Raccolgo le forze. Mi volto poco, sempre meno, sempre per gli stessi motivi e per le stesse ombre. Sono mendicanti squallidi, hanno visi lividi e bisogni pallidi. Non voglio perdonarli , non ci penso proprio. Non li combatto ma li ho già vinti. Si dice che tutti i nodi vengono al pettine. Io non ci credo ecco perchè ho le forbici in mano.
Raccolgo le forze perché ho smesso di raccogliere le provocazioni che pesano troppo e valgono niente. Non viaggio comunque leggera, è un fatto mio, di indole e costituzione, le sensazioni pesanti is the new “ho le ossa grandi”.
Raccolgo le forze e non ho più fretta. Aspetto. Si dice che la fretta sia una cattiva consigliera, non lo se è vero. Si dice che la pazienza sia la virtù dei forti. Io mi sto allenando, mi è servita molto la meditazione. Della vendetta.
Raccolgo le forze e sollevo dubbi, praticamente faccio frontal squat con i manubri per rassodare i miei pensieri.
Raccolgo le forze perché i fiori non mi piacciono, raccolgo le forze perché quelle ho innaffiato e curato e poco altro ho seminato che non fossero le mie forze, le mie sole forze e loro mi hanno ripagata con un raccolto abbondante e generoso.
Raccolgo le forze e resisto. Resto salda, questo è resistere. Mi oppongo fortemente. Al vento, quello leggero, quello della calunnia che i mendicanti squallidi mi hanno sbuffato addosso. Alla frase, quella sulle mie figlie, condannate ad avere una madre come me. Detta da un’altra madre. Detta da chi non conosce vergogna. Raccolgo le forze e presento il conto, si dice così quando devi regolare un torto ricevuto. Subito.
Raccolgo le forze per stringermi di più ogni volta che mi sento sola e lontana, infilata nel fondo di qualche ricordo buio, per consolarmi, per contenermi, aggressiva, con un abbraccio che mi risolva le crisi. Raccolgo le forze ed è la mia terapia.
Raccolgo le forze e racconto, coloro le labbra di rosso, come in un rito tribale o in un sacrificio. Come un indovino o una sacerdotessa, testimonio, ricordo. Sono un correo che confessa ma non si pente.
Raccolgo le forze e aspetto. Ascolto. Ogni scusa non richiesta si dice che sia un’accusa manifesta. Chissà la telefonata di prima cosa è. Osservo. La neve che scende, si poggia, si sporca, si scioglie. Il mio riflesso nel vetro, mi piace quel che vedo, mi volto poco sempre meno. Le ombre non lasciano impronte.