una cazzata, ma a me piace il profumo che lascia.
E voglio iniziare a cucinare i carciofi, che non sono capace.
Voglio continuare a leggere poesie aprendo a caso il libro e pensandole come degli oracoli o dei segni. Risposte.
Voglio smettere di cercare il senso.
Voglio continuare a sentire. Soprattutto di notte, nei sogni.
Voglio iniziare ad aspettare. Una novità, un sorriso, il temporale, il mare, il temporale al mare, le lacrime quando non ce la fai più e devi piangere, la vita nuova che sarà, mi hanno detto, quest’estate e chissà di che colore avrà gli occhi e se Londra potrà essere, perciò, più bella.
Voglio continuare a non avere paura dei lupi, ma delle pecore.
Voglio continuare a colorare di rosso le mie labbra, quel rosso spropositato, quel rosso che porta fortuna e così bardata continuare a chiedere diretta, chirurgica, senza sconti. Domande.
Voglio smettere di sentirmi in colpa. Se mia madre non sorride, se mia figlia non vuole fare i tornei di tennis, se mi viene mal di schiena e resto bloccata sul divano e guardo le repliche di Gray’s Anatomy e piango quando muore Derek. Se muore Derek. Se Meredith non ha un altro amore, come potrebbe avere un altro amore, stiamo parlando di Derek.
Voglio iniziare a unire i punti e vedere cosa esce. I miei punti. Deboli. Ho trovato il primo, non lo dico, ma è qui, a vista. Voglio iniziare a unirlo al secondo e così via. Secondo me alla fine esce il sorriso. Il mio. O quello di mia madre. È lo stesso.
Voglio continuare ad amare profondamente e spropositamente, la sola modalità che conosco. Loro, sempre e solo loro che squadra che vince non si cambia.
Voglio iniziare ad accogliere. Le giornate per quel che sono, le paure per quel che raccontano, le speranze per quel che valgono.
Voglio smettere di nascondere le parole, soprattutto quelle che tengo dietro lo sterno e a volte mi tolgono il fiato perché comprimono e schiacciano e io le ricaccio indietro e sbaglio.
Voglio continuare a tenere per me. Il mio primo punto debole. E l’ultimo. È lo stesso.
Voglio iniziare un anno di nuovo, voglio continuare un anno di nuovo, voglio smettere quest’anno, alla fine, di nuovo. E lasciare andare, di nuovo. E decidere, di nuovo. Avvistare lupi. Sapere chi mi legge. Scacciare le pecore. Chiedere all’oracolo. E sorridere, a sproposito.