Uno come tanti

 

 

C’è stato un uomo come tanti.  Non bello, non alto, non magro, non ricco, non furbo, non geniale.

Ha avuto una mamma che lo ha amato, per come ha potuto, come ogni mamma, senza la ricetta giusta dell’amore universale, una mamma come tante, che ha amato per tentativi.

Ha avuto un papà che lo ha amato, come si amava una volta, quando i papà non cambiavano i pannolini ma erano la quercia sotto la quale crescere. Un papà come tanti, che è andato via troppo presto.

Ha avuto un fratello maggiore che prima lo ha odiato e poi lo ha amato, come succede tra fratelli, questo è mio non lo toccare, vieni qui, in due è più facile, un fratello come tanti che per un pezzo di vita ha fatto da papà e poi è andato via, troppo presto, anche lui.

Ha avuto amici, delusioni, viaggi, crisi, pile di Topolino da leggere, gatti a cui dare da  mangiare, lavoro da sbrigare, fornitori da pagare, clienti da non perdere, orologi da guardare, Natali e Capodanni, Pasque e vacanze al mare. Come tanti, un giorno dopo l’altro e alla fine contano solo i giorni che ricordi. Gli altri sono giorni come tanti.

Ha avuto una moglie, che lo ha amato in tutti i modi in cui una moglie ama, con il gioco e la passione, con la tenerezza del vedersi piangere, con la noia e quel capirsi senza più parlare,con gli allontanamenti e i riavvicinamenti della vita trascorsa insieme senza sconti o ripensamenti. Una moglie come tante, che poi resta sola ad aspettare che lui torni. E sa che farà tardi, anche questa volta, al solito.

Ha avuto una figlia che lo ha amato come le figlie amano i papà, come si ama un ideale, una figlia non come tante, perché i figli non sono mai come tanti, anche quando piangono e cagano da piccoli che sembrano tutti uguali a vederli i neonati, anche quando non vogliono andare a scuola, anche quando tornano tardi e non sai dove sono, i figli sono sempre e solo pezzi unici, destinatari di un amore irripetibile, un amore che non puoi chiedere indietro, che mai tornerà indietro, che mai più sarà. Una figlia che una sera non è più tornata.

Ha passato anni a chiedersi dove fosse, guardando il cielo, come sua mamma gli aveva insegnato, perchè è lì che vanno quelli che non tornano. Gli dicevano è con tuo papà, con tuo fratello, gli dicevano cose così, che  consolano forse, che ci pensi e ci ripensi e speri che sia così. Ma non lo sai. Non lo sai e quando non sai dove è tua figlia non puoi stare tranquillo.

Stamattina, senza preavviso, lei è arrivata a prenderlo. Come fanno i figli, che mica devono avvertire, che lo sanno che sono sempre attesi, mica si pongono il problema di disturbare.

Lui ha allargato le braccia indebolite dagli anni in cui le ha tenute conserte per tenere fermo il cuore al suo posto, per evitare che scivolasse via. E nello spalancare le braccia gli si è allargata anche la faccia, tutta, dal mento alle orecchie, gli occhi sono diventati due fessure, ha sorriso e riso e pianto ed era pronto per andare.

Ciao GB, lo so che sei felice.

Trama e ordito

 

 

Sul mio viso il tempo vissuto

Veloce che sembra un saluto

C’è del grigio tra i miei capelli

Come uno scherzo tra fratelli

 

Un sipario si apre improvviso

Intorno alla bocca segno preciso

Sono linee sempre più marcate

Ci conti tutte le mie risate

 

Vicino agli occhi sono sottili

Appena accennati come i fili

Dove sono stesi i giorni di pianto

Ti assicuro non uno soltanto

 

E c’è come la crepa di un vaso

Nel punto appena sopra il naso

Un bel solco apposta a coprire

Il terzo occhio che uso per capire

 

Sulla fronte le linee sono modeste

Compaiono  per notizie funeste

Alzo gli occhi al cielo per dire

Cos’altro ancora devo sentire?!

 

Sul mio viso il tempo sospeso

Come sogno o un treno mai preso

C’è tutta la trama di una storia

Che io conosco a memoria

 

Sotto il mento c’è una caduta

Cicatrice di bambina cresciuta

Più su il segno della varicella

Età senza fratello e sorella

 

Sul naso li vedi sono uguali

I solchi lasciati dagli occhiali

E c’è lo sguardo, il mio preferito

Un po’ più stanco eppure divertito

 

Si dice passato o esperienza

In realtà non c’è una differenza

Sul mio viso c’è trama e ordito

Di un disegno ancora non finito

 

C’è un racconto senza le lettere

Che pochi riescono a leggere

Ma tutto ciò che qui vedi narrato

In una vita io l’ho conquistato.

 

 

Il pensiero giusto

 

 

Mamma ,cos’è questo?

Il mio quaderno.

Cosa ci scrivi?

I miei pensieri.

Però, ne hai tanti! Ma chi te li corregge? Le frasi, eh, non i pensieri perché mica qualcuno può correggerti i pensieri, giusto?

Giusto? Sai che non lo se è giusto, non lo so se davvero nessuno può correggerci i pensieri. Sicuramente qualcuno può farceli cambiare, non correggerli forse perché non è detto che siano sbagliati. Senti, diciamo così: non è giusto che qualcuno ci corregga i pensieri ma può capitare che noi li cambiamo, in alcuni momenti della vita o perché conosciamo delle persone che ci raccontano le cose in un modo diverso da quello al quale siamo abituati e allora noi cambiamo la messa a fuoco, l’angolo di osservazione, il modo di sentire il mondo che ci circonda.

Io non so se detto così si capisce. Per esempio, da quando conosco voi, te e tua sorella che siete arrivate senza grandi presentazioni e ci siamo dovute conoscere un pezzo alla volta ed un giorno dopo l’altro, che non avevate mica il libretto delle istruzioni e io non avevo mai fatto la mamma prima e pensavo pensieri miei, che erano anche giusti secondo me, giusti per me , per la mia vita senza di voi, ecco io li ho cambiati alcuni di quei pensieri miei, pure giusti, ed altri ho scoperto di averli che mai avrei pensato di pensarli quei pensieri.

Però non è stato facile, sai. Ho dovuto chiedere aiuto, perché tutto quel rimestare in testa mi ha fatto paura e la paura è una compagna infida perché ti blocca e tu resti fermo e più resti fermo meno riesci a muoverti ancora. E fermi non si va da nessuna parte. L’aiuto è stato nella voce dietro le orecchie, la voce dell’uomo con la barba, per oltre18 mesi il venerdi all’ora di pranzo. Una stanza che non è un luogo, un’utopia, un rettangolo dove ci sono solo contorni e perimetri del quale provare a calcolare l’area in momenti nei quali hai dimenticato la formula, un contenitore e tu sei il solo contenuto e stai lì dentro con tutti i tuoi grumi, come il budino quando non viene, impegnata in un percorso estenuante per la mente e per il corpo, tutto quello scavare a mani nude, ferendoti, ferendo, spiattellando, tacendo, affascinata dalla capacità di gestire il silenzio, di parlare nelle pause, di avere l’abilità di interromperlo un attimo prima che diventi insostenibile, appena prima di quella punta di dolore che dà il silenzio protetto.

Vorrei che non aveste timore del silenzio, che imparaste a padroneggiarlo anche voi così, pensate al silenzio come al bidone rosa dei barbapapà che usavamo quando eravate piccole, dentro il quale infilavamo i giocattoli, i vostri pensieri, per fare ordine, a volte con criterio e metodo, altre volte li buttavamo lì dentro solo per farli sparire alla vista.

Andavo dall’uomo con la barba perché non sapevo più se i miei pensieri erano giusti. Qualcuno stava provando a dirmi che non lo erano, ma che bastava lavorare e lavorare delegando la vostra cura a chi si vantava di aver lavorato tutta la vita per non pensare. Per qualcuno, invece, era inconcepibile che io nutrissi dubbi su me stessa, sui miei pensieri, sulla vita tutta quanta, sul mondo intero, su Dio e su ogni uomo sulla faccia della terra. In entrambi i casi nessuno capiva che avevo i grumi, come il budino quando non viene, e li avevo sparsi nella testa, nel centro della pancia, soprattutto in gola.

Io li stavo, semplicemente, cambiando. Stavo adattando i miei pensieri alla nuova vita che avevo e che avevo dato, a tutte quelle istanze fino a quel momento sconosciute. E lui mi ha aiutata e alla fine mi ha detto che potevo staccare le mani dal bordo della vasca e nuotare. Proprio questa frase. Perché gli avevo raccontato che da piccola le lezioni di nuoto per me erano state tragiche, attaccata al bordo in lacrime e basta, in preda alla paura che paralizza. E il mondo degli adulti che mi diceva che dovevo staccarmi.

Cristina aveva iniziato nuoto in quei mesi, l’accompagnavo, la guardavo dalla tribuna, approcciare al nuoto come a un gioco nuovo, leggera e fiduciosa, con lo sguardo verso di me ogni cinque minuti, in attesa del mio pollice  in su a conferma della sua abilità, fino al momento in cui ha staccato le mani dal bordo e via, è andata, ha nuotato, senza esitazioni, senza paura perché sapeva che poteva farlo. E solo alla fine, quando ha raggiunto la scaletta per uscire, ha alzato la faccia verso di me e ha alzato lei il pollice, a conferma della sua abilità.

A me, che potevo farlo, me l’ha detto per la prima volta l’uomo con la barba.

Mi sono messa a piangere per la meraviglia della scoperta. Avevo solo cambiato i miei pensieri. E questo si poteva fare.

Potevo staccare le mani dal bordo e nuotare. Potevo dire che il pensiero della morte mi attanagliava dal primo istante della vostra vita. Potevo dire che il pensiero di Dio con la barba bianca e suo figlio e tutto il resto a me non dava nessun conforto o tranquillità. Potevo dire che  pensavo che la vita meritasse di essere vissuta sempre, fino alla fine, in qualunque condizione pur di vedervi crescere. Potevo pensare che chi ci ama in qualche modo capisce il cambiamento. E, quindi, chi si allontana demonizzandoci, accusandoci, a volte infangandoci ci sta facendo una cortesia.

Non sapevo ancora che ogni nuovo pensiero avrebbe portato con sé delle conseguenze, quella consapevolezza è arrivata dopo e te ne parlerò certamente.

Ecco, non so se ti è chiaro, adesso, forse no…che dici?!

Che su questo quaderno è un casino, nessuno potrebbe correggere con la tua scrittura, mamma, non si capiscono le lettere. Però mi piace che dici sempre quello che pensi, brava.

Grazie.

 

 

 

Sogni, bisogni e bi-sogni

 

Ho un’abilitazione in “fare ciò di cui c’è bisogno”.  Ho maturato una competenza tale in questo settore da essere a pieno titolo la donna del Bisogno. Altrui.

Avrei preferito essere la donna dei sogni, ma tant’è…

Ho sempre fatto quello che bisognava fare, iniziando la mia carriera da giovanissima, come bambina del Bisogno.

Bisogna far giocare il fratellino. Bisogna fare tutti i compiti prima dell’ora di merenda altrimenti niente Bim Bum Bam su Italia Uno. Bisogna andare bene a scuola. Bisogna saper aspettare Natale per avere Giovanna A.

Bisogna occuparsi della sorellina. Bisogna imparare a rifare i letti e pulire il bagno perché se anche da grande avrai la possibilità di avere una domestica questa ti fregherà se tu non sai come si fa, ti dirà che ha pulito e invece non lo avrà fatto. Un’adolescenza a pensare che avrei dovuto imparare, secondo questa logica, a fare un sacco di cose da sola perché lì fuori il mondo è spietato.

Da ragazzina ho provato a uscire dal corso, a farmi bocciare, a dire che non mi interessavano i bisogni ma non ci sono riuscita perché c’era bisogno.

Bisogna togliersi lo sguardo infastidito quando parli con certe persone, come se fosse un accessorio,un abito, invece è come il naso a patata,allora tolgo anche quello.

Bisogna studiare.

Bisogna aiutare papà con il lavoro, “questo lo sai fare? No?! va bene, impari, hai imparato visto?”

Bisogna trovarsi un altro lavoro “ho bisogno che tu faccia questo, lo sai fare? No?! Va bene impari, hai imparato ,visto?”

Da grande ho riprovato, ma niente. Bisogna lasciar perdere.

Bisogna portare i bambini al mare proprio lì , così la nonna si sente a suo agio perché bisogna che la nonna si senta a suo agio.

Bisogna che viviamo qui. Bisogna che fai il budget.

Bisogna togliersi lo sguardo infastidito quando parli con certe persone…

Anni di bisogni. La donna del wc. Solo che a un certo punto, non so bene quando, sono scappati a me i bisogni. I miei bisogni. Sono scappati e finiti nelle dita sulla tastiera, nella penna recuperata in auto, in fondo al cruscotto, sotto il tagliando dell’assicurazione che non serve più ma che non ho buttato perché poteva avere un’utilità, al bisogno, anche solo per sputarci la gomma da masticare dentro.

Adesso ho i bisogni sparsi, che si confondono e si mischiano con i sogni recuperati anche quelli in fondo al cruscotto, che nel cassetto non ci stavano più, che alcuni li ho usati per sputarci la gomma da masticare,che mi sembra strano parlare di sogni alla mia età, in cui si ragiona di progetti ma sarà che non voglio ragionarci, che mi affaccio ai 40 come a dire ma chi, io?!, che adesso si ride, o si piange,  perché tutto fino a qui è stato un baleno da non ricordare come ci si è arrivati se non fosse per le righe intorno agli occhi, pentagramma su cui ho suonato tutta la musica che so, a volte improvvisando, e per quelle due strane creature che mi danno la misura del tempo e mi spostano l’orizzonte sempre un po’ più in là ,che dai 30 ai 40 è più quello che ho aggrovigliato di quello che ho districato e i sogni e i bisogni, come i nodi, a un certo punto vengono al pettine e adesso è il momento in cui bisogna scioglierli e sceglierli.

Il bi-sogno di cedere nonostante l’educazione alla resistenza.

Il bi-sogno di mandare tutto per aria nonostante il panico da senso di responsabilità.

Il bi-sogno di dire tutto quello che penso nel modo in cui lo penso, senza alcun nonostante.

Il bi-sogno dannato di fare qualcosa che amo alla follia nonostante la zona di confort .

Il bi-sogno di vedere qualcosa di talmente bello che mi faccia male, mi stordisca, mi dia uno schiaffo nonostante  la paura di tutto quel dolore.

Il bi-sogno di dormire nonostante la sveglia.

Il bi-sogno di dire “mi sono dimenticata” nonostante me.

Il bi-sogno che certe persone vedano il mio sguardo infastidito su di loro e se ne sentano trafitte quel tanto che basta a levarsi di torno.

Il bi-sogno di piangere nonostante il mascara.

Bi-sogno di creare ancora, oltre la maternità realizzata, bi-sogno di vita affamata da nutrire, bi-sogno di curiosità da alimentare, soffiando sul fuoco, su tutti i fuochi che io sono.

Bi-sogno di tempo nonostante l’orologio.

Bi-sogno di momenti catartici di malumore e pensieri cupi, neri e densi nonostante le apparenze.

Bi-sogno di sentire i  40 come 20+20, nonostante lo specchio, quando parlo con la mia amica, quando mi schiaccio un punto nero in bagno da sola, quando una commessa mi dà del tu, quando muovo il polso e tintinnano i braccialetti.

Bi-sogno di indossare con piacere il suono rotondo dei 40 nonostante tutti i miei spigoli, sentendomi finalmente comoda, rinunciando a quello che segna, scopre, strizza e impietoso mostra ciò che non è più e ciò che ormai è.

Bi-sogno di ridere ancora e sempre,di quello che è stato e di quello che sarà, che non si può sapere se il peggio deve ancora arrivare, quando arriverà e come sarà vestito, che non è detto che il meglio sia già passato e sia rimasto incastrato nelle ciglia in quel battito di palpebre che  è stata la vita sino ad ora, nel dubbio dell’attesa del bello e del brutto, dei tempi bastardi e degli anni migliori ridere, ridere, ridere fino alle lacrime, che ridere e piangere sono opposti e uguali, segno contrario per la stessa liberazione , ricerca della stessa libertà, nonostante il mascara.

 

Noi-osa

Gent.ma Maestra,

tra poche ore si spegneranno le luci del Presepe e suonerà la campanella delle 8.15.

La sveglia sarà di nuovo fissa ed intransigente come una suocera nei confronti della nuora e il traffico tornerà ad essere singhiozzante e congestionato come un neonato con il raffreddore.

I nostri bambini varcheranno il cancello della scuola, inonderanno i corridoi colorandoli con gli zaini pesanti e faranno ingresso in classe dove diventeranno, di nuovo, i suoi bambini.

Gent.ma Maestra,

noi abbiamo ripulito la cartella dai disegni appallottolati sul fondo e dalle briciole delle merende, abbiamo temperato le matite e sostituito la ricarica blu della Pilot. I quaderni sono stati controllati, il materiale verificato e  l’astuccio portapanino è stato lavato.

La voglio ringraziare di cuore per aver assegnato una quantità di compiti che definirei equa, solidale e simpatica.

Grazie.

Per averci evitato porte sbattute, scrivanie usate come muro del pianto, quaderni gettati in terra e una sfilza intollerabile di “non ora” “dopo” “non ho voglia” “non riesco” “allora aiutami tu”.

Noi siamo pronti, ma non siamo pronti.

Pepe deve finire l’ultimo compito, deve ancora raccontare il giorno più bello delle vacanze di Natale. Ha deciso di svolgerlo per ultimo perché, mi ha detto, non poteva scegliere il giorno più bello fino alla fine.

E’ logico. Certo.

Eppure mi ha strappato un sorriso, quasi incredulo.

Perché, vede, noi durante queste vacanze abbiamo “chiuso gli impianti” per due settimane. Abbiamo fermato le macchine. Siamo scesi dalla giostra in movimento. Abbiamo smesso di girare nella ruota come i criceti.

Noi non abbiamo fatto nulla.

Abbiamo lasciato che le cose accadessero, che le giornate trascorressero, che le bambine respirassero.

Abbiamo regalato alle nostre figlie  giornate lunghe, mattine da iniziare alle 11 o alle 8, a seconda di come si ha voglia, pigiami felpati, libri, musica che suona con la riproduzione casuale. Nemmeno quella abbiamo voluto organizzare.

Abbiamo lasciato che il mercoledi e il giovedi fossero simili tra loro e simili al venerdi.

Non abbiamo usato l’auto per giorni.

Abbiamo misurato lo spazio delle nostre stanze per accorgerci di quanto può essere rassicurante e confortevole avere un posto in cui essere senza fare.

La sera della Vigilia abbiamo cenato a lume di candela. Ciascuno di noi quattro ha atteso ciò che per lui solo era importante, ha creduto se voleva credere, ha sperato in qualcosa. Ed è stato davvero aspettare, vegliare, attendere.

Abbiamo atteso. Senza fretta, senza uno schermo touch a realizzare un desiderio, senza impazienza.

La mattina di Natale abbiamo fatto colazione tutti insieme e solo dopo abbiamo aperto i regali guardandoci negli occhi per indovinare l’emozione dell’altro.

Le bambine hanno giocato con i giochi nuovi.

Hanno inventato storie e personaggi, dando loro voce, cambiando toni e inclinazioni. Hanno riempito una bacinella e giocato con l’acqua e i pupazzetti come quando erano piccole.

Pepe ha costruito un rifugio in camera sua, con due coperte, quella di Hello Kitty e quella del leone, legate al letto e alla sedia della scrivania. Ha usato l’imballaggio di cartone di un giocattolo per fare il portone della sua tana, dove ha trascorso ore e ore persa in storie di fantasia. La sua fantasia.

Ciascuna ha ricevuto un album con circa 200 foto da mettere a posto. Le loro foto, dalla mia pancia ad oggi. Hanno ripercorso la loro vita con i polpastrelli delle dita, sfiorando le pagine da riempire, hanno chiesto dove erano, quanti anni o mesi avevano, chi ha scattato quella foto, cosa è successo quel giorno e ne è nato un racconto speciale ogni volta.

Hanno fatto il bagno e non la doccia. Sono state nella vasca senza alcuna fretta, hanno messo il balsamo sulle lunghezze e risciacquato con calma, si sono asciugate e hanno indossato, di nuovo, il piagiama felpato.

Un giorno hanno guardato il vento forte tra gli alberi del giardino.

Hanno guardato il vento.

Ogni tanto mi si sono appiccicate ciondolanti come un acchiappasogni alla finestra, un po’ lamentose con quella cadenza cadente nel parlare, quel tono gnegnegne. Ma è durato poco.

Abbiamo pensato ai compagni, ad alcuni tra i più cari e abbiamo provato a immaginarci le loro giornate, i regali ricevuti, a volte li abbiamo imitati, per scherzo, in modo giocoso. Abbiamo immaginato.

Queste due settimane, necessarie come il doppio guanto in una ciaspolata serale, sono trascorse così per noi. Non è accaduto nulla. Siamo accaduti noi.

Le mie ragazze hanno sperimentato. Il silenzio, il tempo senza orologio, la noia. Quel passare da una stanza all’altra toccando gli oggetti in giro per casa, cercando qualcosa senza sapere cosa e trovandolo ogni volta in modo inaspettato.

La noia. Coccolare il cane davanti a un film. Rimettere in ordine i libri sulle mensole della camera.

Capirà, quindi, perché ho sorriso davanti alla risposta logica di Pepe. Non ci sono viaggi verso mari esotici da raccontare, né sciate avventurose. Nessuna città d’arte, mostra o museo.

C’è stata una vera vacanza, abbiamo svuotato le giornate e scoperto che si può restare in ascolto, di se stessi, dell’altro, del silenzio. Abbiamo fatto esperienza  del vuoto come qualcosa che può restare vuoto, che non va sempre e comunque riempito con qualunque cosa. Come le parole che non vanno sempre e comunque dette, perchè anche il silenzio può restare silenzio e avere in sè molto, moltissimo.

Gent.ma Maestra,

io non so cosa mia figlia sceglierà di raccontare, non so quale giornata vorrà descrivere. Sono curiosa di leggerlo. Spero, comunque, che a lei arrivi un pezzo di questa noia, atmosfera ovattata, vento tra gli alberi, storia di playmobil che giocano con le Barbie guardando vecchie foto mentre ascoltano una musica casuale ma non a caso intanto che papà sbuccia la frutta per merenda, che si può mangiare anche con il piagiama indosso.

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2018

 

Nell’anno che vorrei

Tu sei come sei

Io sono come sono

Senza scusa né perdono

A gennaio vorrei il gelo

Ad aprile che fiorisca il melo

A febbraio un nuovo schezo

E che marzo arrivi terzo

Dicembre sempre in fondo

A giugno un melone tondo

A ottobre un po’ di pioggia

In agosto nemmeno una goccia

A novembre un gran lavorare

Ma a luglio tutti al mare

Maggio e settembre per i nostri desideri

Alcuni davvero seri

Altri solo per far festa

Con il vino che dà alla testa

Nell’anno che vorrei

Non ti fai gli affari miei

Ad aprile ci si riposa

A maggio nessuno si sposa

Febbraio senza carnevale

A dicembre Babbo sta male

Si rimanda tutto a gennaio

Non sarà mica un guaio

A marzo tutti con gli ombrelli

Ad ottobre non migrano gli uccelli

Novembre senza santi e morti

A giugno si dimenticano i torti

A settembre parata militare

Per le 40 candeline da soffiare

Ecco l’anno che vorrei

Che se mi piace come sei

E se ti piace come sono

Ci siamo già fatti un dono

Che può capitare di tutto

Ma mai qualcosa di brutto

Nell’anno che vorrei

Non ci saranno nei

I mesi faranno come gli pare

Decidono loro da dove cominciare

Nell’anno che sarà

Qualcuno non mi capirà

Questo però poco importa

A me che avrò 40 desideri sulla torta

E tra quelli tu ci sei

Così per come sei

E tra quelli io ci sono

Così come sono.