Alle cameriere dei bar di paese, con un tatuaggio sulla caviglia o sul polpaccio, con la riga nera dell’eyeliner Kiko, sempre quella sempre uguale dagli anni novanta, come Kelly di Beverly Hills, ore di esercizio in bagno invece di studiare, da ragazzine, tecnica perfetta, sempre quella, sempre uguale. Alle cameriere dei bar di paese che quando smontano dal turno c’è sempre un Loris o un Denis o un Chris con l’acca e con un’alfa rossa, o nera, fresca di autolavaggio a gettoni, ad aspettarle ma mai, mai, a prenderle. Mica come Kelly di Beverly Hills. Alle cameriere dei bar di paese che sanno tutto di quel che succede nel bar del paese. E basta.

Alle madri dei maschi, quelle che trattano i propri figli come se avessero disturbi dell’apprendimento. Quelle madri che vestono ragazzini di dieci anni e gli asciugano i capelli dopo la doccia-fatti la doccia, vuoi una mano?-e gli tagliano la pizza. Alle madri dei maschi che  chiedono aiuto alle proprie madri per crescere un maschio.  Alle madri dei maschi che non hanno mai capito come funzionano, i maschi.

A me che per fortuna degli uomini e delle prossime generazioni di donne  non ho figli maschi.

A mio nipote, maschio, che nascerà a breve. Mi scopro ad aspettarlo, chissà come funziona.

A mia nipote, femmina che allarga le braccia più che può quando le chiedo “quanto bene a zia?”, strana che è, chissà come funziona.

Alle madri dei maschi, quelle che ci provano. Io vi ammiro, siete le mie preferite. Io non sarei capace, per carità.

Alle nonne, quelle che parlano male delle madri dei loro  nipoti nei cortili delle scuole insieme alle altre nonne. Vi sento, vi vedo. Voi che avete cresciuto i vostri figli trattandoli come se avessero disturbi dell’apprendimento e ve ne andate in giro tronfie. Non avete fatto un capolavoro, sappiatelo.  Qualcuno deve pur dirvelo. Tendenzialmente quell’ingrata di cui sparlate si è fatta un mazzo così per rimediare a tutte le idiozie che avete inculcato nelle teste dei vostri figli, dopo averle asciugate dopo la doccia prima di sminuzzargli il cibo. Una gamma di sciocchezze che vanno dal “se mangio un biscotto poi per tre ore non posso fare il bagno” al “la mollica del pane lievita nella pancia e uccide” passando per la frutta a cui “togliere la pelle”invece di sbucciarla. Altro che alla frutta. A voi toglierei la pelle.  Vi sento e vi vedo. Ve lo meritavate tutto quello che le vostre suocere dicevano di voi. Ecco.

A quelli che ce l’hanno fatta. Beati. Come si sta? Bene? Com’è poi avercela fatta? Spero sia stupendo visto quanta fatica è costato. Insomma, ci vanno garretti d’acciaio per arrivare dove siete arrivati, no? Considerando da dove siete partiti, poi. Dal mangiarvi le unghie dei piedi sul divano guardando Supercar, diciamo che per salire bastava poco, però bravi, complimenti. Avete le scarpe che volevate, quelle inglesi, il paltò comprato in centro, avete poi preso anche degli aerei, bene, viaggiate. Sembrate quasi  uguali a quelli che non hanno i vostri polpacci grossi perché non hanno dovuto faticare per nulla. Perché ci sono nati che avevano già vinto nella vita. Quasi uguali, però. Attenti, non abbassate la guardia, basta un attimo di distrazione e si vede, si nota la differenza, la sbavatura, attenti. Si vede che nella vostra storia in realtà era scritto di aspettarla quando smontava il turno al bar, ammazzando una zanzara senza sporcare il cruscotto.

Alle donne che in palestra non si fanno la doccia dopo l’allenamento. Si tamponano con un asciugamano, si spruzzano del deodorante, passano la chioma sotto il phon e vanno via. Come cazzo fate?!

A quelli che hanno votato per quello, il coatto bulletto da scuola media che fa l’assaggiatore nelle sagre. Esistete davvero?

Alle rappresentanti di classe. Perché lo fate?

Alle mie amiche salvavita, che sono solo due. Alle loro ferite, alle loro storie, alla nostra storia, al tempo che ci sgualcisce eppure siamo sempre più belle, alle botte, ai lividi che ci sono fioriti addosso e che esibiamo come ornamento, alla resistenza che vuoi mettere con la moda della resilienza? A noi che di questa storia siamo le partigiane.

A mia figlia Pepe che si trova bellissima. A mia figlia Pepe che ieri mi ha raccontato di questa ragazzina che piace a tutti precisando che non è vero perché a lei non piace, quindi già non si può dire che piace a tutti.  “perché non ti piace ? è carina”-“ha la faccia schiacciata, sembra un plum-cake e poi ha vestiti di marche che nessuno conosce ” (Armani & co). A mia figlia, alle sue gonne di tulle di Zara, a chi ti dice “se a me non piace, allora non è vero che piace a tutti”. A mia figlia Pepe, che è bellissima.

A mia figlia Cristina che assomiglia a suo padre ma, sorpresa: quanto di me nei suoi  sguardi. A mia figlia Cristina che non sopporta quelli del “siamo tutti uguali”-“facciamo uguale per tutti” perché non è giusto. Perché i propugnatori  del siamo tutti uguali hanno creato la diffidenza per chi è diverso. A mia figlia Cristina che sa che siamo tutti diversi, evviva, a mia figlia Cristina che è uguale a suo padre e diversa da suo padre, a mia figlia che sa che se siamo tutti diversi allora, davvero, possiamo pensarci uguali.

A quelli a cui scrivi una mail e non rispondono. Ma poi la fanno leggere a tutti, anzi a molti, perché a me non l’hanno fatta leggere. A quelli che non rispondono ma non cancellano. Eppure c’è il cestino, anche nella casella di posta elettronica. Ma sono abituati a tener da parte, hanno imparato a suon di scorrettezze mentre scalavano  per arrivare in alto e farcela.

Alle famiglie tradizionali, quelle giuste, che bellezza, che ordine. Il primo posto dove ci si sente amati e protetti. E giudicati. E inadeguati. Alle famiglie arcobaleno, che arrivano sempre dopo i temporali e magari ci trovi anche il pentolone d’oro. Alle famiglie monogenitoriali dove ci si arrangia un po’ di più forse. Arrangiarsi è la mia declinazione preferita dell’amore.  Perché arrangiarsi è come aggiustarsi reciprocamente. Perché a volte quel che commuove non è il testo, ma l’arrangiamento. Alle famiglie allargate, se davvero riescono. Alle famiglie estese che non riescono mai. Sappiatelo.

A quelli che vanno via. Che lasciano. Che smettono di amare. A quelli che iniziano ad amare e poi smettono di amare, come si fa con una disciplina sportiva. A quelli che non lo sanno quando hanno smesso, non sanno dirtelo. E non sanno dirti altro, devono chiedere, non sanno, non sanno più niente all’improvviso, prima sapevano tutto e non mancavano mai di sottolineare evidenziare far risaltare questa loro onniscienza e poi così,di colpo, slatentizzano il loro disturbo dell’apprendimento infantile.  Non sanno più nemmeno perché ti hanno amata. A quelli che non è mai colpa loro. A quelli che, secondo me, pure due schiaffoni però, con le mani aperte e  le braccia larghe. Quanto bene?!

A quelli che fanno come gli pare ma tu no. A quelli che dicono cosa vogliono ma tu no. A quelli che non devono darti spiegazioni ma tu si. A quelli che tu sei una schifosa ma loro no. A quelli che buttano i pacchetti di sigarette vuoti per terra. Eppure c’è il cestino. A quelli che invece di “vedere” “visionano” (giuro che è reale, anzi “veritiero”, giuro è vita vissuta potrei andare avanti all’infinito).  A quelli che il titolo di studio non serve e sono sempre quelli che non ce l’hanno, però. Perché gli altri lo sanno che non serve, non hanno bisogno di dirlo. A quelli che è sempre un “ti spiego” per mettere una patetica pezza sull’ennesima cazzata. No. Non spiegarmi.  Non ne saresti capace. Usa la pezza per coprirti il faccione cadente e sparisci.

A quelli che non si sono riconosciuti, per evidenti disturbi dell’apprendimento.

A quelli che si sono riconosciuti e non possono farci nulla.  Quanto bene?

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Un pensiero su “Dedicato (attenzione contiene tracce di polemica)

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